Bagatelle e massacri

"Come si fa a saltare da cose tremendamente serie a cazzatelle come il pop?"
Questa l'ho letta su un blog musicale che è stato tempestato di post su Gaza. Il mio blog non lo tempesta nessuno ma essendo piuttosto generalista (sì, ci sono 3-4 temi che ritornano, ma spesso si salta di palo in frasca, cioè da Gaza a X-Factor) mi sono sentito indirettamente chiamato in causa.

La prima cosa che si potrebbe dire al proposito è: si fa e si può, perché la vita è così. Parliamo di una vita in cui è facile non solo fare "salti" paurosi in un blog - o facendo zapping alla tv - ma anche, ad esempio, andare di persona in un paese in guerra, starci qualche giorno, o qualche settimana, e poi tornare alla propria tiepida casa. Lo fanno molti pacifisti, ma anche molti turisti normali (magari senza neanche accorgersene, perché molte delle guerre di oggi sono a bassa intensità). E' una cosa cinica, come sembra suggerire quel post? Probabilmente no; certo, dipende da come la si vive. Comunque, non è più straniante che andare a messa la domenica, poi uscire fuori sul sagrato e mettersi a parlare del prezzo dei rapanelli. Ma come: un attimo prima presenziavi al compiersi del Mistero dei Misteri - un dio che si fa pane e vino per congiungersi "fisicamente" con i suoi fedeli - e adesso ti preoccupi della spesa?
E invece la vita quotidiana è così, e peraltro negli scenari di guerra non cambia di molto. Anche in stagione di massacri c'è tempo per le bagatelle. Soldati e civili non vivono di guerra 24 su 24: comunque sia, continuano anche a studiare, fare scherzi, innamorarsi o suonare la chitarra. Sì, le cose serie e il pop (o i rapanelli) possono stare gomito a gomito.
Il secondo livello di riflessione riguarda i media. Si dirà: non parliamo di vita reale ma di blog, di informazione. Dunque, vediamo. Sui giornali le notizie sulle guerre si trovano solitamente in sezioni distinte da quelle riservate agli spettacoli, al costume o al calcio. Effettivamente, trovare una foto di Beyoncé o di qualche calciatore guzzone accanto ad una di un bombardamento può dare fastidio. A me personalmente gli inserti femminili che su una pagina ti rifilano l'ennesimo articolo sull'anoressia (o l'ennesima recensione di un libro autobiografico di un'anoressica) e sull'altra una pubblicità con la modella spettrale d'ordinanza, mi disgustano un poco.
La suddivisione di cui sopra, comunque, salta nella prima pagina: dove possiamo trovare la notizia di Gaza in taglio alto e quella sul Grande fratello di spalla o in taglio basso. Non c'è niente da fare: di nuovo ha la meglio il carattere spurio della vita reale, fatta di bagatelle e massacri, guerre, rapanelli e pop.
Ma su un blog? Qui le cose effettivamente potrebbero essere diverse. Una teoria sostiene infatti che i blog siano tanto più efficaci quanto più sono specializzati su un tema. I blog specialistici vengono considerati quindi, in quest'ottica, migliori rispetto all'informazione generalista (quella dei giornali, o dei Tg), che gli analisti dicono essere in crisi. L'informazione generalista è superficiale, imprecisa, volgare, ergo ha stufato e la gente (per lo meno un certo tipo di gente) si rivolge a fonti specializzate, come appunto i blog che si occupano solo di quella cosa (solo di musica, ad esempio, o meglio ancora, solo di un singolo autore, solo di Beyoncé o di Mahler). La tv digitale (che tutti abbiamo già capito essere un pacco), ma anche la semplice tv a pagamento, dovrebbero andare nella stessa direzione: un canale agli appassionati di regate, un canale alla Bbc, uno ai patiti di Padre Pio, uno ai rapanelli, cento ai fan del porno ecc. Effettivamente, anche in questo modo è facile saltare dalle cose tremendamente serie alle cazzatelle (basta una semplice pressione del pollice e in futuro forse un comando vocale) ma almeno ogni cosa rimane formalmente al suo posto. E questo ha un suo peso, perché da sempre sappiamo che l'orrore delle cose è il loro essere fuori posto (pensiamo alle feci o all'urina: ce le portiamo dentro per la maggior parte del tempo, no? Ma sono ben nascoste e al loro posto e quindi non ci pensiamo: per terra però ci fanno schifo e se la terra è il pavimento di casa nostra sono o il segnale allarmante dell'incontinenza o lo sfregio lasciato da un profanatore).
Il terzo livello di riflessione è filosofico. Dopotutto, questo mescolare informazione alta e bassa, politica e intrattenimento, sacro e profano, questa orizzontalità dell'informazione generalista, non sono forse il riflesso della postmodernità così come concepita da Jean Francois Lyotard?
"L'epoca attuale, che Lyotard chiama postmoderna, è caratterizzata dal venire meno della pretesa propria dell'epoca moderna di fondare un unico senso del mondo partendo da principi metafisici, ideologici o religiosi e dalla conseguente apertura verso la precarietà di ogni senso."
"La realtà è differenza, molteplicità irriducibile, mutamento non ingabbiabile entro un unico schema."
La postmodernità può essere letta in due modi. Uno negativo: essa conduce al relativismo culturale estremo, dove nessun valore è certo o è dato una volta per tutte. E sul relativismo estremo non si può costruire nulla.
Uno positivo: la postmodernità è sinonimo di tolleranza, equanimità, equidistanza, apertura a tutto ciò che è altro o diverso, è sovversione delle gerarchie tradizonali, è anticolonialista e a-classista.
Per tornare ai blog e all'informazione generalista: per me questo mettere vicino l'alto e il basso, il serio e il faceto, le bagatelle e i massacri può essere volgare, schifoso, rivoltante come lo è il mercato nei suoi aspetti peggiori. Ma può essere anche utile, perché dagli accostamenti casuali e disparati possono uscire a volte le riflessioni più geniali o le soluzioni più efficaci. Qualcuno pensa davvero che la guerra in Medio Oriente possa essere risolta dagli stati, dalla politica, dalle diplomazione internazionali? Dopo che ci provano da sessant'anni? Se tanto mi da tanto, la soluzione può anche arrivare dalle cazzatelle, oh sì. E se non la soluzione, quantomeno qualche barlume di comprensione in più.

