Pamuk, Brasov e la città perfetta (4) - fight da power

Ed eccoli qui i protagonisti, i nostri amici di Brasov.
Che fine avranno fatto? Pochi anni dopo il nostro viaggio ci fu la caduta, secca, improvvisa, del regime di Ceausescu. Il comunismo andava in pezzi ovunque, successe anche lì. Ceausescu e consorte vennero uccisi sbrigativamente. Non è detto che ciò che è venuto dopo sia necessariamente migliore, però: almeno non è una dittatura, e io comunque diffido di chi dice che si stava meglio quando si stava peggio.
Eravamo rimasti che scendemmo per andare a cena nella prima bettola. Era un posto molto semplice e molto old style, diciamo una locanda come potevano essercene state da noi 30 anni prima. Sul muro la lista dei divieti, fra cui quello di portare il coltello. La cucina era la tipica delle terre lungo il Danubio: Wienerschnitzel (ovvero cotoletta alla milanese), patate, pomodori.
Fuori scesero le tenebre. E fu buio pesto, come in una boccetta d'inchiostro, perché la Romania era in piena crisi energetica. Pur disponendo di petrolio, lo esportava per pagare i debiti contratti all'estero (la Romania era l'unico paese del blocco comunista che aderiva al Fondo monetario internazionale, perciò era guardata con sospetto da Mosca e corteggiata dall'Occidente). Quindi l'illuminazione pubblica nelle strade era praticamente inesistente, un'atmosfera gotica, vero viaggio dark nelle terre di Vlad Tepes l'impalatore, terre di castelli, boschi, forre, la "chiesa nera", neanche a farlo apposta, il monumento di maggior rilievo del centro cittadino.
Mi piaceva molto, a dirla tutta. Era torvo e distante, proprio come avevo sognato. Carico di mistero e di avventura. E fu proprio in quel momento che un ragazzo - uno studente dell'università di Brasov - chiese di sedersi al nostro tavolo.
Poliglotta, come molti dei suoi coetanei; cominciammo a conversare, presto i discorsi si fecero elevati, si parlò di Shakespeare, credo, quasi sicuramente di Wilde e di qualche altro mostro sacro della letteratura mondiale. Ero sinceramente colpito; da noi non era frequente sedersi al tavolo con uno sconosciuto e mettersi a parlare di cose così. Già era successo in treno con il bulgaro... Forse, mi dicevo, sotto all'aspetto dimesso la Romania nasconde giacimenti culturali soprendenti, frutto di una buona educazione di base (sanità e scuola erano in fondo le priorità di ogni regime socialista degno di questo nome).
Dopo la cena seguimmo il ragazzo fino al suo studentato. Mi pare ci fosse un controllo all'ingresso, disse che eravamo studenti stranieri in visita... Appena dentro, fu come se fossero entrati gli ambasciatori di un altro pianeta. La nostra improvvisa comparsa attirò subito l'attenzione di tutti quelli che vivevano lì. Ci portarono da una camerata all'altra, comparve magicamente un boccione di palinka, il tasso alcolico schizzò alle stelle. Tutti volevano conoscerci, parlarci, farci ubriacare, sapere... Mi guardavo attorno: lo studentato era povero, camerate spoglie con letti a castello minimali (reti e materassi, forse), bagni semiallagati nel corridoio... Pensavo che a Bologna studentati così glieli avrebbero tirati in testa all'Opera universitaria pezzo per pezzo, pensavo che nel ricco Alto Adige due anni prima avevamo quasi occupato una scuola per una questione di "cubature" (in pratica sostenevamo che le aule erano troppo piccole).
Peccato, solo un dettaglio sgradevole, nella luce acquatica del ricordo: lo studente che ci aveva accompagnati, che avevamo conosciuto al ristorante, lo misero da parte. Dissero che era un comunista, uno che stava dalla parte del regime. Luca provò a dire qualcosa...ma niente. Non era dei loro. Forse è anche per questo che si diventava comunisti, da noi: per distinguersi, per non intrupparsi nella massa delle pecore vestite Fiorucci che ascoltavano musica di merda e conducevano una vita "banale"... Per anticonformismo, per ribellione verso l'ovvietà espressiva dell'Italia democrista, che bruciava Ultimo tango a Parigi e censurava Querelle de Brest... per me quella era stata una molla fondamentale, sicuro. Ma lì? Che ne sapevamo, in fondo? E se quel tipo fosse stata una spia? Eppure con lui avevo conversato piacevolmente e nei giorni a venire ne avrei sentito la mancanza, mancanza del suo sguardo posato, delle sue parole sagge...
