La giusta distanza - ovvero, del pericolo di vivere molte vite



Ho visto ieri – in ritardo, come sempre – questo film di Mazzacurati, uscito nel 2007.
Il titolo riprende il consiglio che un vecchio giornalista dà ad un giovane che vuole iniziare la professione: devi tenerti alla giusta distanza dai fatti, non troppo lontano se no non riuscirai a capirli e a raccontarli, rimarrai indifferente, ma nemmeno troppo vicino, altrimenti, ne verrai travolto sul piano emotivo.
Ma l’aspirante cronista non ascolta: continua ad indagare sulla morte della giovane maestra, arrivata in un paesino del delta del Po per una supplenza, ed in procinto di partire per il Brasile con un progetto di cooperazione allo sviluppo. Un delitto del quale è stato accusato il meccanico del paese, un tunisino che nel frattempo si è suicidato in carcere, dopo avere a lungo professato la sua innocenza.
Ci sono un paio di cose notevoli in questo film secondo me quasi perfetto (a parte qualche scivolone felliniano: quanti danni ha fatto Fellini al nostro cinema!). Tralascio le disquisizioni tecniche – la ripresa aerea iniziale sul fiume, trasfigurato, anche grazie agli accordi blues dei Tin Hat, in una sorta di Mississipi italiano, è davvero notevole – perché in fondo, la tecnica non interessa a nessuno.
I contenuti, però. Intanto, questo microcosmo di provincia, al tempo stesso chiuso e popolatissimo di stranieri: tutti parlano dialetto (veneto), tutti vivono una tranquilla esistenza “periferica” (alimentata dal sonnolento quotidiano locale, che dà enorme spazio alla notizia di un grande pesce pescato nel fiume e confina in poche righe a piè di pagina la scoperta di una manifattura clandestina di cinesi). Ma il mondo in cui vivono queste figure - a volte invero un po’ macchiettistiche - non è più quello di Guareschi, e nemmeno di Malo, per intenderci; è in mondo globalizzato, dove il meccanico è tunisino, il signorotto locale ha trovato la moglie in un catalogo di bellezze dell’Est, le telefoniste ucraine o rumene dei call-center erotici fanno bisboccia nei fast food fianco a fianco con i giovani del paese che festeggiano l’addio al celibato…
Un mondo ormai post-razzista e forse persino post-leghista, per così dire, perché dopotutto gli stranieri servono, hanno trovato una loro collocazione, danno persino lavoro agli italiani. Eppure, quando esplode la tragedia, nessuno mette in dubbio che il tunisino (il principale indiziato, del resto, non un capro espiatorio à la “Cane di paglia”) sia il colpevole.
Soprattutto, svetta su tutti il personaggio della maestra. Una giovane donna, bella, single e senza fronzoli, i cui modi, di una disarmante, spensierata dolcezza, fanno girare la testa a molti (è lei in fondo la prima a non tenere “la giusta distanza”, quando parla con gli altri: si avvicina troppo, non rifugge il contatto fisico). Sono modi che, in certi contesti (più urbani?), risulterebbero perfettamente normali, ma che ingenerano fraintendimenti drammatici se calati in altre realtà. Come quella del meccanico tunisino, che dopo esserci finito a letto le propone subito di sposarlo, andando in contro all’inevitabile rifiuto e alla conseguente, cocente disillusione.
C’è una battuta che Mara-Valentina Ludovino pronuncia, ad un certo punto, nell’accomiatarsi dal suo amante: “Vorrei avere 13 vite”. Mi pare sia detto bene, e mi pare fotografi la situazione di tante persone oggigiorno. Vorrei avere 13 vite per dedicarne una al Brasile, una a formare una famiglia con quest’uomo solido, protettivo, temprato dalla vita, una per continuare ad andare in giro con la mia amica a divertirmi, una per diventare una scrittrice, una per diventare una genetista, una per fare tutta la vita la maestria nel nebbioso microcosmo padano ecc. ecc.
Nella stagione della modernità le possibilità sembrano infinite. L’identità non è una, è multipla. Possiamo essere tutto e il contrario di tutto. I media ci incoraggiano a farlo, ad essere tante vite, ad espandere a dismisura il nostro ego, a divorare mondi e mondi. E’ il bello di vivere adesso, in società aperte, multiculturali, interclassiste (almeno fino a un certo punto; fino a certe soglie, diciamo…). Ma il film sembra suggerire che queste possibilità possono quantomeno presentare delle zone d’ombra. Entrare e uscire dai mondi altrui espone a un rischio, ed è un rischio reale, che può costare una vita. Anche quando si è privi di colpe. Anche quando si va incontro alla vita con spontaneità e fiducia, come fa la protagonista di "In cerca di mr. Goodbar" (chi lo ricorda?) Come fa la maestra di Mazzacurati, che doveva partire per il Brasile e invece viene ammazzata, un po' per errore, dall’autista della corriera che collega il paese al resto del mondo, nella notte del suo addio al celibato.