Jann Halexander, lo sconosciuto


La folie d'Erik Satie (Jann Halexander) di ama124

Non so nulla di questo Jann Halexander, ho scoperto il pezzo cercando Erik Satie. Pare non se ne sappia molto. Di origini africane (Libreville, Gabon), ha iniziato la sua carriera di cantante autoproducendosi e vendendo i cd in internet. Pare che a lungo si sia dubitato della sua reale esistenza, e questo pone un dilemma filosofico: è importante l'opera in sé o, accanto ad essa, è importante l'autore, e con lui l'ambiente, il periodo ecc. Io ho sempre pensato l'opera. Che l'autore scompaia dietro ad essa, se necessario (ma il periodo? Quello conta. Conta sapere se quella cosa è stata scritta da Joyce, da un predecessore di Joyce o da un suo imitatore 50 anni dopo. Cambia tutto).
La marcia della (pop) culture contemporanea è andata nella direzione di glorificare il personaggio. Per certi versi parrebbe sia necessario essere prima qualcuno, poi eventualmente saper fare qualcosa. Certo, una cosa non esclude l'altra, l'incontro fra il saper essere (qualcuno) e il saper fare (qualcosa) produce i miti, le superstar (altro termine inventato da Warhol, che oggi suona così fuorimoda...).
La canzone è splendida. Ti toglie un po' di pelle di dosso.
Ci sarebbero molte cose di cui scrivere, oggi. Del Dalai Lama che decide di ritirarsi a meditare, esempio più unico che raro di politico che volontariamente cede il posto, sceglie di dedicarsi tout court alla vita spirituale. Della trascuratezza delle recensioni dei quotidiani, anche dei grandi quotidiani come "La Repubblica" (cose di cui mi accorgo solo io, che tristezza leggere, di un nuovo horror low cost, che a differenza di altri film del genere come Blair witch project questo punta sugli ingredienti del passato, paura sì, ma senza spargimenti di sangue, e tu a differenza del recensore Blair witch project lo hai visto due volte e sai benissimo che non si sparge una goccia di sangue, in quel film, ma tant'è, serve sapere di cosa si parla per parlarne?). Dell'orrore autoritario, che si annida anche nelle istituzioni apparentemente più innocenti, come la scuola, dell'inconsistenza dei professori, dei présidi, del pensiero che all'improvviso sfreccia da un lobo temporale all'altro: la nostra non è una società così mobile, dopotutto. Te lo fanno credere, perché a una scrivania ci puoi arrivare anche se sei figlio di operai, ma non sposerai una donna ricca, non diventerai ricco, a meno che tu non sia tremendamente ambizioso, a meno che tu non voglia essere davvero come loro.

Dei limiti naturali. Ed è forse la prima volta che ci penso così acutamente. Le persone possono avere dei limiti. Congeniti, non imposti dalla Macchina. Le persone possono avere dei difetti di fabbricazione. Non lo diceva Céline, degli scrittori? Non diceva che nascono con questa tara, di essere incapaci di godersi la vita così com'è, senza le manipolazioni a cui la sottopone il linguaggio?