A STORY TO TELL


"Sono bravi perché per ogni canzone sembrano mettersi d'impegno a raccontare una storia".
Era vero quello che lei mi stava dicendo, ed era tutto quel che c'era da dire. Nel modo di cantare, di gestire i dialoghi fra le due chitarre, i pieni e i vuoti, le accelerazioni e le pause. Guardandolo si vedeva, come in filigrana, un pezzo importante di storia della musica recente. Dylan, a cui era stato accomunato agli esordi, i Velvet Underground, le New York Dolls, Patti Smith, Springsteen. A dispetto dell'aspetto folk, del look da cowboy vagabondo, era stato un rocker a pieno titolo, nella New York degli anni '70. Si vedeva soprattutto che amava fare quello che stava facendo. Che lo faceva con sincerità, passione, il lato romantico, le strade, i piccoli teatri di periferia come questo, le foto sfocate, il fumo che si alza dai tombini, gli amori. Il suo chitarrista, Oliver Durand, vero guitar hero.
"L'ho conosciuto alla Fnac di Versailles, Elliott Murphy, presentava il suo libro di poesie", ci ha detto una delle organizzatrici. Da anni vive a Parigi, ha lasciato l'America nel 1990.
Alla fine hanno suonato realmente unplugged, a bordo palco.
Averlo fatto e averlo fatto fino in fondo, anche quando era difficile, anche quando i dischi non vendevano. Averlo fatto e farlo ogni sera, anche davanti a 100 persone scarse. Farlo così, raccontando storie, dando al pubblico emozione, brividi, qualcosa da ricordare. Essere, insomma, un vero artista.