LUI ERA COSI'


Non riesco a non pensare a Salinger. Non so perché, non sono mai stato davvero un suo fan, ho letto Il giovane Holden da giovane come migliaia di altri giovani, e i pesci banana e poco altro (ha scritto poco altro), eppure non riesco a non pensarci. Ma non scriveva da decenni, artisticamente è come se fosse morto negli anni '60, no? Non so, ci sono persone, ci sono figure che sei contento che esistano,e basta, non importa cosa facciano, non importa nemmeno conoscerle o meno, basta sapere che sono lì da qualche parte, e adesso mi spiace, all'improvviso, pensare che i più lo ricorderanno per quella foto straziante rubata all'uscita di un supermercato, tutta la rabbia cieca di un vecchio, tutta l'indignazione di un vecchio stanato, ma lui com'era veramente? Era così. Non solo un ex-scrittore di successo misantropo. Aveva fatto lo sbarco in Normandia, aveva avuto dei figli. E' stato anche così.

(la foto è rubara al blog di Manuela Ardingo, che ringrazio)

Il giovane Holden e il professor Antolini, la citazione


Ecco la citazione esatta, a cui mi riferivo nel post precedente. Mi era rimasta così impressa perché...beh, a parte il meccanismo dell'identificazione, ovviamente, è più o meno quello che avrei voluto mi dicesse un insegnante quando ero al ginnasio, per spronarmi a leggere e a studiare. E forse, in qualche modo, probabilmente obliquo e contorto, me lo avevano anche detto. Ma Salinger lo ha detto meglio. Sempre gli scrittori americani ci hanno detto le cose meglio. Meglio dei nostri insegnanti e meglio di Calvino, Moravia, Silone, Gadda, Pasolini, Morante (e forse solo con la parziale eccezione di Pavese, un altro superdepresso).

Allora, nel suo peregrinare Holden Caulfield è approdato alla casa del professor Antolini, un suo insegnante. Che ad un certo punto dice cosi:

"D'accordo, i professori Vinson. Non appena ti sarai lasciato dietro tutti i professori Vinson, allora comincerai ad andare sempre più vicino, se sai volerlo, e se sai cercarlo e aspettarlo, a quel genere di conoscenza che sarà cara, molto cara al tuo cuore. Tra l'altro, scoprirai di non essere il primo che il comportamento degli uomini abbia sconcertato, impaurito e perfino nauseato. Non sei affatto solo a questo traguardo, e saperlo ti servirà d'incitamento e di stimolo. Molti, moltissimi uomini si sono sentiti moralmente e spiritualmente turbati come te adesso. Per fortuna, alcuni hanno messo nero su bianco quei loro turbamenti. Imparerai da loro...se vuoi. Proprio come un giorno, se tu avrai qualcosa da dare, altri impareranno da te. E' una bella intesa di reciprocità. E non è istruzione. E' storia. E' poesia."
Si interruppe e mandò giù un bel sorso di cocktail. Poi ricominciò. Ragazzi, era proprio partito in quarta."

Il caustico commento di Holden è il perfetto contrappunto adolescenziale al pistolotto del professore. E tuttavia, il pistolotto mantiene tutta la sua verità. Per nulla intaccata dal fatto che un paio di pagine dopo il professor Antolini cerchi di infilarsi nel letto di Holden, facendolo scappare a gambe levate.

Chi afferrerà i bambini che precipitano dal campo di segale, adesso?


«Se una persona incontra una persona
Che si avvicina in un campo di segale,
Se una persona bacia una persona
Quella persona deve piangere? »

Robert Burns

Qualche anno fa Il giovane Holden era tornato di gran moda, complice Baricco, se non ricordo male. Poi divenne di gran moda dirne male, per far dispetto a Baricco.
Lui, Jerome, viveva isolato, c'è una sola foto in trenta forse cinquant'anni, un vecchio che picchia col pugno sul vetro di un'auto. Nell'era dei Grandi fratelli, manteneva fede al suo voto. Ostinata distanza dalle luci della società dello spettacolo.

