Genova per chi

Non sono andato a Genova 10 anni fa, ma per poco. Ero appena stato in Congo con Beati i costruttori di pace, stavo riscoprendo il gusto della "partecipazione", condividevo molte delle idee no-global e penso che a 10 anni di distanza si siano rivelate in gran parte giuste, esatte. Quello che molti chiedevano allora ai potenti, un'economia diversa, la Tobin Tax ecc. forse avrebbe salvato il mondo dalla crisi attuale.
Oggi anche Obama mette in piedi think thank sull'economia etica. Oggi quei discorsi li fanno i Nobel al Festival dell'Economia di Trento. Ci avessero pensato allora, anziché prendere a mazzate i manifestanti.

Ma non sono andato a Genova. Dovevo scendere il secondo giorno. Dopo la morte di Carlo Giuliani mi son detto: "Troppa violenza". E devo anche dire che non provavo una viscerale simpatia per i maestri di allora, da Gino Strada (che presentai in una serata pubblica a Trento, affollatissima come per una star della tv) ad Agnoletto. Secondo me, dopo quella prima disastrosa giornata, i leader del movimento avrebbero dovuto fare qualcosa. Era chiaro che tutta la faccenda era un funesto trappolone. A volte una ritirata strategica consente di riorganizzare le forze ed evita perdite inutili.
Ovviamente, questo non discolpa i macellai della Bolzaneto.

In questi dieci anni si è visto di tutto. La globalizzazione è stata indicata come la panacea di tutti i mali, gli economisti invitavano a guardare all'Irlanda come a un modello, poi è arrivato il 2009. Presto (questa espressione in una prospettiva storica può voler dire fra 30 o 50 anni) grazie alla globalizzazione l'Europa diverrà periferia dell'Asia, ma la cosa non mi turba particolarmente, non mi spaventa l'idea che saremo più poveri. Certo, quando vedi gli aeroporti africani pieni di cinesi ti rendi conto che qualcosa nel mondo è cambiato.

Le guerre non hanno risolto nulla. Però penso sempre che lo slogan ginostradiano "contro la guerra senza se e senza ma" sia di una banalità estrema. Io sono a favore dei se e dei ma. L'Iraq è stata una vergognosa porcheria; pazzesco pensare oggi che a qualcuno, in Italia, Tony Blair sia potuto apparire come un modello.
Ma il principio del diritto di ingerenza nelle faccende interne degli stati per tutelare i diritti umani è sacrosanto e mi pare sia stato scritto col sangue già a Sarajevo e a Srebrenica. Disgraziatamente è difficile farlo valere, sia con la forza del diritto (le leggi non sono nulla se non puoi farle applicare coercitivamente), sia con la forza delle armi (lo stiamo vedendo in Libia) sia con le sanzioni (a voltre funzionano, vedasi l'ultima fase del regime di apartheid in Sud Africa, ma chi applicherebbe sanzioni alla Cina per la sua politica in Tibet?).

Il movimento dei movimenti è rifluito. Oggi la protesta è più corpuscolare e la valle di Susa non è Seattle (e neanche Porto Alegre). Penso che rispetto ai movimenti precedenti (68 e 77, essenzialmente) i no-global siano mancati sul piano estetico. Può sembrare cosa da poco, non lo è. I movimenti degli anni 60 e 70 hanno avuto la loro musica, il loro look, i loro feticci. La loro way of life, insomma. I no-global molto meno. Certo, la rete, la grande novità (ai tempi della Pantera era stato il fax). Però la rete è tecnologia, quindi è neutra.
E a parte l'informatica, poco altro di realmente originale. Manu Chao, il cibo a chilometri zero, certe lotte simboliche che mi lasciano perplesso (come quella contro gli inceneritori, che sono meno dannosi delle discariche), la pubblicistica militante che si ritrova negli scaffali delle librerie più fornite (invoglia pochissimo)...

In compenso, una certa sensibilità si è diffusa ad ogni livello, anche nelle istituzioni. Ciò che si è perso nella spinta movimentista lo si è forse guadagnato sul versante delle politiche pubbliche. Dalla valorizzazione delle culture locali (anche se spesso scivola nel folclore)alle politiche ambientali (riciclaggio, risparmio energetico ecc.).
E se persino uno dei massimi romanzieri americani, Jonathan Franzen, cita il Club di Roma (che è roba degli anni '70 ma anticipa ciò che nei 2000 è divenuto patrimonio collettivo) vuol dire che certe idee sono ormai sedimentate.
Basta questo ad arrestare "l'orrore economico", per citare uno dei testi-base del movimento? Sembrerebbe di no, in effetti. La risposta alla attuale crisi finanziaria è stata ovunque unanime: più sviluppo. Nessuno ha pensato di sfruttare questa circostanza per ragionare di sviluppo diverso. La salvezza viene affidata alle tecnologie (green, ecosostenibili ecc.). Il che dà l'esatta misura di quanto poco conti oggi il pensiero umanistico.

Ieri mia moglie ha detto che i film della Coppola sono belli e moderni perchè fotografano esattamente l'epoca che stiamo vivendo, un'epoca "vuota", senza grandi passioni. Mi è venuto in mente ancora Baumann. Mi è anche venuto in mente, però, che il concetto di vuoto in certe culture, ha un'accezione positiva, non negativa.