Baby, pensaci su



Esegesi di una canzone (e pazienza se il video è inadeguato).
E' una canzone minore del repertorio di Lou Reed, incisa per un album che in pochi hanno apprezzato. Lontana dal "mito" che il cantante newyorkese ha costruito attorno al suo essere "maledetto", lontana dall'ambiente trasgressivo della Factory di Andy Warhol e dai suoi personaggi, quelli che popolano Walk on the wild side.
Per questo, secondo me, è uno di quei brani che rendono Lou Reed autore universale, capace in pochi accordi e pochi versi di parlare di cose che toccano tutti. Come uno scrittore. Come il Delmore Schwartz di cui fu allievo in gioventù alla Siracuse University.

Un dialogo. Nel cuore della notte. Vediamo le luci al neon, fuori dalla finestra. Forse l'asfalto bagnato. Forse un taxi solitario che rientra. Lui si sveglia, la guarda. Si suppone che è già del tempo che stanno assieme, che si conoscono, che scopano assieme ecc.
Ma è come se la vedesse per la prima volta. Cos'è che nota, cosa mette a fuoco, di là dal suo profumo, che ha ancora sulle labbra? La sua mente meravigliosa. E subito dopo, la sua grazia. Ma la sua mente meravigliosa è perfetto. Non vale più questo di diecimila dichiarazioni sulla parità fra i sessi? Lui osserva non visto "la sua mente meravigliosa".
E poi, un colpo di testa tipicamente maschile: la sveglia all'improvviso, per offrirle il suo cuore. Avrebbe potuto farlo diversamente, con l'anello e le altre stronzate, avrebbe potuto farlo in mille diverse occasioni ma è adesso che lo fa, perché è adesso che lo sente.
E poi, il Lou Reed rocker, duro, distaccato, timido? ha la meglio, e non c'è più spazio per parole di miele, non c'è spazio per le svenevolezze. Siamo nel cuore della notte e questa è una coppia adulta, urbana, navigata. Tutto ciò che può aggiungere è: "Pensaci su".

C'è uno stacco. Uno potrebbe pensare che la canzone è finita. Invece, riprende l'accordo, la melodia si sgrana di nuovo, semplice e perfetta, senza alcun orpello, tranne quelle poche note di pianoforte, abbozzate su un pianino come da uno studente del secondo anno di conservatorio, quasi ingenue. Perchè questa è una canzone "alla pari", perché dopo avere sentito il punto di vista di lui dobbiamo sentire quello di lei. E lei la prende alla larga, divaga, dice che da qualche parte (forse in quel letto, forse in quella precisa congiunzione astrale), ci dev'essere un posto dove tutto è perfetto, tutto è grazia (e non è terribilmente femminile, questa espressione? E non è forse la stessa che lui ha usato un attimo prima?).
Così, sì, abbiamo fatto della strada assieme, siamo una coppia, dormiamo assieme, il momento della passione che acceca e del cuore che batte più velocemente al primo bacio forse è passato, o comunque passerà, ma proprio per questo - saggiamente - dobbiamo stare attenti, perché se chiedi il cuore di una persona, devi essere abbastanza, ascoltami bene, tesoro, abbastanza in gamba da saperlo amare sul serio...
E così, specularmente, la soluzione è la stessa: pensaci su, visto che mi hai svegliata, visto che non potevi aspettare fino a domattina, cerca di dominarti e riflettici. Chiediti se veramente è questo ciò che vuoi. Pensaci bene su.

Anche questo è rock, consapevole del suo potere espressivo. Questo è il rock che va al di là delle scemenze commerciali di Mtv (ora che hanno tolto anche "Brand news"). Questo è il rock che non soffre di sensi di inferiorità nei confronti di Hemingway o di Franzen o della Lessing. Questa è la colonna sonora degli anni nostri, la batteria a portare il tempo, perchè senza batteria, comunque, non c'è gusto, anche se il pezzo è un lento. Questa è la colonna sonora della nostra vita.