Ricordo, della mia lettura giovanile del suo romanzo più celebre, il passaggio del professor Antolini. Non per l'avance gay che chiude l'incontro con Holden, ma per il discorso del professore. Non ho il libro sottomano, non posso citarlo. Ricordo che diceva come a volte nella giovinezza ci si senta male, ci si senta arrabbiati, a disagio o disallineati, e come la lettura di certi libri possa aiutarti, perché ti farà scoprire che non sei solo, non sei l'unico a pensare certe cose, non sei solo. Questo più o meno diceva il professor Antolini al giovane Holden, forse in maniera sincera, forse perchè voleva farselo, forse un po' per entrambe le ragioni.
Non sono queste le parole giuste; del resto ne è passato di tempo...e non l'ho mai riletto.
Ma ricordo ancora cosa ho provato, a 15 anni, leggendo quel passaggio: non sono solo, ho pensato. E tutto sommato, continuo a pensarlo anche adesso (visto che quella dell'adolescenza mi sembra la più vetusta delle categorie. Voglio dire, c'è qualcuno che ha la presuzione di essere davvero cresciuto?).

Cosa ti fa l'amore

Tornava a casa a piedi attraverso la città deserta, sentiva il rumore dei suoi passi, una sirena distante nella notte umida sotto un cielo come sempre arancione sopra i silos e le ciminiere slanciate, tornava a casa chiedendosi cosa ti fa l’amore, per prolungare ciò che aveva appena finito di vivere, per sentire ancora quell’abbraccio, quel calore, quel ferro straziante, anche adesso che era solo, e dunque, come ti cambia, come ti rovescia e ti rimette assieme, l’amore, come ti senti quando sei innamorato?
E pensava a ciò che lei gli aveva detto poco fa, alle cose che aveva svelato di lui, che gli aveva mostrato con un semplice gesto, come quello di alzare uno specchio, dicendo: “Sei molto sicuro di te”, oppure “Sei un po’ violento”, oppure “Sei vanitoso”, e lui che non aveva mai immaginato di essere sicuro, violento o vanitoso era rimasto sospeso a mezz’aria, su di lei, sospeso sul suo viso perfetto, sui seni piccoli, sulle sue spalle bianche, chiedendosi quale cannocchiale o scandaglio lei avesse usato per vedere quelle cose, e se le avesse trovate davvero o se tirasse a indovinare, ma no, aveva tutta l’aria di chi sa, ne sapeva più lei di lui, senz’altro, o per lo meno sapeva di lui cose che lui stesso aveva sempre ignorato, allora questa è una cosa che l’amore ti fa, l’amore ti rivela a te stesso.

E poi imboccando il viale ventoso che non poteva evitare a meno di attraversare la zona industriale aveva pensato anche ad dolore che aveva iniziato a sentire ancor prima di lasciarla, ancor prima della borsa e del treno, il dolore della separazione che sapeva sarebbe durata almeno una settimana, forse una settimana, o forse di più, non vi erano certezze in proposito, e alle conferme che avrebbe atteso da lei, durante tutto quel tempo, con il telefono, le mail, i simulacri che l’elettronica aveva brevettato per lenire il dolore degli amanti, e questa è un’altra cosa che l’amore ti fa, ti leva la pelle, ti espone in cima a una collina, tutto nudo, rosso e bruciato dai venti e torturato e inconsolato, questa è una cosa che l’amore ti fa, ti spinge a desiderare una conferma quando è lontana, ma una non basta, vorresti avere una conferma per ogni ora che non trascorri assieme a lei, per ogni minuto che vi separa, vorresti una conferma ogni minuto, l’amore ti espone e ti fa sanguinare copiosamente.

E poi, già oltre il parco, in vista di casa, aveva pensato a come il suo corpo si alza e cammina per la stanza dopo avere gravato su quello di lei, aveva pensato a quella sensazione di forza, a come le spalle si drizzano, a come la schiena si drizza e le braccia stanno un po’ lontano dai fianchi come se avesse appena finito di fare uno sforzo fisico come costruire un muro o demolire un muro, aveva pensato alla forza che l’amore infonde, e questa dunque era un’altra cosa ancora, un’altra cosa che l’amore ti fa, quando puoi stringerlo fra le tue braccia, quando puoi stringerle la gola con il palmo della mano, quando puoi accarezzarle i capelli o lasciare segni sui fianchi, questo ti fa l’amore, ti fa sentire come un predatore un esploratore un operaio un minatore, pieno di fierezza e di coraggio, questo ti fa.

