X-Factor in my mind

L'altra sera a Milano per X Factor, di cui ho scritto qui altre volte.
Viaggio in pullman con fans e familiari dei Bastard Sons of Dioniso, che in Trentino sono diventati delle star (ma anche prima erano conosciuti, sono 4-5 anni che suonano nei pub e ai concorsi locali).
Qualche imbarazzo in un angolo del cervello per il gap generazionale: insomma, per me la musica è stata davvero molto (assieme alla letteratura), è stata lo specchio in cui mi sono riflesso, la voce che mi ha narrato, la sottolineatura dei momenti belli e di quelli tragici, l'amplificatore di tante emozioni. Sarà lo stesso per loro? Immagino di sì, a parte i gusti differenti (gli Ac/Dc, C.S.N. & Y. e Deep Purple li ho ascoltati anch'io, ma propendo per gente come Velvet Underground o Bowie). Solo che il pop, in tutte le sue sfaccettature, non riesce a togliersi di dosso, suo malgrado, una certa patina adolescenziale, e dunque: è lecito ascoltarlo con tanta passione dopo i 40 anni? Pete Townshend non cantava forse "Spero di morire prima di diventare vecchio"? (anche se canta ancora, il vecchietto!).
Fuori dal finestrino scorre la pianura, paesi addossati alle colline, la barriera delle Alpi alle loro spalle, scorci rurali con vista sull'autostrada, capannoni e masserie, campi, svincoli. Pausa-pranzo con panini e birra, un tavolo da festa campestre compare magicamente dal bagagliaio, organizzazione oliata da molte feste, suppongo. Poi musica, cori di montagna, fisarmonica (le radici rurali e il rock, questo connubio molto trentino, molto delta del Mississipi...) e la campagna entra in città, diventa città.
Ci fermiamo su un vialone, di fianco a un luogo assolutamente anonimo, una fabbrica dismessa, pare. Tutti sul pullman sono già stati qui, le scorse settimane. Conoscono le regole. Le cose da consegnare ai tre devono essere senza etichette (esigenze del reality), o con le etichette coperte dal nastro adesivo. Niente giornali, niente lettere, cellulari ecc.
Facciamo la fila, noi come troupe abbiamo un percorso privilegiato. Siamo in un grande loft, anonimo, pareti grige. Come spesso avviene, i luoghi dove succedono le cose sono poco appariscenti. Saliamo una scala. Dall'altra parte c'è lo studio sfavillante. Magari lo stesso fantasma del palcoscenico acquattato da qualche parte assieme al dottor Sax.
Velocemente si riempie, i familiari davanti, i fan club con gli striscioni alle loro spalle, la claque dà le istruzioni al pubblico, ma il pubblico smaliziato degli anni 2000 sa benissimo cosa fare.
E lo show ha inizio, non mi pare il caso di raccontarvelo perché l'avete già visto in tv (se vi piace X Factor). C'è chi dice che è uno spettacolo pessimo: a me, e mi ripeto, non pare proprio. Considerato che fino ad oggi l'unica trasmissione musicale in Italia era Sanremo (dai tempi di Mr. Fantasy, se non sbaglio) , beh...preferisco di gran lunga X Factor. Certo, c'è un limite, ed è dato dal fatto che si cantano solo pezzi noti (cioé cover): peraltro, proprio questa sua caratteristica ne fa una trasmissione musicalmente pedagogica. Anche lunedì abbiamo sentito, fra gli altri, brani come Impressioni di settembre o Whis you were here, e abbiamo sentito citare nomi come Robert Frip (da Morgan) e Blue Nile (da Bosé). Non male, per una trasmissione in prima serata. Dà l'idea che la musica che abbiamo sempre ascoltato (che non è Celentano o Mina) sia diventata finalmente patrimonio comune. L'interrogativo semmai è: vuol dire che i Pink Floyd o la PFM sono oggi la nuova leggera globale, buona per tutte le occasioni? Può essere. Ma poi, no, i Pink Floyd non sono "Siamo i Watussi" e nemmeno "E intanto il tempo se ne vaaa...". C'è dietro un altro spirito, un altro mood. Sono sempre sette note, ma anche le lettere sono sempre quelle, solo che ci puoi scrivere un romanzo di puro intrattenimento o uno di Hemingway, Pavese, Boll, Kundera.
Sanremo è lo spettacolo tradizionale, il presentatore col farfallino, la spalla, i siparieti comici, i fiori, il pubblico compassato in sala (con qualche goccia di rock, quest'anno gli Afterhour, per insaporire la pietanza), X Factor è un'altra cosa, è veloce, polemico, è un'arena dei leoni, i fan club ruggiscono sugli spalti, i giudici grandi mattatori. E poi, quella sfida vocale che abbiamo sentito l'altra sera, il canto del cigno di Ambre Marie, onestamente, è stata da brivido.
Nell'incontrare i disponibilissimi Bastard, infine, mi sono detto: questi sono veri, questi alla musica ci credono, lo show business, l'attenzione per il look e la scenografia (a volte fin troppo presente in X Factor) non li schiaccerà. Se invece potessero avere una chances, beh, ben venga. Allunghino le mani e colgano la mela d'oro.
Consapevoli delle insidie della società dello spettacolo, questo sì. Ci tenevano a lanciare un messaggio ai gruppi della loro valle con cui hanno suonato fino all'altro ieri, a dire loro che quando usciranno torneranno a fare cose assieme, e questo gli fa onore. Lamentano l'assenza della loro Natura, non edificata, non sono dei metropolitani, "l'unico albero che avevamo fuori di qui ce l'hanno tagliato". E se potessero scegliere loro un pezzo? Non i White Stripes, non gli Strokes o gli Arctic Monkeys: i Beatles :-)
Alla fine dello show tutti fuori tranne i familiari stretti e le fidanzate. I cantanti escono tutti assieme, con Gaudi. Dieci minuti per parlare, abbracciarsi, scambiarsi un po' di affettuosità. Poi l'organizzazione li sequestra e li conduce via nei loro loft.
In bocca al lupo, ragazzi. Come cantavano gli Who, the kids are allright.
L'intervista sarà visibile sul sito di Format, il centro audiovisivi della Provincia autonoma di Trento (http://www.audiovisivi.provincia.tn.it/)