Waking, he stared raptly at her face
on his lips, her smell, her taste
Black hair framing her perfect face
with her wonderful mind
and her incredible grace

And so, he woke, he woke her with a start
to offer her his heart
for once and for all, forever to keep
And the words, that she first heard him speak
were really very sweet
he was asking her to marry him, and to

Think it over
baby, think it over
Think it over
baby, why don’t you think it over

She said, somewhere, there’s a faraway place
where all is ordered and all is grace
No one there is ever disgraced
and everyone there is wise
and everyone has taste

And then she sighed, well la-dee-dah-dee-dah
you and I have come quite far
and we really must watch
what we say
Because when you ask for someone’s heart
you must know that you’re smart
smart enough to care for it, so I’m gonna

Think it over
baby, think it over
Think it over
Baby, I’m gonna think it over

Al risveglio guardò assorto il viso di lei
sulle labbra il suo profumo, il suo sapore
capelli neri che le incorniciavano il viso perfetto
quella sua mente meravigliosa
e quella sua incredibile grazia

E così la svegliò, la svegliò di colpo
per offrirle il suo cuore
una volta per tutte, per sempre
e le prime parole che lei udì da lui
erano davvero così dolci
le chiedeva di sposarlo, e di

Pensarci su
tesoro, pensaci su
pensaci su,
tesoro, perchè non ci pensi su?

Lei disse: da qualche parte c’è un posto lontano
dove tutto è ordinato e tutto è grazia
nessuno è mai nella disgrazia lì
e tutti sono saggi
e tutti hanno buon gusto

E poi sospirò, be’ la-dee-dah-dee-dah
io e te abbiamo fatto tanta strada
e dobbiamo davvero stare attenti
a ciò che diciamo
perché quando chiedi il cuore a qualcuno
devi sapere che sei bravo
bravo abbastanza da preoccupartene, quindi

Ci penserò su
tesoro penserò su
ci penserò su
tesoro ci penserò veramente su.

ps: poi Lou Reed ha divorziato, si è messo con Laurie Anderson...ma questa è un'altra storia.

Ayuub



Ricordo della Somalia. Era l'autunno del 2004, a Merka. Il Parlamento somalo provvisorio riunito in conclave a Nairobi avrebbe eletto in quei giorni Abdullahi Yussuf a nuovo presidente del Paese (è durato poco, in quanto tale).
In questi giorni qui, invece, i giorni della "rivoluzione illuminista" del Nord Africa (o del 68' del Nord Africa, visto il ruolo giocato da una nuova generazione di studenti universitari) alcuni commentatori paventano un "rischio Somalia" per la Libia. Il rischio, cioè, di una dissoluzione dello Stato senza che nulla ne prenda il posto. Quindi, la frammentazione, l'anarchia militare, il ritorno alle cabile, ai clan.
In Somalia in effetti dopo la caduta di Siad Barre, ormai vent'anni fa, lo Stato centrale si è dissolto. Fino ad oggi, nessun tentativo di ricomposizione è riuscito. C'è chi teorizza che la Somalia sia in fondo un esempio di anarchia istituzionalizzata e dati alla mano prova a dimostrare che gli indicatori sociali, almeno in certe zone del paese, non sono peggiori ma anzi migliori rispetto all'epoca di Barre. Una tesi un po' ardita.
Comunque sia, una delle regole più citate in politologia è che la politica non tollera vuoti di potere, che se un potere crolla qualcosa o qualcuno devono prendere il suo posto. In Somalia, all'epoca, furono i signori della guerra, i clan, poi più tardi anche le corti islamiche, i vari, fragilissimi governi tenuti in piedi grazie alle truppe dell'Unione africana e agli americani ecc. Nulla di definitivo, comunque. A tutt'oggi lo Stato in Somalia non c'è.
Un'altra regola politologica viene meno citata (forse non è nemmeno una regola): nessun potere dovrebbe mai rimanere troppo a lungo nelle stesse mani. Spesso invece, succede proprio questo. Anche con l'aiuto esterno. E' successo con tanti leader africani (Mobutu in Zaire un chiarissimo esempio), è successo con tanti dittatori nell'ex-Europa dell'est. Nell'era della Guerra fredda la logica delle superpotenze era quella del "nostro bastardo": sappiamo che (Mobutu, Somoza, Menghistu o chi per loro) è un bastardo, l'importante è che stia nalla nostra parte, che sia un nostro bastardo". Nel suo piccolo, l'Italia ha fatto la stessa cosa con il "cane pazzo" libico.
Non significa peraltro che questi fossero governi-fantoccio, il consenso interno se lo procuravano comunque. Gheddafi ha goduto a lungo di un ampio consenso, in Libia. Sicuramente troppo a lungo.