Alzò lo sguardo al cielo perché è il cielo il luogo degli innamorati le costellazioni sfavillanti e tutti quei satelliti. Era felice di essere lì e adesso e di vivere, vivere, vivere.

from: "La calda notte degli avatar" (nulla a che fare con il fottuto film dysneiano)

L'avevamo già visto a New Orleans

Ieri, intervistato da Lucia Annunziata sulla situazione di Haiti per la trasmissione tv Rai "In mezz'ora", Bertolaso - che è anche sottosegretario - ha detto: "Oggi si prende atto di un fallimento del sistema".

"Ci sono enormi organizzazioni coinvolte e moltissimo da fare, ma la situazione è patetica, e tutto si sarebbe potuto gestire molto meglio", ha detto ancora il numero uno della Protezione civile, aggiungendo che le autorità haitiane "siano state emarginate" e criticando gli Usa: "Gli americani non possono che avere la leadership di questa emergenza, ma hanno bisogno di un 'Obama dell'emergenza', che evidentemente non sono riusciti a trovare".

"Si viene qui, si dà un po' da mangiare, bere e il problema per loro è risolto, ma è una contraddizione se non si pongono le basi per la vita futura".

(Fonte: Reuters)

C'è da stupirsi? Tutto questo l'avevamo già visto a New Orleans. L'America non è attrezzata per intervenire in queste situazioni. Grande sfoggio di elicotteri e marines in spolvero, e poi? Probabilmente non hanno neanche idea di cosa significhi cooperare, cioé fare assieme. Per quertso Bertolaso lamenta l'esclusione degli haitiani. L'attegiamento è paternalista, sempliciotto, superficiale. Povera Haiti, una volta di più in mano agli yankees...

