PIU' IMMIGRAZIONE NON E’ UGUALE A PIU’ CRIMINALITA’

Interessante questo appuntamento di oggi sul tema immigrazione-criminalità, con la formula del "Vero-Falso", nuovo format del festival dell'Economia.
Riporto di seguito il mio comunicato.

Più immigrazione uguale più criminalità? Questo il quesito sottoposto alla giuria di studenti universitari nel secondo appuntamento – particolarmente affollato - con “Vero o falso”, il nuovo format del festival dell’Economia. Coordinato da Federico Rampini, inviato di “Repubblica” negli Usa, introdotto da Paolo Pinotti (Centro studi della Banca d’Italia, “lavoce.info), il dibattito ha visto confrontarsi il sociologo dell’università di Bologna Marzio Barbagli e il docente di politica economica dell’università di Parma Francesco Daveri. Si sono ascoltate inoltre le testimonianze di David Card, Franco Pittau, Riccardo Puglisi e Linda Laura Sabbadini.
Tema appassionante e controverso, quello del legame criminalità-immigrazione. Ma la giuria, al termine dell’ampia discussione, non ha avuto dubbi: all'unanimità ha sentenziato che non è vero che a più immigrazione corrisponde più criminalità.



“Il quesito di oggi è probabilmente improponibile per molti dei presenti – ha esordito Rampini – ; teniamo conto però non solo del fatto che autorevoli personalità politiche si sono espresse in questi termini, più immigrazione è uguale a più criminalità, ma anche che il tema è continuamente discusso dall’opinione pubblica un po’ ovunque, anche negli Usa, la società apparentemente più aperta all’immigrazione.”
Pinotti ha ricordato a questo proposito che in Italia, secondo un sondaggio, circa il 60% delle persone dichiara di essere preoccupata della criminalità portata dagli immigrati. Non è una tipicità italiana; la media europea è del 70%. Ma su che cosa si fondano queste paure? In realtà i dati sono pochi, le conoscenze frammentarie. In termini di dati Istat, l’immigrazione è quadruplicata dai primi anni ’90 ad oggi; nello stesso periodo il tasso di criminalità è rimasto pressoché costante. Se guardiamo invece al tasso di incarcerazione, vediamo che la percentuale degli stranieri, sul totale della popolazione carceraria, è del 40% (anche se in totale rispetto alla popolazione italiana gli immigrati – regolari - non arrivano al 5%). Come si conciliano questi due dati? Un’ipotesi è che ci sia discriminazione, ovvero che l’immigrato venga giudicato più severamente o controllato di più rispetto all’italiano. O che alcuni lavori “di manovalanza”, anche nel settore dell’economia criminale, siano passati dagli italiani agli stranieri. Ma sono solo ipotesi. Ciò che si sa è che l’80% degli immigrati oggi in carcere sono irregolari. La percentuale della popolazione italiana che viene denunciata, invece, è pressoché uguale per gli italiani e per gli stranieri regolari.
Barbagli ha esordito ammettendo a sua volta che sulla base dei dati che oggi abbiamo a disposizione, non si può dare una risposta precisa al quesito posto dagli organizzatori del dibattito. Invece sappiamo altre cose: ad esempio che, in Europa, negli ultimi due secoli, la criminalità aumenta solitamente quando cresce la percentuale di popolazione giovane e di sesso maschile sul totale. Negli Usa, i molti studi condotti in passato hanno dimostrato che gli immigrati non commettevano più reati degli autoctoni, con qualche eccezione: una riguardava proprio gli italiani. La crescita di reati commessi dagli immigrati comincia ad emergere, come dato "allarmante", in Europa negli anni ’60, e pare riferita agli immigrati di seconda generazione. “I dati sulla popolazione carceraria invece non sono significativi – ha proseguito Barbagli – perché gli immigrati fanno molto più carcere preventivo degli autoctoni. Bisogna semmai guardare al tipo di reato: gli immigrati, ad esempio, in genere non commettono reati come le rapine in banca, mentre sono molto presenti nelle statistiche sui furti nelle abitazioni. Riguardo al reato di omicidio, invece, la quota sul totale dei denunciati è salita dal 5 al 35% e nel centro-nord al 50%. Questo dato effettivamente ci deve fare pensare. Per una parte notevole di questi omicidi la vittima è un altro immigrato, appartenente allo stesso gruppo di riferimento.”
