L'Africa, il G8, noi


Ieri il quotidiano la Stampa, per l'occasione "diretto" da Bob Geldof, è uscito con una falsa copertina dedicata all'Africa, titolata "l'opportunità"; dentro, uno speciale sull'Africa, ovviamente a più mani.
In prima abbiamo un editoriale di Bono, che parla del suo amore per l'Italia come patria del "bel canto" e di come un certo approccio melodico tipico della lirica abbia influenzato la musica degli U2; tutto questo per dire poi che in realtà il nostro Belpaese, pur se musicale e molto amato, non ha rispettato gli impegni assunti in seno al G8 per quanto riguarda gli aiuti all'Africa. E fin qui, diciamo, sono cose note (quelle riguardo all'Africa, non quelle riguardo alla passione del padre di Bono per La traviata). Persino Berlusconi ha riconosciuto che è così, gliene diamo atto.
Più articolati invece gli interventi successivi, che per una volta dipingono l'Africa non (soltanto) come un continente di miserie inenarrabili e guerre sempre inevitabilmente tribali (anche quando sono guerre pienamente politiche, come quelle che combattiamo noi). Andando oltre la solita giaculatoria sulla mancanza di aiuti internazionali (e anche oltre la sua antitesi, quella per la quale gli aiuti non servono a nulla e sono solo un business per l'Occidente, nonché per le leadership africane corrotte) in queste pagine si confrontano tesi diverse. C'è chi - parlando di globalizzazione - dice ad esempio che l'Africa soffre di poca globalizzazione e non di troppa globalizzazione, ovvero che esistono ancora forti barriere doganali (a danno dell'Africa) che impediscono al continente di approfittare veramente dell'apertura dei mercati: in particolare si parla di dazi "nascosti", sottoforma di sussidi che Europa e Usa concedono a settori strategici della loro industria agroalimentare.
C'è anche chi prova ad andare al di là dell'idea, ancora condivisa da molti, per cui in un continente così sottosviluppato qualsiasi tipo di sviluppo sia meglio che niente, e prova ad articolare ragionamenti ad esempio riguardo alle energie sostenibili (anche se suona un po' strano che chi finora ha inquinato a dismisura il mondo oggi chieda ai più poveri comportamenti "virtuosi"). Quel che è certo è che i cambiamenti climatici colpiscono anche i paesi poveri; loro, anzi, sono ancora più esposti.
Tony Blair parla del presidente del Ruanda Kagame come di un esempio da imitare, cosa che farà arrabbiare qualcuno a casa nostra (ad esempio Beati i costruttori di pace). Romano Prodi invece dice una cosa parzialmente condivisibile, ovvero che bisogna dare fiducia all'Unione africana per le operazioni di peace keeping, anche se il Consiglio di sicurezza dell'Onu la pensa diversamente (non in blocco, per fortuna).
In generale (e riprendo qui quello che ho scritto anche su questo bel sito) credo bisognerebbe evitare, ancora una volta, le opposte generalizzazioni. Indubbiamente l'immagine di un Africa in perenne emergenza, un'Africa solo e soltanto ammalata, affamata, strangolata, bisognosa di aiuti, si sta appannando. Ed è un bene. Speriamo che da questo ripensamento emergano le cose positive di un continente che comunque attrae noi occidentali - se no non saremmo ancora qui a parlare, a vanvera, di "mal d'Africa" - anche nella forma delle migliaia di cooperanti, volontari, missionari che vi risiedono più o meno stabilmente e sono felici di stare lì (si spera non solo per gli stipendi). Un continente di cui si dovrebbe conoscere un po' di più almeno la storia, e poi forse anche (è cosa più difficile) la cultura, ovviamente nelle sue dinamiche di cambiamento.
Al tempo stesso, quando sento qualche nostro esperto dire che nel futuro dell'Africa c'è un'evoluzione di tipo "cinese" resto perplesso: primo perché non so se questo è un destino desiderabile per l'Africa (dopotutto, stiamo solo ora cominciando a rallegrarci del fatto che molte nazioni africane si stanno democratizzando; non dovremmo dimenticare che lo sviluppo della Cina segue il modello "via prussiana allo sviluppo", cioè tanto lavoro, tanta crescita, nessuna democrazia). Poi perché l'Africa è grande, e se in qualche paese possiamo osservare una crescita economica e un miglioramento degli standard di vita, in qualche altro la situazione è addirittura peggiorata rispetto a 10-15 anni fa. Se guardiamo all'Africa dalla prospettiva della Repubblica democratica del Congo, dell'Eritrea o della Somalia, direi che nulla ci induce ad essere ottimisti.
Insomma, credo sia bene che non si parli solo di povertà, di aiuti, di percentuali di donazioni sul Pil; credo sia però anche giusto dire ad esempio che la crisi economica internazionale non impatta solo sui paesi ricchi ma anche sull'Africa, come ho sentito raccontare dal presidente del Mozambico Guebuza solo un anno fa, a Maputo. Certo è che l'Africa è parte del mondo, non cosa a sé stante. I suoi destini sono inevitabilmente legati ai nostri.

Ps: nonostante quello che ho detto all'inizio, Bono si conferma un grande comunicatore. Sa dire le cose in maniera semplice, accattivante, mai pedante. E se non è merito suo, lo è di certo del suo ghost writer.

Foto: Uganda, sorgenti del Nilo a Jinja (foto: M. Pontoni)

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