Facce da Botox

Da "Yahoo" (ovvero, notizie dal mondo delle magiche non-notizie della rete)

"A dire il vero, il termine coniato dai medici per sottolineare quella che sta diventando una vera e propria ossessione anche nel nostro paese per il botox è Botulinofilia!
La voglia di essere sempre più belli e sempre più giovani, dilaga anche nel nostro bel paese con prepotente tenacia.
Basta fare due semplici calcoli per farsi un'idea di quanto questo "fenomeno" stia dilagando: negli ultimi anni, infatti, le persone che si sono sottoposte alla tossina botulinica sono state così tante, da far schizzare questo intervento al secondo posto assoluto tra quelli più richiesti nella chirurgia estetica.
A rendere noto il "preoccupante" fenomeno, sono stati proprio gli specialisti del settore, che si sono riunitisi in occasione del 14esimo Congresso internazionale di medicina estetica Agorà-Amiest a Milano.
La richiesta di una "spianatina" alle rughe, quindi, viene battuta solo da quella del ridimensionamento del profilo delle labbra ma il sorpasso, giurano i medici, è cosa possibile! Infatti, basta pensare al fatto che il botox, quattro anni fa, era "solo" al 4° posto tra gli interventi richiesti ed ora mantiene, solitario, il secondo posto."

Nella foto: no-botox face.


Rosa di una rosa


Philip Larkin - Aubade

Interamente debitore per questo post a http://poesiesenzapari.blogspot.it/


Philip Larkin

AUBADE


Lavoro tutto il giorno, a sera sono brillo.

Alle quattro sto sveglio nel buio muto, fisso.

Gli orli delle tende via via schiariranno.

Frattanto vedo quello che in realtà c’è sempre:

la morte infaticabile, d’un giorno intero più vicina,

che rende ogni pensiero impossibile tranne

come dove e quando dovrò morire io stesso.

Arido interrogarsi: eppure la paura

di morire, d’essere già morto,

lampeggia nuovamente, avvince e terrorizza.



La mente sbianca all’abbaglio. Ma non di rimorso

– il bene non fatto, l’amore non dato, il tempo

strappato e non usato – né disgraziatamente

perché una sola vita può spendersi tutta a riscattare

i suoi inizi sbagliati, e non riuscirci mai;

ma per il vuoto totale ed eterno,

la sicura estinzione alla quale andiamo incontro,

dove saremo persi per sempre. Non essere qui,

né in nessun altro luogo,

e presto. Nulla di più terribile, nulla di più vero.



Ecco un modo speciale di prendersi quella paura

che nessun trucco scaccia. Provò la religione,

quel logoro e vasto broccato musicale

creato a farci credere che non morremo mai,

tutte quelle sciocchezze del tipo Nessun essere pensante

può temere una cosa che non sente, senza accorgersi

che è questo a spaventarci: niente vista, niente suono,

niente tatto o sapore, né odore, niente con cui pensare,

niente da amare e niente a cui legarsi,

l’anestesia dalla quale nessuno si risveglia.



Così rimane ai margini della visione,

una piccola fioca presenza, un freddo immobile

che frena i nostri impulsi fino all’indecisione.

Tante cose potrebbero non accadere mai:

questa accadrà, e il capirlo deflagra furioso

in bruciante paura se ci coglie senza niente

da bere o compagnia. Il coraggio non serve:

vale a non spaventare altri. L’essere forte

non risparmia la tomba a nessuno.

La morte non cambia se frigni o se l’affronti.



Lentamente la luce cresce, la stanza prende forma.

Certo come un armadio sta quello che sappiamo,

che abbiamo sempre saputo, che non si può sfuggire,

ma nemmeno accettare. Una parte dovrà cedere.

Frattanto i telefoni vegliano, pronti a squillare

in uffici ancora chiusi, e l’intero indifferente

intricato mondo in affitto comincia a svegliarsi.

Il cielo è bianco come calce, senza sole.

Il lavoro va fatto.

Postini come dottori vanno di casa in casa.



Traduzione di Francesco Dalessandro

da Collected Poems, Faber and Faber, 1988

Sri Lanka - Landscape from the top of Sigiriya

 
Eravamo saliti solo io e Alice. Un sentiero attrezzato, però ugualmente vertiginoso. Si stava avvicinando il temporale. Fra le rocce, all'attacco della salita, branchi di scimmie ipercinetiche. Eravamo soli.
Siamo saliti sempre più su, gradino dopo gradino, aggrappati a vecchi ferri arrugginiti, avvitati alla parete rocciosa. Infine siamo approdati alla cima. Gli unici, fin quando non ci ha raggiunto una coppia di ragazzi cinesi. Uno di quei momenti belli. Quando sei in cima a qualcosa e vorresti salire ancora, di slancio, vorresti trovare la corda che pende dal cielo.
Non aveva piovuto, solo ammassi nuvolosi sopra la savana e i villaggi e le strade in riparazione e i corsi d'acqua e i chioschi e le rovine e i lodges e le risaie.
Boato nel ricordo, nel tempo che verrà.

Lou Reed - Men Of Good Fortune






Riflessione sulle origini familiari, da parte di un personaggio nichilista che non riesce a prendere posizione (tipico dei personaggi di Lou Reed).

