Non un partito ma un popolo

I colpi di coda del regime si colorano di tinte mistiche. E fosche.

Ieri il documento votato dal partito lo dice esplicitamente, quando spiega che il Pdl non è un partito ma un "popolo", che si riconosce nelle "democrazie degli elettori", e dunque non può contemplare il dissenso.

Così Ezio Mauro oggi su Repubblica.

In questo appello al "popolo" come ad un'entità indivisa, priva di sfumature, di conflitti, di interessi divergenti, riposa il germe di ogni totalitarismo. Dalla società corporativa fascista, cementata dal nazionalismo e dalla retorica imperiale, a quella formalmente egualitaria dei regimi comunisti, affratellata da una falsa mistica proletaria. Passando ovviamente per la sua espressione più terribile, quella fondata sul mito della razza ariana. In questo senso, il partito-popolo è speculare al partito-etnia e al partito confessionale (o partito-setta religiosa). Cosa può esserci al di fuori di esso? Il non-popolo, la non-etnia, la non-religione, dunque qualcosa di intimamente perfido, non omologabile, diabolico, "altro". Il male.
L'ultimo berlusconismo ha introdotto non a caso un elemento di suggestione ulteriore, l'amore. Già, perché come si può essere contrari all'amore? Chi è contrario all'amore è a favore dell'odio. Da qui a chiamare gli oppositori "scarafaggi" il passo è breve. E gli scarafaggi abbiamo visto che fine hanno fatto: nel 1994, in Rwanda.
Ma per fortuna in Italia non ci sono in giro tanti machete. E l'Italia non è il teatro di un conflitto esterno fra grandi potenze.
Fuori dal tunnel del berlusconismo, speriamo di trovare, finalmente, una democrazia compiuta.