ps: in questo video compare Mana Sultan (scomparsa nel 2007), che io e Alessio Osele conoscemmo a Merka, appunto, e che ritrovammo poi varie volte in Trentino. Figlia dell'ultimo sultano della città di Merka (ricordato come un leader illuminato, che liberò i Bantu dalla schiavitù strisciante a cui i Somali li sottoponevano da tempo immemorabile) è stata donna dai molti talenti. Tra l'altro, come racconta qui, si battè a lungo contro l'infibulazione, proponendo di sostituirla con un rito alternativo, che salva la forma di questa pratica - considerata necessaria per il passaggio all'età adulta - e ne neutralizza la sostanza distruttiva (è la prassi della "riduzione del danno", insomma).

La lezione del Nord Africa

(sul "Trentino", qualche giorno fa, scritto una settimana prima che iniziassero i disordini in Libia. Col cuore, stasera, sono in piazza a Tripoli).


Quanto è successo nei giorni scorsi in Egitto e in Tunisia non può che essere considerato con favore da quanti hanno a cuore i valori della democrazia. Si è trattato – per quanto se ne sa - di “rivoluzioni” dai caratteri piuttosto nuovi, specie per l’area Nordafricana e Medio Orientale: relativamente incruente, popolari e nate “dal basso”, non fomentate da forze riconducibili all’integralismo islamico. Anche le proteste che stanno emergendo in Algeria ci mostrano un paese diverso da quello di vent’anni fa, dove alle elezioni del 1991 e al successivo colpo di stato dell’esercito era seguita l’ondata di violenza scatenata dal movimento ultrafondamentalista del Gia.
L’auspicio è dunque che la costruzione della democrazia faccia il suo corso, dando soddisfazione alle legittime aspirazioni della società civile, in particolare dei giovani e delle donne che abbiamo visto scendere in piazza in questi giorni per denunciare i mali della repressione e della corruzione.
Detto questo, vale la pena forse di aggiungere qualche ulteriore elemento di giudizio, partendo dal “fattore sorpresa” che contraddistingue le cadute rapidissime e quasi simultanee di Mubarak e di Ben Ali. Sorpresa in primo luogo per l’opinione pubblica occidentale che ha sempre guardato ai due paesi come a dei paradisi turistici retti da autocrazie tutto sommato “soft”, legittimate assai debolmente, sul piano democratico, da elezioni-farsa, di fatto dei plebisciti, e tuttavia in grado di garantire un sostanziale equilibrio sia sul piano interno sia soprattutto su quello internazionale. E, nella sostanza, è pur vero che Mubarak non può essere associato sic et simpliciter ad esempio a un Gheddafi, il quale ha fomentato per anni il terrorismo internazionale nonché un buon numero di conflitti nello stesso scacchiere africano (sarà curioso a questo proposito vedere quale sarà l’atteggiamento dell’Italia e in particolare del nostro presidente del Consiglio, se il vento della democrazia, com’è auspicabile, comincerà a soffiare anche su Tripoli).