Gli uomini di buona famiglia spesso fanno cadere imperi
mentre gli uomini di umili origini
spesso non possono fare proprio niente
Il figlio ricco aspetta la morte di suo padre
il povero può solo bere e piangere
e a me, a me non frega proprio niente

Gli uomini di buona famiglia molto spesso non riescono a fare niente
mentre gli uomini dalle origini umili spesso possono fare di tutto
Cercano di comportarsi da uomini gestiscono le cose
al meglio delle loro possibilità
non hanno un papà ricco su cui contare
Gli uomini di buona famiglia spesso fanno cadere imperi
mentre gli uomini di umili origini
spesso non possono fare proprio niente
Ci vogliono soldi per fare soldi, dicono
guardate i Ford,
non hanno cominciato così?
in ogni modo, per me non fa alcuna differenza

Gli uomini di buona famiglia
spesso desiderano morire
mentre gli umili
vorrebbero ciò che hanno loro
e morirebbero per ottenerlo
Tutte quelle grandi cose che la vita ha da offrire
vogliono avere i soldi e vivere
a me, a me non frega proprio niente

Gli uomini di buona famiglia
uomini di umili origini
Gli uomini di buona famiglia
uomini di umili origini...




Dublino


Vieni. Riempi quest’assenza. Riempi queste cavità risonanti. Vieni da laggiù dove sei, vieni dal tuo cielo, vieni sotto il mio. Non importa quello che hai fatto, non importa quello che ci è successo, non importa quello che abbiamo vissuto, non importa chi abbiamo lasciato, e come.

Vieni a Dublino, prendi la strada che sai, dall’aeroporto fino a qui. Sali i gradini, suona alla mia porta, non farti spaventare dalla distanza, non lasciar perdere per la pioggia, non pensare a quello che ci siamo detti l’ultima volta, a come lo abbiamo detto, tutti i corpi tesi, innervati di rabbia, corpi che si erano allacciati, corpi che si erano riconosciuti.

Vieni adesso, non lasciare passare un altro minuto, prenota l’ultimo posto, prendi un taxi, lascia una mancia generosa, lascia che luci azzurre ti inseguano vanamente, fatti portare agli imbarchi, non portare nulla con te, ci sono ancora le cose che hai lasciato quella sera, il tuo spazzolino, il tuo rasoio, la tua schiuma da barba, l’ombrello, il gel, la custodia dei tuoi occhiali, la t-shirt che indossavi la notte.

Vieni col tuo passo pesante, vieni con il tuo rancore, vieni con il tuo calore, lascia scorrere la pioggia oltre i vetri, lascia che il mare si alzi e sbatta con forza contro le paratie, lascia che i pali ondeggino nella bufera, che i tralicci crollino del loro peso, lascia che la grandine riempia i pozzi e i camini, che le vallate tremino di gelo, che i fiumi si prosciughino sotto la sferza del sole, che la terra si spacchi e lasci uscire i suoi fumi. Vieni con le tue scarpe italiane, vieni con la tua sciarpa di cashmere, con la tua borsa di pelle, con il tuo Joyce, passa oltre l’Abbey Theatre, passa il Trinity College, non sai quanti ci hanno lasciato l’anima? Supera di slancio il Temple Bar, non sai, oh, lo sai bene, lo sai eccome, quanti sono rimasti lì, troppo a lungo, una pinta e poi un’altra pinta? Passa il Liffey, non indugiare, non fissarti sull’acqua che scorre, non guardare il cielo, lo sai quanti ci hanno lasciato gli occhi? Vieni qui,stai con me, dietro ai vetri, stringiti a me, non portare niente, neanche un regalo, non portare il tuo passato, non portare nemmeno il nostro, di passato, vieni a mani vuote e stringimi, accarezzami, vieni a lasciarmi lividi sulla pelle bianca, vieni a incalzarmi, a insultarmi, a dissodarmi, ad ararmi, vieni con tutta la tua dolcezza, vieni con la timidezza che ti impedisce persino di ordinare al ristorante, con i tuoi pensieri dispersi, radunali, dammeli, fammici affondare le mani, fammeli toccare, fa che li separi per vederli meglio e poi mostrarteli, ecco, questo sei tu, guardati, riconosciti, ti aiuterò, li rimetterò assieme, per te, perché tu possa specchiarti, perché tu possa dire: “Sì, mi sembrava, ecco, mi sembrava di essere così, di essere stato, così, almeno una volta, ecco dunque la mia faccia, ecco la mia vita, ecco il pescato in fondo ai miei misteri, ecco le mie inclinazioni, i miei doveri, ecco l’arcobaleno che sciabola dalla mia infanzia all’attimo presente, ecco i colori di cui è intessuta la trama dei miei sogni.”

Vieni adesso, ci siamo fatti del male, ci siamo fatti del niente, voltandoci le spalle, ignorandoci, facendo come non ci fossimo mai incontrati, come se ci fossero paludi, fra noi, fogne scoperchiate, miasmi, fetori, trova la spinta dei tuoi lombi, trova il respiro possente per spiccare il salto, sopra le sabbie mobili dell’orgoglio, la tagliola dei piaceri occasionali, la falsa coscienza del tempo che passa, le ore-ore di televisione, computer, biblioteche, shopping, le domeniche vuote, le palestre, le saune, i film, i romanzi, i segnali di fumo, le carte geografiche, le vacanze prenotate, le partenze rimandate, lascia che il vento gonfi la coda del tuo cappotto, sollevi il colletto della camicia, faccia vela con ogni tessuto che indossi, ti trascini via da ovunque tu abbia trovato rifugio, segui la strada che sai attraverso la cortina della pioggia, segui i graffiti sui muri, parlano di te, segui le vetrine, i neon, i manifesti, i battenti di ottone, i giardini, le insegne dei pub, segui le geometrie orgogliose, i profili fatiscenti, le chiese, i cambiavalute, i fast food, i ristoranti cinesi, le scritte in gaelico, segui la corda rossa della memoria, vieni in questa via di Dublino, bussa a questa porta, entra, togliti il cappello, scuotiti, siediti, fa che io sia, di nuovo, la tua casa.