In realtà, in Italia e in molti altri paesi europei, la criminalità, relativamente a molti tipi di reati, è in calo: secondo Barbagli ciò può essere spiegato innanzitutto con il fatto che è calata, in generale e soprattutto nel nostro Paese, dalla fine degli anni ’80, la popolazione giovanile, quella cioè compresa fra i 15 e i 24 anni, la cui propensione a delinquere è più alta rispetto alle altre fasce di età, specie per alcune classi di reati.
Daverio si è concentrato invece sui dati relativi al centro-nord, per dimostrare che, sì, forse una correlazione fra immigrazione e criminalità c’è. “Esiste una forte correlazione soprattutto per reati come furti, estorsioni e rapimenti, ed è più evidente a partire dal 2000. Ciò vale sia nelle regioni del nord sia in quelle ‘rosse’ del centro-nord. Quindi il punto non è tanto se un rapporto esiste, ma a che cosa è dovuto, se è la migrazione in sé che genera criminalità o se esistono circostanze locali, nei luoghi di accoglienza, che favoriscono l’ingresso dei migranti nel tessuto criminale.” In Spagna, paese di immigrazione recente come l’Italia, questa correlazione non si vede; la crescita dell’immigrazione, anzi il boom dell’immigrazione, non si è accompagnato a una crescita dei reati commessi dagli immigrati. Forse perché in Spagna l’immigrato trova più facilmente un lavoro regolare, e quindi non è “costretto” a commettere dei reati per vivere? E’ un’ipotesi non dimostrata, perché il tessuto economico dei due Paesi è simile. Tuttavia i dati mostrano che l’Italia attira mediamente persone meno alfabetizzate rispetto a quelle che emigrano in Spagna (ad esempio i molti albanesi giunti nel nostro Paese negli anni ’90). “La mia spiegazione dunque potrebbe essere questa: minor alfabetizzazione infatti è solitamente associata a maggiore propensione all’illegalità. Ma perché l’Italia attira soprattutto questa tipologia di immigrati? In parte, certo, perché siamo il Paese di “Gomorra”. Ma soprattutto perché in Italia, anche nel nord, in genere la legalità non viene rispettata – sul piano fiscale, del mercato del lavoro e così via - in primo luogo proprio dagli italiani.” Del resto, ovunque nel mondo, ha chiosato Rampini, l’immigrato clandestino è l’anello debole della catena del mondo del lavoro e il più esposto ad ogni genere di ricatto.
Sono poi seguiti gli interventi dei testimoni. Laura Sabbadini, direttore centrale Istat, ha invitato a leggere gli indicatori correttamente: fra questi non c’è il numero dei detenuti nelle carceri, falsato dal maggiore ricorso alla detenzione preventiva e al minore ricorso alle pene alternative. Altri dati, ad esempio quelli relativi alla vittimizzazione, mostrano che per alcuni reati – e solo alcuni (scippi, rapine) – la componente immigrata è rilevante. Ma le cose cambiano velocemente, a seconda della congiuntura economica, delle politiche di integrazione e/o regolarizzazione e così via. L’evidenza di oggi, insomma, non autorizza a fare previsioni per il futuro. Infine, attenzione a cosa ci mostrano i media, ovvero che gli stranieri compiono reati nei confronti soprattutto degli italiani. Non è così. “Nel caso di stupro, ad esempio, l’evidenza dimostra che gli uomini stranieri stuprano di preferenza donne dello stesso gruppo di riferimento; la maggior parte delle donne italiane, invece, viene stuprata dai loro mariti italiani”.
Pittau, della Caritas Migrantes, ha detto esplicitamente che l’affermazione contenuta nel titolo dell’incontro è falsa, il tasso di criminalità degli immigrati è pressoché uguale a quello degli italiani, ma se togliamo il reato di immigrazione clandestina è addirittura più basso; oltre a ciò, l’Italia in realtà sta meglio di altri paesi considerati più fortunati sul piano della diffusione della criminalità, come il Belgio e l’Inghilterra. “Dirlo chiaramente – ha aggiunto - attenuerebbe l’effetto di ‘assedio da parte della criminalità’ che parte della popolazione italiana avverte.”
Puglisi, dell’Università di Pavia, ha parlato di cosa pensano le persone sull’immigrazione, soprattutto clandestina, in relazione a come i media presentano il tema. Tema che ha una valenza politica forte, e di cui si avvantaggiano generalmente i conservatori, percepiti come più “bravi” a gestire il fenomeno migratorio.
Card, docente a Berkley, ha portato infine la sua testimonianza dalla California, uno degli stati più multietnici al mondo (il 25% della popolazione è immigrata).
Infine, la sentenza, affidata come ieri alla giuria di studenti universitari: all’unanimità è stato deciso che no, è falso che a maggiore immigrazione corrisponda maggiore criminalità.