Ci scortarono all'albergo a notte fonda. L'accordo era che il giorno successivo ci avrebbero procurato due stanze all'ostello (le stanze vip!). Comunque, l'università di Brasov, come avremmo presto scoperto, era piena di studenti stranieri: arrivavano soprattutto dall'Africa e dall'America latina, in nome della solidarietà internazionalista. Studiavano "silvicoltura".
Invitammo un ragazzo, Mihai (il secondo da destra nella foto) a salire con noi, nella locanda di Bela Lugosi dalle scale scricchiolanti. Luca generosamente gli cedette il suo letto, si mise a dormire per terra nel sacco a pelo. Mihai veniva da una cittadina al confine con la Jugoslavia; sua nonna viveva dall'altra parte, in Serbia, a Turnu Severinu, nota per una diga. Così lui, a differenza degli altri rumeni, poteva uscire dal paese per andarla a trovare. Per questo era vestito all'occidentale, jeans e magliette alla moda. Erano cose che comperava in Jugoslavia. Mi sembrava incredibile - e mi sembra incredibile anche adesso - che questi ragazzi pienamente europei, colti, intelligenti, non potessero viaggiare. Che mezza Europa fosse confinata dietro una frontiera di fucili e filo spinato a bere palinka. Viaggiare era il sogno più comune di ogni studente universitario italiano; un sogno alla portata persino di quelli come me, figli della classe operaia, in fondo l'inter rail era a buon mercato, e comunque, ci si poteva arrangiare anche con l'autostop...
E per questi nostri coetanei rumeni invece era solo un miraggio. Per loro già era quasi impossibile andare in Jugoslavia, ma ci pensate? Gli chiedemmo: "Ma se aprissero le frontiere, scappereste tutti? Abbandonereste il vostro paese?" Ci risposero che no, loro erano rumeni, loro amavano il loro paese, sarebbero venuti solamente a vedere, a vedere com'era l'altra parte... Mi sembrava ragionevole come aspirazione. Il solito vecchio dubbio che avevo coltivato fin da bambino: ma se nei paesi comunisti la gente sta meglio che da noi, perché la rinchiudono dentro? Perché non la lasciano viaggiare? Sarebbero i migliori testimoni della superiorità del loro sistema sul nostro, no?
Eppure, la fede è fede. Non volevo lasciarmi disilludere del tutto. Una mattina litigai persino con Luca, al nostro ritorno, facendo una grigia colazione con le mosche del troppo sonno che ronzavano nella testa. Ancora volevo vederci qualcosa di buono, in quell'impasto di burocrazia, moralismo, gerarchie e kitsch. Durò poco, certo. Ormai più che un buco di tarlo in me si era aperta una voragine...
La mattina successiva ci trasferimmo nello studentato. Da qui in poi i ricordi si fanno confusi. Non credo abbia senso organizzarli in senso cronologico. Furono dieci giorni di amicizia, scoperte, bevute memorabili, chiacchiere. Dieci giorni in cui non dormimmo mai. Che si conclusero con un rientro molto difficoltoso...
Ciò che posso fare è cercare di raccontarli attraverso un piccolo vocabolario. La lista delle parole ritrovate, parole per dire una Romania che non ho visto più e che probabilmente non c'è più.
SOLDI
Eravamo partiti con i soldi contati, cioé in pratica poveri, quello che eravamo sempre. Improvvisamente diventammo ricchi. Il merito spetta a quel ragazzo capellone che nella foto sta rollando una sigaretta, il primo a sinistra. Era di Panama, il suo nome purtroppo l'ho scordato. Essendo straniero, durante l'estate a differenza dei suoi compagni di corso rumeni, poteva venire anche in Europa occidentale. Perciò gli servivano dollari. Noi dollari avevamo, appunto (ovviamente, lo dico per i giovani, l'euro non era nemmeno nel novero delle possibilità, nel 1985). Quindi fu ben contento di cambiare i nostri pochi averi al nero, ricoprendoci di lei, la moneta locale. Ci diede cinque volte quello che ci avrebbe dato la banca. Il problema - lo capimmo dopo - è che adesso non potevamo più spostarci, perché nel momento di pagare una camera d'albergo avremmo dovuto sempre esibire la ricevuta della banca nella quale avevamo cambiato la nostra valuta, quella che poi avevamo dovuto dichiarare entrando in Romania (era una misura inventata appunto per scoraggiare il cambio al nero, mi pare ci diedero anche una ricevuta falsa da esibire alla frontiera in uscita). Dunque, eravamo costretti a rimanere lì e a spendere lì tutti i soldi che avevamo.