Hosni Mubarak, già eroe della guerra del Kippur, ha governato per trent’anni l’Egitto in maniera sì autoritaria, senza mai abolire lo stato di emergenza in vigore dalla morte del suo predecessore Sadat, ma conservando buoni rapporti con Israele e destreggiandosi abilmente nelle intricate vicende delle Guerre del Golfo (L’Egitto si schierò contro Saddam Hussein nel 1991, dopo l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, ma si rifiutò di appoggiare la coalizione guidata da Usa e Gran Bretagna nel 2003). La sua caduta, a meno di prossime, clamorose rivelazioni, sembra dovuta pressoché esclusivamente a fattori interni – la crisi economica, il nepotismo sfacciato, il malcontento dei giovani - e molto poco, o forse per nulla, a pressioni esterne. Questo deposita a favore della causa di una “rivoluzione autentica”, al tempo stesso rivelando la volatilità delle relazioni internazionali e l’ipocrisia della formula coniata qualche anno fa dai neocon americani: “esportare la democrazia”. Se gli egiziani sapranno darsi un governo democratico, stando alle vicende di questi giorni, sarà esclusivamente per merito loro.
Il ragionamento vale anche per la Tunisia di Zine El Abidine Ben Ali, che nel 1987 aveva esautorato, in maniera peraltro non traumatica, il “padre dell’indipendenza” Habib Bourguiba, ormai senescente. La Tunisia di Ben Ali è stata, per più di vent’anni, un paese filoccidentale, aperto agli investitori stranieri, in grado di conseguire qualche risultato significativo anche sul piano della lotta alla povertà (nella misura in cui ciò è possibile nell’era della globalizzazione). Un paese del quale i dissidenti denunciavano il clima repressivo ma che non godeva complessivamente di una pessima reputazione, e che certo, fino ai primi di gennaio, non sembrava certo prossimo ad un cambiamento così improvviso,
Le vicende parallele di Mubarak e Ben Ali sembrano confermare una regola che, in politica, dovrebbe essere sempre tenuta presente: quando il potere viene tenuto troppo a lungo nelle stesse mani fatalmente si corrompe, degenera. Si guardi, per rimanere in Africa, anche al caso Mugabe: negli anni ’80, dopo la nascita dello Zimbabwe sulle ceneri della Rhodesia del sud, era un leader rispettato, a cui si perdonava facilmente di essersi sbarazzato senza tanti complimenti dell’opposizione; oggi, dopo trent’anni di governo, viene riconosciuto quasi unanimemente come un dittatore che ha portato il suo paese alla catastrofe. Del resto, forse la stupefacente caduta, nei primi anni ’90, dei partiti che avevano retto per tanto tempo le sorti della Prima Repubblica in Italia (Dc in testa), è lì a dimostrare che la regola del rinnovamento e dell’alternanza nella gestione del potere vale non solo per i regimi autoritari ma anche per quelli democratici.

...is an image lost in faded films



My sex
Waits for me
Like a mongrel waits
Downwind on a tight rope leash

My sex
Is a fragile acrobat
Sometimes I'm a novocaine shot
Sometimes I'm an automat

My sex
Is often solo
Sometimes it short circuits then
Sometimes it's a golden glow

My sex
Is invested in
Suburban photographs
Skyscraper shadows on a carcrash overpass

My sex
Is savage, tender
It wears no future faces
Owns just random gender

My sex
Has a wanting wardrobe
I still explore
Of all the bodies I knew and those I want to know

My sex
Is a spark of electro flesh
Leased from the tick of time
And geared for synchromesh

My sex
Is an image lost in faded films
A neon outline
On a high-rise overspill

My sex

John Turturro legge Allen Ginsberg



Riscopriamo. Ripensiamo. Riscriviamo. Scriviamo.

Passa una nuvola

(pillole...)

