Il tempo lento



Hai guardato l'orologio 5 minuti fa e ti sembra che siano passate ore. E' un'esperienza che abbiamo vissuto tutti. A scuola, aspettando la campanella della fine dell'ora; sul lavoro, mentre scalpiti per uscire, per vedere chi devi vedere, per fare quello che devi fare; all'angolo della strada o davanti ad una stazione, in attesa della persona amata; lasciando girare un programma sul pc, secondi che sembrano ore; vegliando qualcuno che fra poco non ci sarà più. Aspettando.
A volte mi chiedo come facevano i nostri emigranti, quando partivano, quando solcavano i mari, sapendo che anni e oceani li avrebbero tenuti distanti dai proprio luoghi, dai propri cari. Avevano più palle di noi, sicuro. E chi rimaneva, chi aspettava le loro lettere, dal fondo spazzato dai venti di un altro continente, dalle città fumiganti, dal centro della terra in cui scendevano con i loro picconi?
Il tempo lento dei cargo, il tempo lento dei treni locali, il tempo lento di chi non ne può più, di chi deve uscire, di chi deve andare. O tornare.

Einsturzende Neubauten. Ai loro esordi, scassavano i palchi con il martello pneumatico, prendevano a martellate i residui di una civiltà industriale che stava morendo, soppiantana da quella elettronica. Ma hanno scritto anche canzoni dolcissime. Come questa.