La rana era un uomo


Domani toglieranno la rana di Kippenberg dal Museion di Bolzano. Tornerà a casa, dal collezionista privato che l'aveva momentaneamente prestata al museo. Il suo valore nel frattempo si è moltiplicato.


L'arte contemporanea a volte è irritante, altre volte irrilevante. Serve a aggregare la gente, a vendere birra e musica, a rimorchiare. Spesso gli artisti cercano la provocazione, perché si parli di loro. La provocazione ci può stare, ovviamente, ma poi devo trovare anche dell'altro. Nella Factory di Andy Warhol c'erano i Velvet Underground, e loro da soli sarebbero bastati a giustificare la Factory.

Ma la rana non ha niente a che vedere con questo. Quando la guardo io non penso a un cristo-rana, non penso a uno sberleffo alla religione. Penso a quello che l'artista voleva raffigurare, cioè se stesso. In croce io vedo l'uomo, anzi, gli uomini, quei tanti uomini persi che traboccano dai bar, dalle sale corse, da dispensari medici. Avvinazzati, alcolizzati, con il boccale e l'ovetto-il-micropasto-dell'alcolista-in-piedi al-bancone-del-bar in mano. Penso ai personaggi di Bukowski.
La rana è l'uomo, è l'uomo che sta su quella croce, non un dio e nemmeno un uomo-dio. Solo l'uomo, è un uomo, col fiato che puzza di birra, gli occhi strabuzzati, che si contorce, si stira, gli scappa da pisciare, prova a saltare e nemmeno quello riesce a far bene, nemmeno il salto della rana perché le sue mani sono inchiodate al legno della croce (come quelle dello studente su un banco di scuola in un'opera di Cattelan, guarda caso, e viene da chiedersi: chi ha copiato chi?). Quello che mi disturba di più della chiesa e dei politici ipocriti che sguazzano in queste cose, è che si fermino all'interpretazione più scontata. Il che è indice della loro scarsità di immaginazione.