Nick Hornby - Juliet, Naked


Ho iniziato l'anno leggendo questo nuovo romanzo di Nick Hornby, titolo italiano, assai banale, "Tutta un'altra musica", titolo originale, "Juliet, naked", come il titolo del disco di maggior successo di Tucker Crowe, protagonista della storia, una sorta di Springsteen in minore.
Ero a Bath, l'ho letto nei ritagli di tempo, e nonostante i ritagli fossero pochi (in quattro giorni, uno cerca di vedere il più possibile), l'ho divorato prima della fine del viaggio. Questa è una delle peculiarità dei libri di Hornby: sono dei perfetti meccanismi narrativi, agganciano il lettore e se lo portano a spasso dalla prima all'ultima pagina, azzerando divagazioni e tempi morti, tenendo fieramente testa alle seduzioni esercitate da altri intrattenimenti culturali, da internet alla tv ai videogiochi (per quelli a cui piacciono i videogiochi, e li considerano intrattenimenti culturali). Esiterei col dire che sono dei capolavori: ma parlano della realtà dei tempi nostri, senza gli eccessi grandguignoleschi di autori come Palahniuk, senza la magniloquenza di tanti italiani, senza timori reverenziali. Ad esempio, come si parla di musica rock o di web in queste pagine: normalmente, senza che si avverta la necessità di "nobilitare" la materia (che senza dubbio gli scrittori del nostro paese troverebbero prosaica, si pensi a un Baricco). E poi, alcuni ritratti fulminanti di adulti per i quali, cito a memoria, film e concerti continuano a rappresentare qualcosa di importante, di un po' troppo importante (per chi dovrebbe avere raggiunto l'età della maturità). Sulla scia di altri personaggi che abbiamo già conosciuto, in "Non buttiamoci giù", ad esempio, o in "Un ragazzo".
Questa volta il ritratto generazionale è affidato ad un rocker scoppiato, ex-alcolista, impegnato a destreggiarsi fra i numerosi figli seminati per strada (e fra le loro madri), oggetto di culto per una manciata di persone "disturbate" sparse per il mondo, che si ritrovano in un sito internet. Ma soprattutto, ad uno dei suoi fan, un insegnante inglese che considera normale spendere le ferie per andare a visitare alcuni dei luoghi della "mitologia" legata a un cantante che non incide più da 20 anni, luoghi come i gabinetti di un bar o la casa della ex-moglie (la Juliet del titolo originario).
Quest'ultimo, in particolare - il fan, voglio dire - è un personaggio oltremodo riuscito, in cui molti noi rocker ultraquarantenni possiamo, forse nostro malgrado, specchiarci, almeno un po'. Sorridendo di noi stessi e delle passioni che ci siamo portati appresso dall'adolescenza, impermeabili alle seduzioni dell'età adulta, agli hobby costosi, alle carriere, e soprattutto al bricolage. Ma anche la compagna del fan - che in uno scarto geniale della trama arriva realmente a conoscere l'oscuro oggetto del desiderio del partner, il "vero" Tucker Crowe - è altrettanto ben tratteggiato. Incatenata ad un'esistenza quotidiana che gli va stretta, in una cittaduccola di provincia, a fianco un uomo inconsistente, senza passioni, senza figli, senza sesso, suscita un moto di istintiva simpatia, per la sua intelligenza e per il suo "coraggio", che è poi il coraggio di tutti quelli che, nonostante tutto, ci provano a cambiare in meglio la loro vita, senza eroismi, a volte maldestramente, comprando i regali sbagliati, o facendo troppo castelli in aria.
Alcuni gruppi di lettura hanno giudicato l'atmosfera di questo romanzo (ambientato in parte in una piccola località di mare inglese) decadente. Per me, non sanno cosa significa la letteratura decadente. Questo lavoro è come tutti gli altri di Hornby; divertente, arguto, "popolare" nel senso alto del termine. Trasuda quella naturale bonomia, persino quella sorta di compassione per l'umanità (nel senso letterale del termine) che è la cifra caratteristica dei libri dello scrittore, in cui non compare mai un cattivo veramente cattivo, in cui i suicidi generalmente falliscono, in cui comunque, il giorno dopo arriva sempre. Badando bene, insomma, a mantenere le distanze dai toni troppo cupi e tragici (per questo a Hornby piace la J.Geils band e non Lou Reed? Vabbé, questa è un'altra storia), e cesellando le ultime pagine con un finale "aperto", che mi ha fatto pensare, inaspettatamente, al "Candido" di Voltaire.

Red Shirley: terza età di una rockstar (e i 100 anni della cugina)



Il titolo più lungo per un post brevissimo, il trailer di questo film di cui non so molto, se non che Lou Reed, il "re del male", l'autore di "Heroin" e "Venus in furs", la rockstar che ha cantano le perversioni della metropoli più metropoli del mondo, che ha passeggiato sul lato selvaggio, intervista la cugina centenaria sulla sua esperienza di immigrata negli Usa, agli inizi del secolo. A me sembra qualcosa di davvero delicato e toccante. Mi riferisco alla cugina ma anche a Lou.
Rockstar invecchiano. Con grazia. Senza perdere la creatività.

Fonte: l'ottimo www.loureed.it

Marguerite Duras



Ho imparato già qualche cosa. So che a far bella una donna non sono né i vestiti, né le cure di bellezza, né il prezzo degli unguenti, né la rarità e il valore intrinseco degli ornamenti. So che il problema è un altro, ma non so quale sia. Non è quello che credono le donne. Le guardo, nelle vie di Saigon o nelle località sperdute della savana. Ce ne sono di bellissime, bianchissime, tutte curano molto il loro aspetto, soprattutto nei posti sperduti. Non fanno nulla, cercano di mantenere la loro bellezza, di conservarla per l'Europa, per gli amanti, per le vacanze in Italia, per le lunghe ferie di sei mesi ogni tre anni, quando finalmente potranno raccontare quello che succede quaggiù, questa vita in colonia così strana, parlare di com'è servizievole questa gente, di quanto sono bravi i boys, della vegetazione, dei balli, delle ville bianche, tanto vaste che ci si perde, dove abitano i funzionari nominati nelle località sperdute. Aspettano. Si agghindano per niente. Si risparmiano. Nell'ombra delle ville si conservano per dopo, credono di vivere in un romanzo, con i grandi armadi pieni di vestiti da non sapere che farne, e che esse collezionano, come collezionano la fuga di quei giorni d'attesa. Alcune impazziscono. Altre vengono piantate per una servetta che sa tacere. Piantate. Questa parola, quando le colpisce, ha un suono spaventoso, il suono di uno schiaffo. Alcune si uccidono.
Questo mancare delle donne a se stesse sempre l'ho sentito come un errore.
Non c'era da attirare il desiderio. Il desiderio era in colei che lo provocava o non esisteva. C'era fin dal primo sguardo o non era mai esistito. Era l'immediata intesa sessuale fra due persone o non era niente.

