BORN IN THE USA

Well the night's busting open
These two lanes will take us anywhere
We got one last chance to make it real
To trade in these wings on some wheels
Climb in backHeaven's waiting on down the tracks
Oh oh come take my hand
Riding out tonight to case the promised land...

La notte sta esplodendo
Questa strada a due corsie ci porterà ovunque
Abbiamo un'ultima possibilità per avverare i nostri sogni
Per scambiare con delle buone ruote le nostre ali
Salta su, il Paradiso ci aspetta lungo il percorso
Dai, prendi la mia mano
Stanotte cercheremo di raggiungere la terra promessa...

(Bruce Springsteen, Thunder Road)

Con tutti i suoi difetti, ma la democrazia in America è una cosa meravigliosa, a differenza che altrove. Certo, i candidati vengono scelti dopo un duro apprendistato e non si candidano solo quando sono sicuri di vincere, come altrove. Certo, per il rito di iniziazione all’età adulta gli studenti hanno passato la notte nei sacchi a pelo davanti al maxischermo del loro college senza il conforto di mamme e professori (succede anche questo, altrove). Certo, davanti ai seggi ci sono code chilometriche perché da quelle parti si ostinano a stare in fila per uno, anziché sperimentare forme innovative di incolonnamento a fisarmonica, a raggiera, modello arrogance («lei non sa chi sono io») o formato parakul («mi lasci passare, la prego, ché la casa mi va a fuoco e ho dimenticato mio figlio sullo zerbino con un leone a stecchetto da mesi»), molto diffuse altrove. Certo, a Chicago, sperduto villaggio dell’Illinois, ieri sera aspettavano un milione di persone in piazza ed erano terrorizzati dall’idea di non riuscire a gestirle tutte, mentre altrove ne hanno appena ospitate due milioni e mezzo (ma in realtà erano due miliardi e mezzo, anzi due milioni di miliardi e mezzo) senza fare una piega. Certo, laggiù il candidato giovane sembra proprio giovane e il candidato vecchio proprio vecchio, non come altrove, dove al vecchio crescono i capelli e il giovane fa cascare le braccia. Sì, con tutti i suoi difetti, ma la democrazia in America è davvero una democrazia. A differenza che altrove.
(Massimo Gramellini, La Stampa)
E aggiungo: Obama incarna l'America che amavamo nel Dopoguerra, negli anni '50 (non sapendo del maccartismo, d'accordo). Guartatelo mentre cammina, dinoccolato, sciolto, quando sale la scaletta dell'aereo, guardate come sorride e stringe le mani. Potreste immaginarvelo con l'ipod nelle orecchie ad ascoltare un brano del Boss, in una spiaggia mentre surfa, mentre gioca con i suoi bambini, e indifferentemente dietro una scrivania mentre prende decisioni da far tremare i polsi. Obama è Kennedy, è Hollywood ma anche il cinema indipendente, è John Fante, Paul Newman, Dustin Hoffmann, Ernest Hemingway da giovane, è un senatore dell'Illinois, un nipote, giocatore di baseball, una donna che sale su un autobus e si siede dove non dovrebbe, un predicatore, è un avvocato, un venditore d'auto di cui ti puoi fidare, un fante nel Vietnam, un amante gentile e competente, è la gomma americana, lo shake, il sax, West Side Story, è un ragazzo nero che va all'università. Obama è figlio di un africano, è il sogno americano che si reincarna per l'ennesima volta. Obama non è i Bush (padre e figlio) e neanche Condoleeza, per fortuna. E' uno che forse persino una madre leghista vorrebbe come figlio. E' l'uomo che gli americani hanno voluto come presidente. E noi con loro.