E sì che mi piaceva

E sì che mi piaceva Santoro, la sua Samarcanda era un appuntamento imprescindibile!

Ora, io sulla guerra a Gaza non dico altro, penso che onestamente sia difficile prendere le parti di Israele (come ha detto recentemente Jerry Adams, ex-negoziatore della pace fra l'Ira irlandese e il governo britannico: "Certo, però, gli inglesi, anche nei momenti più duri, non si sono mai sognati di bombardare un condominio di Belfast perché nelle cantine poteva nascondersi una cellula dell'Ira").

Mi riferisco solo allo stile. Che differenza c'è con un qualunque Emilio Fede? Come si fa a ragionare lucidamente se nello studio hai dei megaschermi che ti sbattono in faccia per tutto il tempo gli occhioni sbarrati dei bambini palestinesi? Come si fa a farlo con quelle giornaliste-vampire (strafighe, ovviamente) che Santoro ha allevato alla sua corte, per le quali sembra che l'unica regola buona sia: l'imparzialità non esiste, sono giornalista quindi mi schiero e se qualcuno prova a contraddirmi gli salto alla giugulare?

Eh vabbé. Non dico che l'Annunziata sia la mia giornalista preferita. Ma lei almeno ha scritto un libro (Bassa intensità, dedicato alla guerra in Salvador negli anni '80, che seguì come inviata del Manifesto) che potrebbe far testo ancora oggi. Certo, gli manca l'impatto di quegli occhioni sbarrati....