25 aprile - libertà

Mio padre ha fatto la Resistenza. Nei suoi momenti "neri" diceva che non era servito a niente. Eppure non era comunista. Suppongo che per lui come per molti altri ragioni "pubbliche" (politiche) e frustrazioni private si mescolassero, che a volte desse la colpa alla società di insuccessi o insoddisfazioni dovute (anche) ad altro, a debolezze personali, ad esempio.

A volte invece ero io ad estremizzare, e lui era posato, ragionevole. Conteneva la mia giovanile intemperanza.
Una famiglia un po' poco adatta al mondo. Come un innamorato (l'innamorato di cui parla Barthes, ovvero un paria).

Dopodiché, questa è libertà? Certo, non abbiamo il fascismo. Non siamo obbligati ad andare a fare ginnastica in piazza la domenica e non ci mandano in Etiopia a conquistare terre altrui. Non siamo obbligati a prendere la tessera del fascio (anche se schierarsi dalla parte giusta al momento buono fa sempre comodo).

 E' tutto qui? Basta questo per definirci liberi? Che genere di libertà? Di voto? Di coscienza? la libertà della Goldman Sachs, di Moody's, del FMI? Di Berlusconi, Monti, Passera, di personaggi di cui ignoriamo persino il nome, che comandano a Washington, a Wall Street, nei meandri dei palazzi che si affacciano su piazza Tienanmen (sopra ai quali sventolano ancora le bandiere rosse)? la libertà della tecnica, dei microchip? Dei centri di ricerca? Quanto conta la democrazia nell'era dei mercati globali, della finanza globale, del subprimes, dei derivati? E posto che oggi siamo liberi, che perlomeno non abbiamo il Grande Inquisitore che veglia sulle nostre azioni, che siamo liberi di andare in sauna e in palestra, mangiare sushi, vestire pantaloni e magliette cuciti per noi da schiavi asiatici, girare un video o scrivere un blog, andare in vacanza, studiare in mediocri università asservite al triplice imperio tecnologia-innovazione-competitività, se dunque siamo liberi, liberi dal bisogno immediato, dalla necessità di procurarci dell'acqua pulita da bere, ad esempio, liberi di bere, usare internet, pregare gli dei che vogliamo, scopare o persino non scopare, allora "come dobbiamo vivere"? (J. Franzen).

Che non ci vengano più a decantare l’Egitto e i Tiranni tartari! Quei dilettanti antiquati erano solo dei pataccari pretenziosi nell’arte suprema di far spremere alla bestia verticale il massimo sforzo. Non sapevano, quei primitivi, chiamare “Signore” lo schiavo, e farlo votare di quando in quando, ne’ pagargli il giornale, ne’ soprattutto portarselo in guerra, per fargli sbollire le passioni. (L.F. Céline)

Punti di vista sulle relazioni umane


Citazione.

"(..) si assiste ad una mancanza di reciprocità: la personalità più forte, che tende al possesso dell’altro, detta le regole del gioco, decide autonomamente, sovente non dichiara il proprio pensiero perché non lo ritiene necessario e, nel momento in cui informa e rende partecipe l’altro delle proprie scelte, si altera se questi non asseconda compiacente e silente tali decisioni."

E poi, le asprezze del linguaggio.

Like a rolling stone





Questa canzone, indubbiamente, è un capolavoro. Non so più quale rivista l'ha votata addirittura come migliore canzone del XX secolo.
Entrambe le versioni sono straordinarie. Quella di Jimi Hendrix ne esplora le potenzialità, com'era nella natura dell'uomo, un esploratore delle potenzialità della chitarra, soprattutto dal vivo (in studio a volte l'ho sempre trovato un po' "tarpato", anche se, ovviamente, stiamo sempre parlando di vette altissime).

Ma...c'era un "ma", che mi pesava. Cosa rendeva la canzone di Bob Dylan più speciale, oltre al fatto che l'aveva scritta lui, appeso per le mani al ramo di un albero con un fiume limaccioso che scorreva sotto i suoi piedi, come mi pare di avere letto una volta?
Ecco: che Dylan la canta come dev'essere cantata, con un più di DELIZIOSO RANCORE. Perchè questa è senza dubbio una canzone rancorosa, una vendetta postuma, o qualcosa del genere. Nei confronti di chi, lo sa solo lui.

Hendrix ne ha tratto una versione monumentale, musicalmente. L'attacco da solo, quell'ingranare il riff con tutta quell'energia, vale tanti di quei dischi...
Ma ascoltandolo, ti chiedi se sia pienamente consapevole di cosa dicono le parole. Se le senta come sue, nel profondo. Se lo nutra anche lui, quel rancore, nei confronti di quella ragazza che un tempo vestiva così bene, quella ragazza che adesso sa come ci si sente, a stare da sola, senza trovare la direzione di casa, una perfetta sconosciuta, come una pietra che rotola. Forse sì. Forse no.
Dylan, sia che si riferisse a Edie, come è stato a volte ipotizzato, gli Stones lo suggeriscono apertamente nel video che accompagna la loro cover (e calzerebbe a pennello), sia che stesse dando corpo ad un generico impasto di emozioni misogine che si portava dentro (e che in effetti caratterizzano tanta parte della sua musica), Dylan lo sa eccome.

Words




Era un pezzo di Harvest, oggi si direbbe una "traccia". Suonato così, sono chitarre che sognano, piangono. Fra le rughe del tempo.

C'è di che stupirsi, che il tempo non cambi mai niente. Ma forse no.

Si muove sempre come un orso, senza eleganza, sotto un cielo inglese. Bambini accendono fuochi sul prato.
Fa sempre ciò che vuole, cosa che possono permettersi solo i grandi.
Bisogna ascoltare fino in fondo, chi ha la pazienza? Gli assoli sono scomparsi dalla musica, quel modo di navigare sulle note dell'improvvisazione, i pieni e i vuoti, il tempo dilatato. Nulla che possa friggersi subito, lì su due piedi, il tempo lisergico dei pensieri e delle parole in rima, il tempo di lasciare invecchiare le cose, la passione, occhi chiusi. Quando li apri, sono umidi.

If I was a junk man selling your cars
Washing your windows and shining your stars
Thinking your mind was my own in a dream
What would you wonder and how would it seem
Living in castles a bit at a time
The king started laughing and talking in rhyme, singing...

Istanbul












Istanbul, Fener e Corno d'Oro, marzo 2012.