Céline lo aveva detto bene


La prima suggestione colta al volo da questo Festival dell'Economia di Trento, sesta edizione, dedicato al tema dei confini della libertà economica.

"E' difficile dire quali siano i confini da porre alla libertà economica, ma un confine, in economia, è sicuramente tracciato, ed è quello fra chi sa e chi non sa."
Questo tema, il tema della conoscenza, dell'informazione e della capacità di padroneggiarla, l'ho sentito ritornare spesso in questi mesi. La crisi economico-finanziaria (ma anche lo scandalo Parmalat e altri eventi del genere) ha evidenziato nella maniera più brutale che il grande pubblico - dei consumatori, dei risparmiatori, dei clienti delle banche, di coloro che accendono un mutuo o chiedono un prestito - non sa abbastanza, o maneggia informazioni taroccate. In questo senso, i mercati (specie quelli finanziari) sono assolutamente antidemocratici: il gioco è viziato in partenza, da un lato i pochi che davvero "sanno" (e che hanno la capacità di manipolare le informazioni) e dall'altro i tanti che credono di sapere, e che sono più esposti alle crisi, ai tracolli, ai fallimenti, alle bancherotte. Qualcuno ricorda la faccenda dei bond argentini? Certo, a volte le vittime sono vittime consenzienti. Mosse dagli stessi appetiti dei grandi capitalisti, solo più sprovvedute.

Questo tema del sapere, legato all'economia, mi ha richiamato alla mente un brano di quel romanzo fondamentale del '900 che è il "Viaggio al termine della notte" di Céline. Il brano è ambientato in una colonia. Da un lato il commerciante di caucciù; dall'altro il raccoglitore africano, che ignora completamente il valore della balla di caucciù che va a barattare all'emporio. Ecco qui. E' uno dei passaggi più spietati (e illuminanti) della letteratura legata al colonialismo, ma in termini generali anche all'economia di mercato nel suo complesso.


Il collega del Corocoro comprava caucciù fresco, greggio, che gli portavano dalla savana, in sacchi, in balle umide.
Mentre eravamo là, mai stanchi di sentirlo, una famiglia di raccoglitori, timida, viene a piantarsi sulla soglia della sua porta.
Il padre davanti agli altri, grinzoso, cinto da un piccolo perizoma arancione, il lungo machete appeso al braccio.
Non osava entrare il selvaggio.
Eppure uno dei commessi lo incitava: « Vieni musulmano! Vieni a vedere qui! Mica li mangiamo i selvaggi! » 'Sto linguaggio finì per deciderli.
Penetrarono nella baita bollente in fondo alla quale strepitava il nostro uomo del Corocoro.
Il nero non aveva ancora, pareva, visto mai un negozio e bianchi forse nemmeno.
Una delle sue donne lo seguiva, occhi bassi, portando in cima alla testa, in equilibrio, il grosso paniere pieno di caucciù greggio.
D'autorità i commessi del reclutamento s'impadronirono della cesta per pesare il contenuto sulla bilancia.
Il selvaggio non capiva il trucco della bilancia più del resto.
La donna non osava sempre alzare la testa.
Gli altri negri della famiglia attendevano fuori, gli occhi bene spalancati.Li fecero entrare anche loro, bambini compresi e tutto, perché non si perdessero niente dello spettacolo.
Era la prima volta che venivano così tutti insieme dalla foresta, verso i bianchi in città.
Avevano dovuto mettercisi da un bel po' tutti quanti per raccogliere tutto quel caucciù lì.
Allora per forza il risultato interessava a tutti.
E' lungo da far gocciolare il caucciù nelle piccole ciotole che s'attaccano ai tronchi degli alberi.
Spesso, non riesci a riempirne un bicchierino in due mesi.
Fatta la pesa, il nostro grattatore trascinò il padre,sbalordito, dietro il banco e con una matita gli fece i conti eppoi gli chiuse nell'incavo della mano qualche moneta in argento.
E poi: « Vattene! gli ha detto a 'sto modo.
E' quel che ti viene!... » Tutti gli amichetti bianchi si torcevano dallo scherzo, tanto lui aveva condotto bene il suo business.
Il negro restava piantato mogio davanti al banco con la piccola mutanda arancione intorno al sesso.
«Te, non sapere cosa sono soldi? Selvaggio allora?» l'ha apostrofato per svegliarlo uno dei commessi abituato a sbrogliarsela e ben allenato senza dubbio a queste transazioni perentorie.
«Tu non parlare fransé di'? Tu essere ancora gorilla eh?...
Tu non parlare insomma eh? KusKus? Mabillia? Tu coglione? Bushman! Coglione completo! » Ma restava davanti a noi il selvaggio la mano rinhiusa sui suoi pezzi.
Sarebbe scappato se avesse avuto il coraggio, ma non osava.
«Tu comperato allora cosa con tua grana?» intervenne opportunamente il grattatore.
«Ho mai visto uno stronzo come lui a ogni modo da un sacco di tempo», volle specificare.
«Deve venire da lontano quello! Cos'è che vuoi? Dammi la tua grana! » S'è ripreso i soldi d'autorità e al posto delle monete gli ha stropicciato nell'incavo della mano un grande fazzoletto verdissimo che era andato abilmente a prelevare in un anfratto del banco.
Il padre negro esitava ad andarsene col fazzoletto.
Il grattatore fece allora anche di meglio.
Conosceva davvero tutti i trucchi del commercio imperialista.
Agitando davanti agli occhi di uno dei piccoli neri bambini quel gran pezzo di cotonina verde: « Lo trovi mica bello di' gorbetto? Ne hai visti molti così di' piccolina bella, dimmi carognetta, dimmi salsicciotto, di fazzoletti? » E glielo ha annodato al collo d'autorità, tanto per vestirla.
La famiglia selvaggia contemplava adesso il piccolo adorno di questa gran cosa di cotonina verde...
C'era più niente da fare perché il fazzoletto era già entrato in famiglia.
Non restava che accettare, prendere e andare.
Si misero dunque tutti a rinculare lentamente, superarono la porta, e nel momento in cui il padre si girava, da ultimo, per dire qualcosa, il commesso più scaltrito che aveva le scarpe lo stimolò, il padre, con un gran calcio in pieno culo.
Tutta la piccola tribù, raggruppata, silenziosa, dall'altro lato di avenue Faidherbe, sotto le magnolie, ci guardava finire l'aperitivo.
Si sarebbe detto che cercavano di capire quel che gli era appena capitato.

(grazie a http://www.winniekrapp.it/testi/)


Ma al di là del colonialismo tutto questo mi ha fatto venire in mente l'esercito dei giovani lavoratori dell'informazione sottopagati, precari, collaboratori o contrattisti, usciti di fresco dalle università e dalle scuole di giornalismo, che si accontentano di lavorare per uno stage, un viaggetto all'estero, il proprio nome in coda a un video. Tutta quella conoscenza di cui sono portatori, tutte le nozioni imparate, tutto quel sapere di lingue straniere, informatica, teorie disparate, non è un po' come il caucciù di Céline?