Passa una nuvola davanti alla luna piena, poi torna luce diffusa, alberi e asfalto.
Motivi per essere felici ce ne sono a bizzeffe, sopporta la lingua questa parola desueta? Espressioni del passato dei nostri padri ricompaiono nelle nostre bocche contemporanee, emozioni del passato dei padri senza internet e con poca tv nel presente dei figli, l'emozione di un sorriso, una carezza, l'ombra che una pianta stentata proietta per terra e fra le righe, bianche o gialle, la ricchezza dell'intimità. Lui pensa che le cose che danno gioia non cambiano mai, che da quella prospettiva il mondo potrebbe non essere cambiato molto, rispetto, diciamo...agli anni '40? Tranne la segnaletica, tranne i materiali e i bidoni per la raccolta differenziata.
C'è una chiesa alle loro spalle, c'è una pieve solitaria cintata da un muro e un cimitero all'esterno; dietro ancora, lo sprofondo, il buio del baratro a precipizio sulla città.

Passa un'altra nuvola davanti alla luna piena, solo un frammento di nuvola, un pennacchio di fumo, lui sta pensando a cose che non c'entrano nulla come elicotteri o cani, ma il cane c'è davvero, eccolo che compare sulla scena, incalzato dal padrone, si fanno piccoli dentro lo spazio angusto ma sono, nonostante tutto, perfettamente visibili.
L'emozione del riso che scoppia nel silenzio, una bolla sospesa a mezz'aria, il piacere puro della compagnia, la commedia. Il lato comico dell'esistenza, fatto di equivoci, figure fisse, sotterfugi, coppie infrattate, né troppo crudele né troppo innocente.
Poco lontano da lì sta iniziando una partita, campo di erba sintetica, i giocatori si riscaldano, piegano il busto, toccano con la punta delle dita la punta delle scarpe, poco lontano, ma non lì. Loro sono al riparo, fra le due righe bianche tracciate sull'asfalto.

C'è una canzone che parla di una notte in Italia, in un parcheggio in cima al mondo, rotola lenta da un orecchio all'altro, emisfero sinistro, emisfero destro, lei non si ricorda mai qual è quello duro, esatto, razionale, qual è quello morbido, onirico, etrusco, soddisfatta della posizione decide di rimandare il momento in cui avvolgerà la sciarpa di seta attorno al collo, nascondendo macchie di morsi.
Passa di nuovo il cane, passa il suo padrone, lasciano la scena, infilano la salita che conduce al paese.

Sua madre le aveva raccontato delle balere improvvisate un po' ovunque nei quartieri alla fine della guerra, anche in frazioni come questa, quattro case e una scuoletta, la messa e il ballo, le occasioni per incontrarsi, per scambiarsi sguardi minacciosi, ardenti, "temimi", "ti voglio", stai alla larga", "deciditi". Lei usa un'espressione licenziosa, sopporta la lingua dei computer questo aggettivo? Lui si sente autorizzato a rilanciare, i vetri si sono appannati, sul loro fiato lei disegna una nuvola, lui la sgrida, tenzone risolta in un bacio.

Passa un'altra nuvola davanti alla luna piena, uomo e cane sono già arrivati al campo da calcio, l'arbitro dà il fischio d'avvio, undici contro undici sull'erba sintetica finanziata dal Comune prima delle ultime elezioni.
Nelle balere i giovani si pavoneggiavano, sigaretta fra le labbra, volteggiare di gonne, i padri delle figlie scrutavano torvi, ex-soldati ed ex-partigiani, qualche mitra non consegnato nascosto in cantina, qualche caricatore per ogni evenienza, fervore di ricostruzione nell'aria, il vino spillato dalle botti, le sezioni di partito, immagini forti e semplici sui manifesti elettorali che si scollano dai muri.
Lui scende e s'infila la camicia dentro i pantaloni. La città giù in fondo, nella valle, dove la montagna precipita, attraversata da vene e arterie e capillari di luci, che s'inerpicano su per l'altro versante, verso altri paesi tessere di ambienti urbani seminate fra i campi di patate, separate da boschetti, poi più su ancora solo i pini, la roccia.

