Una costa conosciuta che si allontana

(raccontino)

La guardava cantare e vedeva in lei la sua stessa arroganza, tipica dei timidi, la stessa noncurante ambizione, il talento mescolato ad una naturale insofferenza. Vedeva l'uomo trent'anni prima, i capelli sul viso, a proteggersi e a sfidare, solo che il suo talento all'epoca non si esprimeva nel canto ma nella scrittura.
Si vedeva nell'atto di ritirare un premio con la sinistra infilata nella tasca, si vedeva con la camicia azzurra fuori dai pantaloni. Dare del tu ai professori. Andare in giro da solo per strada mangiando una mela o fumando precocemente.
Certo, c'erano anche le differenze. Nel modo di vestire, di impiegare il tempo, lui ne aveva avuto molto di più, a disposizione, anche per annoiarsi. Nei modelli da imitare. Forse, in un diverso stadio della maturità.
Sapeva però che queste sono cose destinate a evaporare, lasciando sul fondo l'intima essenza, quel nucleo duro e inattaccabile che non si scioglie, le propensioni alla felicità e all'infelicità, i modi di reagire, insomma, ciò che conta, il precipitato, la base, ciò che rimane in cima alla forchetta.
La vedeva guardarsi attorno, infastidita che una compagna avesse stonato. Ridere con la spavalderia dei ragazzi per le formalità del mondo adulto. Cercare con gli occhi la complicità di un'amica.
Guardava quell'apparizione sul palco, quella voce solista che spiccava sulle altre, come si guarda la riva di una costa conosciuta che lentamente si allontana, stupendosi del tempo passato e passato assieme, stupendosi di più ancora per il fatto che lui, lì, non si sentiva cambiato affatto da quando la portava in giro sulla carrozzella, sotto ai cieli siderali di un altro inverno. O forse non è così, è che i cambiamenti lenti, che sgocciolano giorno dopo giorno, sono come l'agonia dell'aragosta in pentola, li si avverte troppo tardi o troppo alla fine.