L'amante, Feltrinelli, trad. Leonella Prato Caruso

Washing of the water




Così profondo, così ampio, mi porteresti sulla tua schiena a fare una cavalcata? Se dovessi cadere, mi inghiottiresti giù nel profondo?

Fiume, mostrami come galleggiare
Mi sento come se stessi affondando
Pensavo che me la sarei cavata
Ma qui in quest'acqua
i miei piedi non toccano il fondo
(...)

Andando via, via verso il mare
Fiume profondo, puoi sollevarmi e portarmi?
Oh scivola attraverso il cuore della terra
fino a quando il sole non lascia il cielo
Fiume, fiume portami in alto
fino a quando il trasporto dell'acqua non farà andare tutto bene
Lascia che le tue acque mi raggiungano come lei mi ha raggiunto stanotte...

(Thanks to this site for the translation)

Apartheid italiano



Una piccola lezione di storia alla luce dei fatti recenti di Rosarno.
L'apartheid in Sud Africa nacque fra la fine degli anni '40 e i primi anni '50 del secolo scorso; dopo la Seconda guerra mondiale, dunque, una guerra combattuta, in ultima analisi, contro un'ideologia razzista elevata all'ennesima potenza.
Ma le basi del sistema erano state poste agli inizi del '900, con una legge chiamata Land Act, varata nel 1913; in base a questa legge i "nativi" (cioé i neri, o Bantu) potevano esercitare diritti di proprietà su una percentuale del suolo sudafricano non superiore al 13% circa. Oviamente si trattava delle aree più povere del Paese, quelle prive di giacimenti minerari e più difficili da coltivare. L'origine dei Bantustan, le famigerate "patrie tribali" dell'apartheid, è questa.
Ora, a cosa servivano i Bantustan? A rinchiudere i neri? A tenerli lontani dalle miniere d'oro e diamanti del Witwatersrand? Dai latifondi dei Boeri? Dalle metropoli "bianche"? Solo in parte. In realtà i neri continuarono ad affluire a migliaia, a milioni, in quelle miniere, in quei latifondi, in città come Johannesburg. Ci arrivavano come lavoratori migranti. Lavoratori privi di ogni diritto legato alla cittadinanza (essendo essi, formalmente, cittadini dei Bantustan, delle loro patrie tribali, che nessuna nazione al mondo riconosceva come tali tranne ovviamente il Sud Africa e la vicina Rodhesia). Lavoratori assunti con contratti a termine - questo dalle imprese di maggiori dimensioni, in particolare dalle industrie minerarie - o semplicemente "in nero", come ancora oggi continuiamo a dire, e significherà pure qualcosa. Lavoratori che quindi, in virtù del loro particolare status, potevano essere espulsi inn qualsiasi momento. Lavoratori a basso costo, ammassati a decine in accampamenti di baracche malsane, ricattabili, resi docili dalla precarietà prima ancora che dalla violenza della coercizione. Lavoratori privi di famiglie al seguito (rimaste nei Bantustan), e dei costi sociali che esse generano, in termini di assistenza sanitaria, diritto allo studio e così via. Lavoratori che, una volta scaduto il loro contratto, venivano rimandati nei Bantustan; spesso a morire di silicosi o di una delle altre malattie contratte lavorando nelle viscere della terra per scavar fuori quella ricchezza che poi approdava in altra forma nei mercati europei, facendo la fortuna di realtà come la De Beers o la Anglo American Corporation. Chi sfuggiva alle maglie del sistema - spesso perchè il sistema stesso giudicava, in ultima analisi, che fosse meglio così -andava ad affollare le baraccopoli come Soweto, città-fantasma tollerate proprio in quanto serbatoi di forza lavoro a buon mercato, ma prive di qualsivoglia riconoscimento ufficiale e quindi smantellabili da un giorno all'altro, al minimo indizio di protesta o di rivolta.
Se qualcuno vede qualche analogia fra questa realtà e quella dei migranti clandestini di oggi, che affollano le campagne calabresi o le baraccopoli di tante città italiane, è ovviamente autorizzato a farlo. L'immigrazione clandestina non è una iattura che l'Italia si trova suo malgrado a dover sopportare; è un sistema funzionale ad un certo tipo di economia. Semisommersa, nella migliore delle ipotesi. Mafiosa, criminale, banditesca, nella peggiore. In questo sistema il clandestino è l'anello debole della catena. La sua "appetibilità", agli occhi del datore di lavoro, è data appunta dalla sua debolezza. Una debolezza che i proiettili dei boss o - in maniera meno cruenta ma non più pietosa - gli sgomberi forzati possono, se necessario, ribadire. Una debolezza accentuata dalla attuale legge sull'immigrazione, la Bossi-Fini del 2002, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno, della residenza e cittadinanza italiana solo alle persone che dimostrino di avere un lavoro o un reddito sufficienti per il loro mantenimento economico. L'uomo, questa entità complessa e per tanti versi misteriosa, questo impasto di vissuto, ereditarietà, emozioni, idee, passione, questa straordinaria "macchina desiderante", come veniva definita un tempo, ridotto alle sue funzioni economiche, a pura forza lavoro. In questo caso, forza lavoro "cheap".

