Il grande Zimbabwe

Il grande Zimbabwe è il nome di uno straordinario sito archeologico dell'Africa australe, composto da una serie di costruzioni murarie in un continente fatto di capanne di fango. Wilbur Smith per giustificare questo mistero scientifico s'inventò che fosse stato creato da una tribù barbara (nel senso che noi europei diamo a questa parola, leggasi "i barbari delle invasioni barbariche") che aveva perso la strada ed era finita laggiù. Ma si sa, Wilbur è uno stronzo colonialista.
Anche lo Zimbabwe-nazione è una pura creazione coloniale: venne "inventato" da Cecil Rhodes, presidente della British South African Company, si chiamò non a caso Rhodesia del Sud (quella del Nord era lo Zambia), e venne di fatto governato per cent'anni sul modello sudafricano: ai bianchi potere, terra, miniere, ai neri miserabili riserve sovrapopolate e lavori servili. In Zimbabwe è cresciuta anche Doris Lessing, una delle scrittrici più straordinarie del '900, premiata col Nobel 2 anni fa; nata in Iran, figlia di un funzionario dell'amministrazione coloniale britannica ferito durante la prima guerra mondiale e "pensionato" con un pezzo di terra in Africa, comunista, ha raccontato il paese (che abbandonò a 30 anni per trasferirsi a Londra) con straordinaria vividezza. Negli anni '60 Ian Smith proclamò unilateralmente l'indipendenza, mai riconosciuta dalla comunità internazionale; nel 1980, alla fine di una lunga guerra di liberazione, il regime bianco e razzista cadde. Vinse Robert Mugabe, i neri, divisi in due fazioni (Zanu e Zapu, che ricalcavano le divisioni etniche fra la maggioranza Shona, a cui appartiene Mugabe, e la minoranza Ndebele, che ricalcavano a loro volta le tradizionali divisioni fra agricoltori e allevatori), regolarono i loro conti piuttosto sanguinosamente. Mugabe uscì vincitore, e si aprì una stagione di grandi speranze. All'epoca tutte le persone di buona volontà credevano in Mugabe: conservo riviste degli anni '80 (quando studiavo storia dell'Africa all'Università di Bologna), riviste cattoliche, terzomondiste, di ogni tipo, in cui si magnificava il progresso del paese. Le condizioni della popolazione (nera) miglioravano, l'autosufficienza alimentare sembrava raggiunta, anzi, lo Zimbabwe (tradizionale produttore di tabacco) tornava ad esportare, Mugabe stesso appariva come un leader autorevole pragmatico, aperto alla chiesa cattolica, nonostante il suo pseudo-marxismo. Un motivetto pop ("Bobby Mugabe, comes from Zimbabwe...") ne cantava le gesta. Tutto ciò nonostante la vicinanza con uno scomodissimo vicino, il Sud Africa dell'apartheid, che fomentava guerre e guerriglie in tutti i paesi confinanti della cosiddetta front-line (quasi tutti governati da regimi socialistoidi).
I problemi sono cominciati ad emergere negli anni '90, con l'avvio della riforma agraria. Certo, è un dato di fatto che le terre migliori erano ancora in mano ad una minoranza di farmers bianchi; ma è altrettanto vero che questi farmers erano lì da una vita, davano lavoro a un sacco di neri (affittuari, mezzadri, braccianti) e sapevano il fatto loro. Togliergli le terre per darle ai "reduci" - i sostenitori di Mugabe - è stato un disastro, il che dimostra come un'idea che sembra giusta in linea di principio possa rappresentare una iattura se tradotta in pratica. Mugabe è diventato in breve una "bestia nera", e oggi gli è addirittura negato l'ingresso in Europa e negli Usa (il che francamente pare un'esagerazione, se si pensa ai salamelecchi che facciamo ad un personaggio di sicuro peggiore quale è Gheddafi, per non dire dell'appoggio dato in passato dall'Occidente a dittatori come Mobutu Sese Seko o Siad Barre). Il paese è ridotto alla fame e il regime si è avvitato su se stesso, sprofondando in un gorgo di autoritarismo e violenze. Il risultato sono le migliaia di emigrati che cercano un futuro migliore in Sud Africa (oggi come un tempo, ma oggi è forse anche peggio di un tempo perché il Sud Africa non li vuole). Sono la conflittualità diffusa, sono il colera di cui parlano i giornali in questi giorni.

Donne d'Africa





Dall'alto: Mozambico e Kenya, preparando il pranzo. Somalia, donna con bambino. Eritrea, festa a Kerèn (foto del sottoscritto).

Crudeltà vaticane 2

Dopo il no alla depenalizzazione dell'omosessualità (il progetto di dichiarazione che la Francia intende presentare a nome dell’Unione europea alle Nazioni Unite), il Vaticano esprime il proprio dissenso anche nei confronti della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, entrata in vigore l’8 maggio scorso, primo trattato sui diritti umani del Terzo Millennio approvato dall’Assemblea generale dell’Onu nel 2006. Il Vaticano ha partecipato attivamente ai lavori per la stesura del testo, durati cinque anni, ma, alla conclusione, si è rifiutata di firmarlo perché il documento non ha inserito un divieto esplicito nei confronti dell’aborto (inteso anche come "diritto a..." da parte di coppie disabili).
La chiesa di papa Ratzinger sembra stia facendo di tutto per allontanarsi dal comune sentire della gente.
Chiaro che c'è dietro una (magari condivisibile) preoccupazione per l'eugenetica. Ma, una volta di più, il tutto si risolve in una mera questione di principio (il Vaticano come Rifondazione: l'importante è fare testimonianza).

Crudeltà vaticane 1.