Torna dentro e accende il motore, fari sulle vecchie pietre. Lei ha la sciarpa attorno al collo e sorride. Passa un'altra nuvola davanti alla luna, è solo un profugo, il cielo è aperto e luminoso, e domani venerdì.

Mozambico: una banca per la solidarietà



Uno degli ultimi doc, relativo a un progetto realizzato dai trentini in Mozambico, nel distretto di Caia. A Caia e dintorni c'è ormai una sorta di mini-colonia trentina. Qualcuno/a si è sposato lì, qualcun altro/a ha aperto una piccola attività... E poi ci sono i cooperanti. Certo, beata la terra che non ha bisogno di aiuti. Del resto, il mondo non è fatto di realtà chiuse, di pianeti, di monadi isolate; tutto comunica con tutto e ciò a maggior ragione nell'era della globalizzazione. Vale per l'Italia come per l'Africa, trascinata a forza nell'arena mondiale cinque secoli fa nel peggiore dei modi, con la tratta degli schiavi. Che oggi in Africa arrivino buone prassi come quella del microcredito male non può fare, mi sembra. Le casse rurali (le cooperative in genere) sono state uno dei più potenti motori dello sviluppo del Trentino, terra da cui fino ai primi anni '60 ancora si emigrava. Adesso, una piccola cassa rurale, quella di Aldeno e Cadine, prova ad esportare una struttura specializzata in credito rurale in Mozambico (in accordo con le autorità finanziarie locali). Lo fa in un contesto economico basato ancora in buona parte sul baratto; lo fa per piccole somme, dopo cinque anni di attività nel settore con gruppi di risparmiatori locali seguiti passo passo da un "consulente" (passo passo significa verificare che la somma prestata venga sempre utilizata per l'investimento programmato, potendo generare un ritorno monetario e quindi garantire la restituzione del prestito).
Con queste premesse, l'impressione è che l'iniziativa possa avere successo, senza peraltro risultare troppo "invasiva".
Cosa significa successo? Che un gruppo di pescatori possa comprare una nuova rete da pesca. Che un allevatore possa comprare una mucca per sostituire quella che gli è morta. Che una donna intraprendente sia messa nelle condizioni di avviare un'attività commerciale (un chioschetto). Cose così. Nulla a che vedere con la grande cooperazione allo sviluppo, con appetiti smodati.

ELLIOTT MURPHY, 3 aprile, live in Zambana!



Non è mai diventato Springsteen, anche se Springsteen l'invita spesso sul palco per qualche jam session. Ma ha l'aria di essere felice così. A suonare in posti improbabili come Zambana, dove l'ho visto la prima volta, e dove si esibirà nuovamente il 3 aprile.

Ne ho scritto anche in "Music Box":

Elliot Murphy a Zambana, il paese semisepolto dalle frane, uno che ha conosciuto tutti i più grandi, ma è sempre rimasto una figura secondaria, suonò per quasi tre ore, prima i pezzi suoi, e poi quelli degli altri, da Presley a Dylan agli Stones, facendo ballare anche le cimici nascoste nei muri, una specie di juke box vivente con il cappello da cow boy, ironico sulla sua sorte bizzarra (“una zingara me l’aveva detto che dopo 30 anni di carriera finalmente sarei arrivato a suonare a Zambana!”), insomma fu grande, grandissimo, e ogni volta che torna qui dalle parti delle Dolomiti la gente va a sentirlo suonare e l’applaude.

Gayezze 2: under my umbrella



Per me questa versione è mille volte meglio di quella di Rihanna. E il video è spassoso assai...
E intanto all'orizzonte si profila la primavera.

Gaiezze/ i promessi sposi in 10 minuti

Evviva


Evviva per coloro che non hanno mai inventato niente
per coloro che non hanno mai esplorato niente
per coloro che non hanno mai donato niente.

Aimé Césarie