Pubblicato oggi anche sul quotidiano "Il Trentino".

Bath, o come iniziare il 2010

Iniziato il 2010 con un breve viaggio a Bath, Inghilterra del sud.
Bello viaggiare a gennaio, un lusso il freddo, la luce invernale, crepuscoli e brina e i pochi turisti con lo spumante che ancora gli galleggia nel bianco degli occhi. Gennaio è stato spesso un mese di viaggi, sempre città o luoghi "circoscritti", da vedere a piedi, con calma, o parcheggiando la macchina sul lato di strade poco affollate, Oporto, la Maremma, Salisburgo, Venezia...
Bath, le colline del Somerset, mia figlia divertita dalle diversità fra l'Italia e questi antipodi così prossimi a noi, dove si guida a sinistra e la gente si scompone difficilmente, dove il formaggio non è Asiago ma Cheddar Cheese e nelle case c'è moquette anche in bagno.
Affido questo racconto alle immagini, intanto.



Le strade che salgono verso la Royal Crescent, la spettacolare mezzaluna di case di John Wood (il giovane, credo). In fondo, il campanile della cattedrale.



Ieri l'Inghilterra si è bloccata per la neve. Traffico paralizzato, voli cancellati. In verità, a noi orsi polari delle Alpi non è sembrata una situazione eccezionale...



Ed ecco la Royal Crescent. Sembra un palazzo nobiliare, in realtà sono abitazioni (con un hotel proprio nel centro della mezzaluna). Pare che uno degli appartamenti sia stato comprato da Nicolas Cage...
Comunque, i prezzi di questa città di origini romane, descritta nelle guide come "la Firenze dell'Inghilterra", non sono più alti che a Trento.



Mi piace fotografare le case. Mi piacciono i tetti.



Esterno della cattedrale di Bath. Starway to heaven.



Pomeriggio di gennaio a Wells, cittadina del Somerset. Ricordo di un altro campo da calcio, a Bolzano, sulle rive del Talvera, un altro gennaio, un altro gelido sole, altri crepuscoli, ombre & sogni...



Questa foto solo perché mi ricorda la celebre canzone di Peter Gabriel, illustre cittadino di Bath. Se ne parla anche QUI
Climbing up on Solsbury Hill
I could see the city light...

Ed è così.