Poco male, comunque. Cominciò una festa mobile, una grande orgia redistributiva che durò dieci giorni coinvolgendo tutti, amici, amici degli amici... A tutti si pagava da mangiare e da bere a profusione, in uno sfolgorio di prodigalità che un po' ci metteva in imbarazzo, perché ci trovavamo all'improvviso ficcati a forza nei panni degli occidentali spandimerda, mentre semplicemente questi soldi dovevamo consumarli. Comunque, fu l'unica volta nella vita che ci sentimmo un po' J.R., credo. Vero, Luca?
DOMENICHE NELL'EST
Ci portarono in gita a Poiana Brasov, che oggi mi pare sia un centro turistico importante, forse persino una stazione sciistica, su internet vedo che la pompano abbastanza. Anche allora, comunque, per gli abitanti della città era l'attrazione per eccellenza, la meta della gita fuori porta. Struggimento della domenica, viaggio nel tempo su autobus puzzolenti, risalendo i tornanti, fra case, carri, covoni, bestie. Ci si andava in autobus perché la macchina privata ce l'avevano in pochi, ovviamente. Tutti usavano il mezzo pubblico e facevano la fila. Che dire? A me non dispiaceva, è la cosa che ricordo con maggiore nostalgia di quell'Est. In fondo non è questa la sostenibilità? Non è questo l'essere "verdi"? Ritmi più lenti, rumori ambientali e polvere. Per chi come me non ha mai amato gli orpelli tecnologici, le moto, le auto, le infinite cazzate della società dei consumi, quello stile di vita non era poi male...
Voglio dire: essere poveri non significa fare una vita spiacevole o priva di divertimenti. L'avrei capito meglio in Africa, dove nessuno ha nulla ma la gente è meno depressa che da noi, generalmente. Comunque anche lì, andavano in questa località in collina, piena di locali tipici, in legno, fra i boschi, e mangiavano e bevevano l'impossibile. A me, insisto, sembrava ok. Per questo quando ne parlo cerco sempre di spiegare che la vita c'è comunque, anche sotto i peggiori regimi, la gente beve, si corteggia, scopa, legge, parla, gioca, ama... ecco, rispetto al libro della Muller, Il paese delle prugne verdi, che sto leggendo, che trovo comunque vero, poetico, appassionante, a me pare di ricordare che la Romania di Ceausescu non fosse solo tristezza e oppressione, era anche la vita che si faceva strada, comunque, caparbiamente, negli interstizi, scavando, rodendo e grattando, la vita che strepita, sputacchia, strabuzza gli occhi, si soffia il naso, infila le mani in tasca, la vita è sempre più forte.
CODE
In Occidente gli anticomunisti dicevano che all'Est si faceva la coda per ogni cosa. Noi pensavamo fossero balle. Beh,ok. Le code c'erano. Il peggio è che le facevano per comperare frutta o verdura che da noi avrebbero dato alle bestie, forse. Ci spiegarono che, di nuovo, la ragione era l'indebitamento estero del paese: Ceausescu voleva onorare i suoi obblighi, così la merce migliore veniva esportata.
Le code si facevano anche per prendere i mezzi pubblici, come la funivia con cui andammo sui Carpazi. Erano lunghissime; la gente però era sempre molto ordinata e composta.
EDUCAZIONE
A me sembrava che i rumeni fossero meravigliosi. Gente colta, gentile... Pensavo che se in una cosa il comunismo aveva avuto successo era questa. Oggi in Italia c'è la psicosi del rumeno. Il rumeno stupratore... Quello che raccontavano a noi, lì, era che a Brasov, città industriale di medie dimensioni, erano anni che non avveniva un delitto, e questo nonostante la mancanza di illuminazione la notte. Fungevano da deterrente i militari per strada con i mitra a tracolla. Ecco, quello a me studente libertario certo non piaceva. Poi, oggi, i militari per strada li hanno messi anche da noi. Berlusconi come Ceausescu.
