Settembre, 11.


Alcuni momenti in cui ho sentito la storia entrare nella mia vita. Quei momenti in cui ti chiedi: dov'ero?
Il ritrovamento del corpo di Moro (maggio 1978, primavera avanzata, la gente che ne parlava per strada ad alta voce. Nella memoria lo confondo con l'elezione di Pertini a presidente della Repubblica, più o meno nello stesso periodo. Mio padre era felice che un vecchio socialista che aveva fatto la Resistenza fosse arrivato lì).
L'elezione di Gorbaciov (marzo 1985: non andai a lezione, rimasi nella mia stanzetta di studente a Bologna a leggere La Repubblica).
Il crollo del Muro di Berlino (novembre 1989: nonostante tutto, istintivamente non ero felice. Ostentai indifferenza. Mi sono ricreduto).
L'inizio delle guerre jugoslave (giugno 1991: già facevo il giornalista. Non simpatizzai per la Slovenia separatista. Una delegazione del Trentino Alto Adige andò a Lubjana per portare la solidarietà dei nostri territori; non ero d'accordo. Comunque la questione bosniaca non è stata risolta, ed è facile capire perché: la Bosnia è uno stato multietnico, molto più di Croazia o Slovenia).

11 settembre 2001. Ero in Argentina, nella remota regione del Chaco, quel giorno ero volato nel cuore della foresta chiamata "Impenetrabile". E' lì che sapemmo dell'attacco alle Torri gemelle. L'ho raccontato in "Music box", ecco qui.

Fu così che, un pomeriggio di settembre, ci ritrovammo lontani, very very far away. Foresta dell’Impenetrabile, Gran Chaco argentino. Era una foresta arida, diversa da quella amazonica. Fatta di migliaia di arbusti spinosi, cactus e quebracho rosso. Una strada tracciata con il righello sulla polvere, come tante strade di questo Continente, diritta come il percorso di una pallottola per centinaia di chilometri, con varie diramazioni che conducono alle fattorie sparse nella solitudine, dove splendide ragazze conducono la loro vita allevando capre e aspettando l’unica festa dell’anno per far conoscenza con qualche potenziale marito.
Tornavamo dalla visita ad uno di questi ranch, dove avevamo girato delle immagini per un documentario. Stavamo seduti dietro, sul cassone del pick-up, temendo che un animale sbucasse all’improvviso dalla boscaglia (gli autisti lì guidano come se avessero il diavolo che li insegue, o peggio, il camion assassino di Duel). Paolo aveva la telecamera tra le gambe. Marco si riguardava le foto scattate sul monitor della camera digitale. Ad un certo punto, si profilarono il lontananza le sagome di tre uomini, che camminavano sul ciglio della pista.
Ci fermammo accanto a loro, offrendo un passaggio, come s’usa nelle regioni spopolate. Erano degli indios. Salirono sul cassone, e cominciarono a parlarci, ma non ci intendevamo bene, il loro spagnolo non era un granché e così il nostro. Usarono le mani: con una mimavano un aereo, quello si capiva (anche perché con la bocca facevano “wooonh …”), con l’altra un ostacolo, tipo una parete di roccia, su cui l’aereo ad un certo punto si andava a schiantare.
“Dove?”, gli chiedemmo. Pensavamo che uno dei piccoli aerei che volano nel Chaco dalla capitale Resistencia fosse andato a sbattere, anche se non immaginavamo come avesse fatto, visto che la regione è piatta.
“New York, New York!”.
Siamo arrivati ad un villaggio. Ci trascinarono in una casa, sul tetto svettava l’antenna parabolica. Dentro, in un salottino, parecchie persone stavano guardando la televisione, succhiando il mate con la loro bombilla, espressioni impenetrabili sui visi segnati dal troppo sole.
Ci girammo anche noi verso lo schermo, dopo avere salutato. Sembravano immagini di un film catastrofico, o di un video death-metal. Due aerei di linea che si sfracellavano, uno dopo l’altro, contro le Torri gemelle del World Trade Center.

L'11 settembre non è stato raccontato bene dalla letteratura. Neanche Don De Lillo, un grande, ci è riuscito. Molti eventi sono stati più sanguinosi di quello ma rimane senza dubbio il più incredibile, perché ebbe come teatro LA CITTA', la città per eccellenza, la città più sognata, immaginata, rappresentata e di quella città le sue punte più alte, il culmine di lisce superfici riflettenti, il luogo dove si fa il nodo... E la città, malgrado ogni sua mistificazione, rende liberi.