Brothers (and sisters)



C'è qualcosa di oscuro che mi attrae in una canzone così, in una way of life come questa, "Brothers and sisters", ovvero sentirsi parte di un gruppo, una comunità, avere persone che puoi chiamare "fratello" o "sorella" anche se sei figlio unico.
Tutto il gran discutere che si fa attorno al tema dell'identità - la riscoperta del territorio, delle radici, giù giù fino alle nevrosi leghiste, alla falsificazione pura, all'invenzione di tradizioni inesistenti (dal dio Po a miss Padania) - va a parare qui, alla fine. Il bisogno di sentirsi parte di qualcosa di più grande, l'inconsistenza dell'individuo in quanto tale.
30 anni fa la risposta sarebbe stata: coscienza di classe. Oggi: etnia, territorio, campanile. L'identità incardinata al suolo, al luogo in cui hai avuto l'avventura di nascere.

La mia domanda è: davvero la mia identità è determinata dalle mie origini? E' tutto lì? I miei fratelli e sorelle sono tutti gli abitanti con i quali condivido lo spazio geografico in cui vivo e lavoro, e dove pago le tasse?
Ho sempre trovato questa tesi inaccettabile.
E se a me i cori di montagna non piacciono, né gli Schutzen? Se mi piacciono questi negri, invece, questi Urban Species? Se non mi commuovo quando sfilano gli alpini in parata? Eppure amo la mia terra, credo di sì. Amo il paesaggio, amo la luce obliqua che colpisce i versanti delle vallate e le superfici delle case, ad una certa ora del giorno. Amo persino gli svincoli dell'autostrada, i quartieri senza grazia degli anni '60, non vorrei vivere a Pienza, non vorrei vivere in una città-museo, amo queste cose qui, marciapiedi e insegne al neon.

Ripeto, basta questo per sentirsi parte di una comunità? Oppure l'identità è una scelta, è l'insieme dei miei cammini, dei miei percorsi, non (solo) dei miei luoghi?
Io voglio scegliere, certo. Musica americana, letteratura tedesca, cucina cinese, studi di africanistica, perché no?
Edoardo Bennato - il cantautore - aveva già liquidato questa faccenda molti anni fa, ricordo perfettamente l'intervista che lessi su "Ciao 2001", per me vale quanto tutti i testi di antropologia che ho letto in seguito: "Mi dicevano di portare avanti la tradizione, la musica napoletana, ma se io al mattino quando mi svegliavo sentivo le canzoni di Little Richards e J.L. Lewis quella era la mia tradizione, non gli stornelli."