IGNORANZA
Nel senso che anche loro ignoravano tante cose fondamentali del nostro stile di vita. Gli raccontavamo che noi in Italia andavamo in giro in autostop, e loro facevano una faccia perplessa. "Non avete paura della mafia?", ci chiese uno ad un certo punto. Oppure, ignoravano le nozioni fondamentali sulle droghe, la differenza fra una canna e una pera... Droghe, ci dissero, lì non ce n'erano. La gente si spaccava con l'alcol.
CONSUMI
Parlo di quelli che realmente contano per me, cioè libri e musica. Erano messi male. Nelle librerie di Brasov, c'erano esposti solo libri consunti con su i discorsi del presidente Ceausescu (forse, a cercare bene, c'erano anche quelli del compagno Kim Il Sung). Non capivo come facessero a conoscere così bene la letteratura occidentale. Le biblioteche, mi dicevano, e i libri che qualcuno gli spediva da fuori, che riuscivano a passare il controllo della dogana... Stesso discorso per la musica. Lì, a differenza che in Ungheria, musica occidentale in vendita non ce n'era. Chi poteva uscire (come il nostro amico panamense, o quell'altro di Costa Rica, il secondo da sinistra nella foto, altra persona squisita), portava dentro cassette comperate in Germania o in Austria. Comunque, la musica è sempre un magico esperanto. Si trattasse di Vangelis o dei Black Sabbath, gettava subito ponti, apriva porte. Spalancava sorrisi.
Per il resto, niente auto, niente vestiti trendy. Tutto in qualche modo logoro, avariato, polveroso, macilento. Però i pomodori e la carne erano ottimi.
KITSCH
Visitammo un museo storico. Veniva narrata la storia del paese, dalle guerre contro i Turchi allo sbandamento per il nazifascismo fino all'avvento del socialismo. Un museo normalissimo. Però in fondo c'era l'ultima sala, quella dedicata alle conquiste del regime: frasi di Ceausecsu as usual, e nelle bacheche automobiline e aeroplanini in scala come quelli con cui giocavo da bambino.
NUCLEARE
Da noi c'era appena stato il referendum, lo consideravamo una delle più grandi vittorie della sinistra. Lì invece le centrali le volevano. Dicevano che in Bulgaria ne avevano di più e quindi non c'erano problemi di energia.
ESPROPRIO
Se c'è un momento in cui ho cessato di essere comunista credo sia questo. Niente di che, in fondo, sapevamo già che i comunisti erano dei bacchettoni ipermoralisti, a Mosca avevano organizzato un concerto di Elton John ma senza la band perché dicevano che "eccitava troppo gli animi...".
Però se questo valeva per tutti per lo meno un senso ce lo poteva avere, una coerenza, per quanto perversa. Ma no, era solo facciata. I boss del partito non soggiacevano a queste regole ferree, non conducevano una vita austera, se la godevano, eccome, proprio come i maiali di Orwell.
Una sera passeggiavamo per le strade buie di Brasov e sentimmo una canzone dei Queen fuoriuscire da un palazzo, era "Radio gaga". Stupiti, chiedemmo spiegazioni a Mihai. Ci disse che quel palazzo era la sede del comando militare, che organizzavano spesso delle feste, con orchestre, musica occidentale...
La cosa che mi disgusta di più è quanto i potenti trattano il popolo come se fosse fatto di bambini incapaci, che devono essere puniti, tenuti all'oscuro, in castigo... mentre loro fanno quello che gli pare, ed espropriano la gente della sua libertà. Anche della libertà di sbagliare. Fight da power.
COSE DA VEDERE
Visitammo Sighisoara. La città natale del conte Dracula, ossia di Vlad II. Ci andammo in treno. Era notevole. Era puro medioevo. Oggi pare sia ancora più bella, ma quelli che parlano così intendono dire che è restaurata, che ci sono i locali per i turisti e probabilmente anche le automobili. All'epoca era quasi vergine. Quasi deserta. Una donna faceva a maglia sotto alla torre dell'orologio, vestita nel costume tipico transilvano. Una turista tedesca la fotografava. E' l'unica turista che io ricordi.
Un cimitero, nomi tedeschi incisi sulla pietra. Un uomo del sud Italia, forse un salernitano, che ci disse di essere lì perché aveva sposato (o stava per sposare?) una rumena. Passammo il pomeriggio a bere limonata, a Luca piaceva tanto la limonata che avevano lì. Parlavamo di cinema, parlavamo di tutto. Andammo a fondo della nostra amicizia, in quel pomeriggio assolato, fuori dalla storia, dalla politica, dal mondo, un cerchio magico ci strinse, dopo qualche mese ci saremmo trovati le morose e avremmo smesso di frequentarci.
