La banda Baader Meinhof

Ho visto "La banda Baader Meinhof" di Uli Edel (regista anche dell'indimenticato "Christiane F."), e mi è venuto spontaneo confrontarlo con l'altro film "importante" girato sul periodo del terrorismo in Germania, "Anni di piombo" della Von Trotta (1981). Il film della Von Trotta - che ultimamente ha dichiarato di essere stata forse troppo indulgente con la Raf, come molti della sua generazione - era il classico film sul terrorismo, simile ad altri dedicati ad esempio alle Brigate Rosse: crepuscolare, pensoso, triste. I terroristi venivano dipinti come persone fanatiche, forse, ma in qualche modo anche intimamente lacerate. Il film di Uli Edel mostra invece il lato western degli anni di piombo. Un po' come "Romanzo criminale" mostra il lato western della delinquenza organizzata. Non è tanto un film d'azione: è un film sull'azione, su ciò che i terroristi facevano (sparare, mettere bombe, addestrarsi nei campi palestinesi in Giordania, sacrificare i propri affetti, pontificare, gasarsi, correre in macchina, anche scopare), piuttosto che su ciò che i terroristi pensavano. Per certi versi fa un'operazione simile a quella proposta da "Trainspotting", che mostrava (anche) il lato divertente della tossicodipendenza. Credo sia un film realistico. In fondo, "non c'è rivoluzione senza investimento libidinale", per citare Philopat. E poi, come mi ricorda un amico, uno dei film preferiti dai terroristi, all'epoca, era "Il mucchio selvaggio" di Peckinpah.
Film, ecco. Uno come Baader - dipinto come il leader carismatico, arrogante e sfrontato dall'inizio alla fine - questo aveva, probabilmente, alle spalle. Questa era la sua cultura, assieme a un po' di Marx. Peccato che, come scrive Saviano, nei film quando la scena da girare è finita, gli attori si alzino, si puliscano dal sangue finto, vadano a pranzo. Nella vita vera no. Le vittime rimangono vittime. Chi muore muore, e a chi è rimasto mutilato non rispuntano gli arti, né le ali.

Dark in tv


Marcello Dell'Utri, braccio destro di Berlusconi: "Io guardo il Tg3 e vedo che ci sono degli anchorman che hanno già una faccia un po' gotica, un po' dark. Sicuramente, ce ne sono più in Rai che sugli altri network. Credo che il direttore del telegiornale dovrebbe dimostrare un maggiore esprit de finesse in queste cose. Farle, dirle lo stesso, ma magari con un'altra espressione».

Nella foto: un presentatore del TG3