Just a song: Cose




Francesco de Gregori, "Cose"

Fly into the sun


La notizia è arrivata ieri, mentre il festival dell'Economia si avviava verso la fine: aereo disperso al largo delle coste del Brasile, tre trentini a bordo.
Con uno di loro, Rino, mi è capitato di viaggiare. Ricordo la Bosnia, nel 2002, visita alla comunità trentina di Stivor (costituitasi all'epoca in cui Trentino e Bosnia erano parte dell'Impero austroungarico e i trentini andavano là per costruire le ferrovie). Ci fu una grande festa organizzata dal circolo della Trentini nel mondo, tutto il calore balcanico nella povertà di una terra che ne ha viste di tutti i colori. Visitammo Sarajevo, in occasione della prima visita di Romano Prodi a quella città magnifica e martoriata, nella sua veste di presidente della Commissione europea. I trentini portavano la richiesta di inclusione dei Balcani nella Ue, tramite l'Osservatorio sui Balcani, organismo nato dall'impegno speso da tanti negli anni della guerra. Con noi c'erano l'assessore Andreolli, Renato Penner di Pace per Gerusalemme, qualche giorno fa a Bejt Jalla, in Cisgiordania,per inaugurare un'altra opera realizzata grazie al contributo trentino, un centro giovanile. Fuori Stivor mi portarono in un bosco, mi dissero di guardare per terra: avevo i piedi immersi nei gusci d'uovo. Mi fecero alzare la testa: sulle cime degli alberi decine e decine di nidi, nel cielo volteggiavano le cicogne.

Rino c'era anche in Argentina, uno dei viaggi più faticosi che mi siano toccati, quasi ogni giorno su un aereo diverso, giornate pesanti, come sempre succede in quei paesi quando arriva una delegazione ufficiale. Buenos Aires, Chaco, Pampa dell'Infierno, Impenetrabile. I circoli creati dall'emigrazione transoceanica, e rivitalizzati negli ultimi 20-30 anni, dopo che il Trentino da terra di emigranti si è trasformato in terra di benessere diffuso. A Resistencia arrivò anche il coro della Sosat per tenere un concerto: erano stravolti dal lungo percorso via terra dal Brasile, ma l'Argentina era sull'orlo del crollo economico (uno dei tanti procurati da questo capitalismo kamikaze degli anni 2000), la gente non aveva soldi, in città s'era sparsa la voce che a teatro c'era un concerto gratis e così si era formata una fila lunga diversi isolati. Cosa fare? Chiesero ai coristi di tenere due concerti, uno dopo l'altro, per non mandare via nessuno.

Rino era un buon compagno di viaggio, allegro, sanguigno. Pieno di umanità e di passione. Uno con cui ti dici: vorrei viaggiare ancora assieme a lui. Era parte di questa rete trentina della solidarietà che indubbiamente esiste, non è retorica, anche se a volte a forza di parlarne può sembrare, una rete fatta di associazioni, cooperanti, volontari, missionari, vigili del fuoco, amministratori locali, politici provinciali, giornalisti, in fondo il Trentino è piccolo, dopo un po' ci si conosce, ci si coopta a vicenda, la solidarietà è anche un modo per uscire dai propri confini, allargare gli orizzonti, serve a chi la riceve ma anche a chi la fa e non c'è niente di male in questo. I due che lo accompagnavano in questo viaggio in Brasile non erano da meno: Giovanni Battista soprattutto l'avevo incrociato molte volte, era il ritratto della persona onesta, sincera, Luigi il sindaco di un paese lontano dal capoluogo, in una valle molto bella ma anche aspra, una valle che si ama per forza se si decide di restare e di impegnarsi per essa. Mancheranno a tutti.

Appartengo alla generazione che ha iniziato a volare tardi. Mio padre in vita sua prese solo una volta l'aereo, a sessant'anni, per andare in Sicilia ad un congresso del sindacato. Io dopo la laurea, per andare a Londra a lavorare e a imparare l'inglese (si fa per dire...). La mia figlia minore a 4 anni c'è già stata 3 o 4 volte.
All'inizio mi faceva paura. La volta peggiore fu la seconda: volavo in Tanzania, da solo, andavo alla scoperta dell'Africa dopo averla studiata sui libri per anni. Il viaggio notturno un incubo di vuoti d'aria e alcol: quasi all'arrivo, il comandante disse che per problemi tecnici forse saremmo dovuti atterrare a Mombasa (in Kenya, addirittura un altro paese!). Poi, senza aggiungere nulla, iniziò la manovra d'atterraggio. Guardai l'africano alla mia destra, che tornava dall'Inghilterra ed era vestito come un businessman pur essendo - a suo dire - uno studente: mi sembrava preoccupato, il che preoccupò anche me, perché lui quella rotta l'aveva fatta spesso, lui sapeva quali erano le condizioni di sicurezza all'aeroporto di Dar es Salaam. Ad un certo punto una voce dall'altoparlante, ma non una comunicazione ufficiale, piuttosto come se qualcuno avesse lasciato aperto il canale per errore: "Small probabilities of survive", mi sembrò di capire. Guardai alla mia destra: il tipo, lo studente-businessman, aveva capito la stessa cosa. Mi sentii lo stomaco in gola. "My friend, god is great", mormorò lui, con un sorriso.
Atterrammo malissimo, su una ruota. Ma atterrammo. Fu il mio impatto con l'Africa.

C'è voluto un po' perchè la smettessi di pensare al momento in cui ti accorgi che stai per precipitare, al panico, ai vassoi, alle borse che s'incollano al soffitto, assieme alla gente che non era cinturata, alle mascherine dell'ossigeno che saltano fuori, al rumore degli allarmi (suoneranno allarmi in questi casi?), a quanto ci deve impiegare un aereo di linea a venire giù da un'altezza del genere. A come dev'essere quel volare nell'acqua, nel sole, quel cambiamento di prospettiva, quell'orizzonte che si capovolge. Sì, spero sia come volare nel sole.

Poi ad un certo punto è passata. Mi sono detto che è vero, è il modo più sicuro per viaggiare, e a volte è anche piacevole, a volte distingui posti dall'alto che hai visitato via terra, a volte voli sopra il mare o il deserto e ti stupisci di vedere un puntino in tutto quel nero, a volte voli sopra le nuvole e sopra le nuvole c'è la luna che ti parla. A volte volare è proprio magia.

Mancheranno a tutti, quei tre. In Trentino e in tutti i posti dove andavano per fare qualcosa di buono.