Sugli alberi ingiallivano le foglie.
Visitammo i Carpazi. Lame di luce attraverso strati di nuvole. Nel rifugio mi riempii il piatto, ero affamato, ma era tutto pesantissimo, ne lascia lì metà vergognandomi.
Visitammo il castello di Bran, quello che avevo visto da bambino in fotografia su una Domenica del Corriere, il pretesto per il viaggio. Scrissi una frase tratta dal Nosferatu di Herzog sul libro degli ospiti. Una vecchia zingara mi vendette un puzzolente gilet di lana di pecora e Luca mi prese in giro tutto il tempo.
C'erano senz'altro anche altre cose da vedere ma noi la sera dovevamo per forza rientrare a Brasov e quindi potevamo fare escursioni solo entro un certo raggio. Non andammo a Bucarest, ad esempio. Non che ci tenessimo poi tanto.
FINZIONI
Le finzioni del benessere socialista. Prodotti che imitavano le merci capitaliste. La Coca Cola non c'era, c'era la Fru-Cola. Beh, sì. Odorava di fogna. Mi sembrava così sciocco fabbricare male delle imitazioni quando potevi importare l'originale. Dov'era il problema? La Coca Cola piace a tutti.
Le Marlboro invece le potevi comprare solo nell'albergo chic di Brasov, pagando in dollari (i rumeni non potevano avere dollari). Le sigarette rumene si aprivano dopo tre tiri. Mi sembrava impossibile! Ma cazzo, neanche le sigarette???
LEGGENDE METROPOLITANE
Ovviamente c'erano leggende di ogni tipo, come sempre in un regime dominato dalla propaganda. Difficile distinguere il vero dal falso. Si diceva che negli ospedali a causa della crisi energetica un sacco di bambini morissero perchè periodicamente, per risparmiare, toglievano la corrente, e le incubatrici non funzionavano più. Gli studenti stranieri - una voce attendibile, venivano da paesi poveri, non dagli Usa - dicevano sottovoce: "Qui niente è giusto". Lo dicevano con divertita rassgenazione, come gente che nella vita ne ha già viste di cotte e di crude.
RAGAZZE
Ci parlavano delle loro ragazze, molti di loro venivano da regioni lontane dai Maramures, avevano lasciato là le loro compagne... Siccome vedevano che non attaccavamo bottone, che eravamo un po' imbranati, una sera organizzarono un festino per noi allo studentato. Purtroppo era lo stesso giorno della gita ai Carpazi: anche se ci fecero saltare la fila alla funivia, per farci rientrare prima (pagando una mancia, puro italian-style), arrivammo tardi lo stesso, le ragazze ormai erano andate. Magari, ci saremmo fidanziati con due rumene...
LA MEMORIA
La memoria ha dei buchi enormi. Ricordo diverse cose, le stesse che ho ricordato per anni. Ricordo un nero, un africano, che ci comparve davanti nella notte, ci disse che era stato a Bolzano, conosceva la nostra città. Ricordo che comprai delle corde per chitarra e delle anfore smaltate da portare a mia madre come regalo. Non ne ricordo assolutamente altre. Ricordo anche le cose che mi davano fastidio, la capacità di Luca di predicare buoni sentimenti, io no, io ero più chiuso, avevo difficoltà con le lingue, e poi non sapevo cosa dire, non ce la facevo a proclamare loro che bisogna avere fiducia e lottare, che le cose sarebbero cambiate... Luca all'epoca era un cantante, era più estroverso, io l'introverso scrittore timido...
Ma certe cose non le ricordo proprio. Come tornammo in stazione, ad esempio. Come tutto finì. Ricordo che ci diedero le loro foto, gli indirizzi. Che Mihail scrisse sul retro di entrambe la stessa dedica, perché "per me voi siete uguali." Che poi, chissà quante cose non ho visto, non ho notato. I miei mi dissero che una volta rientrato arrivarono un paio di telefonate strane, a casa nostra. Chissà se la paranoia di un regime agli sgoccioli si spingeva fino al punto di spiare due turisti ventenni.
Salimmo sul treno, l'Orient Express, quello vero. Ricordo che agitai a lungo la mano nel buio della notte, fuori dal finestrino.
Stavamo tornando in Italia. Ma il ritorno ci avrebbe riservato ancora qualche sorpresa.