Mai contenti - i limiti sociali allo sviluppo


In un libro pubblicato per la prima volta in Italia nel 1981 da Bompiani, I limiti sociali allo sviluppo, Fred Hirsch dice che - a differenza di quanto sostenuto dal Club di Roma (i limiti dello sviluppo sono dati dalla finitezza delle risorse/materie prime) - lo sviluppo così come concepito dalle società consumiste è limitato socialmente. La tesi è che, soddisfatti i bisogni di base (mangiare, scaldarsi, ecc. quelli, insomma, che ormai stanno cominciando ad essere soddisfatti anche in Cina) i consumatori si orientino verso una quota crescente di beni e servizi volti a soddisfare bisogni non fondamentali (non biologico-materiali). E fin qui, direte, non valeva la pena di scriverci un libro. Questi beni, però, sono tanto più desiderabili quando più sono "oligarchici", ovvero riservati a pochi: beni di status, o beni il cui uso è fortemente legato alla scarsa diffusione, alla difficoltà di accesso, alla limitatezza. Banalmente: un'auto lussuosa e veloce è tanto più desiderabile quanto più essa "spicca" su uno sfondo di utilitarie lente e cheap, una vacanza su una spiaggia tropicale è tanto più "unica" quanto più la spiaggia è deserta ecc.

Ma le società aperte, democratiche, basate sui consumi di massa devono lasciare aperto a tutti - almeno sul piano ipotetico - l'accesso a tali beni. Il risultato è una crescente insoddisfazione ai livelli più "bassi" (tra chi per ragioni di reddito, di status ecc. non può accedere a certi beni, dalle scuole private ai fuoribordo) ma anche ai livelli più alti, a mano a mano che crescono la pressione dal basso e l'affollamento.

Questa lettura, che a suo tempo trovai illuminante, mi è ritornata alla mente ieri, leggendo un fondo di Maurizio Ferrera sul Corriere dedicato alla crisi: "Il ritorno alla frugalità - Epicuro e crisi dei consumi".

Ferrera scrive che il cosumismo tende a provocare "una vera e propria rincorsa posizionale fra individui e gruppi sociali: ciascuno aspira a consumare un po' di più del suo vicino e (...) questa escalatation ha poggiato su comportamenti spesso irrensonsabili dal punto di vista finanziario, grazie a carte di credito e mutui ipotecari che hanno consentito a moltissime persone di spendere al di là delle loro reali possibilità. La crisi in cui siamo precipitati è almeno in parte connessa anche a questi comportamenti. Se servisse a fare calare la febbre dell'iperconsumo (...) potrebbe indurre una salutare bonifica in alcune pratiche sociali che hanno finito per provocare enormi circoli viziosi".

Sul piano sociale ed etico Ferrera non si richiama tanto ai precetti religiosi - diciamo all'anticonsumismo di matrice "francescana" - quanto agli ideali classici (greci e latini) della temperanza, della costanza e della moderazione, agli stoici e a Epicuro, che raccomandava, a chi insegue la felicità, di semplificare bisogni e aspirazioni.

Tutto questo mi piace e mi pare essere oggi il tipo di critica più radicale alle società (capitaliste?)consumistiche che si possa concepire, smascherate le ipocrisie del comunismo (che, ovunque si sia realizzato, dall'Urss al Vietnam, dalla Romania alla Cina, era sempre e comunque "sviluppista", ma in una maniera assai più inefficace E TAROCCA che nelle società di mercato).

Semmai mi verrebbe da aggiungere che chi ha pochi mezzi ha sempre fatto di necessità virtù (vi ricordate la canzone? "mo viene Natale, nun teng'e denare, me leggo il giurnale, e vado a cuccà") e che questo "nuovo epicureismo" è difficile da concepire in società che ti sbattono davanti al naso ad ogni piè sospinto la desiderabilità di un'esistenza di agi, privilegi, bellezza e ricchezza. I comportamenti sociali non sono solo una questione di volontà; se l'input che ricevo fin da bambino è che il "massimo" è rappresentato dai big della finanza e dalle star del cinema o dello sport (dai loro vestiti, dai loro corpi continuamente ritoccati, dalle loro ville, dalle loro fidanzate/fidanzati, dal potere che esercitano in virtù del loro denaro) è piuttosto difficile che poi mi orienti alla semplificazione dei bisogni e delle aspirazioni, no? C'è poi un'altra questione, non culturale ma economica. Il fondamento su cui oggi il "sistema" poggia è quello della competizione: competitività è la parola d'ordine, ad ogni livello, dall'Unione europea ai piccoli, piccolissimi territori (e alle loro piccole, talvolta piccolissime aziende). Come conciliare la frugalità con questa spinta continua, questa sollecitazione incessante a innovare, crescere, perfezionare, perfezionarsi? Una volta ho sentito lamentare a un imprenditore: "Le stiamo tendando tutte, cazzo, per portare il ciclo di vita di quel prodotto (pc? telefonino? tostatape? scarpone da sci? occhiale da sole? vedete un po' voi...) sotto ai 12 mesi!".

(foto del sottoscritto: Sri Lanka, raccoglitrici di te)

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