Appello della Santa Sede all'Onu: "L'omosessualità resti reato".
La Chiesa perseguita se stessa?


Leggo su un blog (http://aconservativemind.blogspot.com/): "La paura di Ratzinger dinanzi all’Onu, dunque, è quella che Fëdor Dostoevskij mette in bocca a Ivan Karamazov: «Se Dio non esiste, tutto è permesso»." Trovo davvero fastidiosa questa pretesa dei credenti di essere gli unici depositari di una morale. Oltretutto, questa visione è una visione disperata dell'uomo, perché lo svilisce profondamente. Davvero gli uomini hanno bisogno di inventarsi un Dio per darsi delle regole di condotta? Da non-credente mi pare una considerazione inaccettabile. Oltretutto è la stessa esperienza di vita (il dato empirico, diremmo, se fossimo in un'aula universitaria) a mostrarmi pressochè quotidianamente il contrario. Credenti di ogni fede che fanno ciò che vogliono (sia in materia sessuale sia in campi assai più delicati e gravi) giustificandosi in mille modi. E agnostici - come il sottoscritto - che non accetterebbero mai compromessi tanto enormi (spesso, perlopiù, frutto di mera ipocrisia).
E poi, abbiamo alle spalle un dibattito plurisecolare sul Giusnaturalismo. Come possiamo credere che le società umane non possano autoregolarsi, come possiamo far dipendere le regole che le governano da una divinità, da una religione? Ciò significa negare non solo lo stato laico ma le fondamenta stessa della nostra cultura (anche se ai sostenitori del Papa è spesso concesso dimenticare che le radici della civiltà occidentale sono Machiavelli e Hobbes e Locke e Voltaire e Stuart Mill e...Andy Warhol, ovviamente).
Ho letto l'intervento di un sacerdote trentino (peraltro illuminato) il quale dice: "In fondo l'omosessualità è reato in 94 paesi. La Chiesa non fa che schierarsi con essi."
Sì, ma - con tutto il rispetto - quali paesi? Rwanda, Libia, Iran, Bangla Desh, Etiopia, Birmania, Sudan, Arabia Saudita, Mauritania...
Fari di democrazia, insomma.
Il rappresentante vaticano all'Onu monsignor Migliore argomenta che una dichiarazione di valore politico - quale è quella proposta dalla Francia - rischia di aggiungere "nuove categorie protette dalla discriminazione senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni". In pratica, gli Stati che non metteranno omo e eterosessuali sullo stesso piano, verrano fatti oggetto di pressioni indebite se non addirittura messi "alla gogna". La preoccupazione, onestamente, è un po' debole, di fronte alla lista di vessazioni a cui, in tanti paesi, l'omosessualità viene sottoposta. Ma il discorso potrebbe allargarsi: infatti molti di questi paesi in realtà discriminano pesantemente anche altre categorie di cittadini, a partire dalle donne. Le persone di buon senso si chiedono perché ciò che le persone fanno in camera da letto sia così determinante per le gerarchie eclesiastiche. Si chiedono inoltre se ci siano specie d'amore intrinsecamente peggiori di altre, da circoscrivere, da punire.

Father


Mi capita di avere nostalgia di quello che ho vissuto il mese scorso, ieri l'altro, ieri, due ore fa. Un giorno proverò nostalgia del momento esatto, il lucido istante levigato che chiamiamo PRESENTE,
e il cerchio sarà chiuso.

Neve

La neve è sorprendente; appartiene a quella categoria di fenomeni naturali che generano nelle persone un senso di complicità, di comune appartenenza al genere umano, difficile da rintracciare in quelle che i sociologi chiamano: "società complesse". E` come se il disagio, molto modesto, che essa crea, risvegliasse negli uomini l'istinto primordiale a far causa comune contro forze percepite come infinitamente più potenti. Un istinto che risale, suppongo, a quando eravamo inermi contro cataclismi di ben altra portata, i terremoti, le inondazioni, qualche sconosciuta pestilenza...
Quando una nevicata improvvisa paralizza il traffico, quando i tram smettono di viaggiare e ci si sente isolati, persino nel cuore della città, dentro ai confini angusti di un caseggiato, un quartiere...allora ci si scambia sinceri sorrisi, e si commentano assieme le previsioni del tempo. Le persone sono capaci di cose inaudite, come prestarsi aiuto a vicenda. E` il loro lato tribale che viene a galla, mette sempre una certa eccitazione, a vederlo esplodere così, per un nonnulla.
da Macchine fluide, romanzo inedito (finalista Premio Calvino 1997)

Pastello


And something flickered for a minute, and then it vanished and was gone...

Il Trentino stoppa la destra

L'avanzata della Destra (leghista, in questo caso) in Trentino non c'è stata. Il dato delle elezioni di ieri - che ha onestamente dell'inaspettato se non del clamoroso - è che qui il centrosinistra vince alla grande. Lo fa con una formula inedita, nella più pura tradizione trentina (terra che tenne a suo tempo a battesimo la Margherita): PD (primo partito in provincia) + UPT (Unione per il Trentino, nuova formazione politica centrista-riformista di espressione territoriale). A queste due forze si accompagnano inoltre nella coalizione gli autonomisti del PATT, i Verdi, i Leali (liberali), l'Italia dei Valori e l'Ual-Unione autonomista ladina. L'UDC, che in Trentino si era schierata con il centrosinistra, è stata esclusa dalla competizione elettorale per un errore formale nella presentazione della lista (i suoi voti sono comunque confluiti nell'alleanza).
Sul versante del centrodestra, buona l'affermazione della Lega, mentre il Popolo delle libertà resta al palo.
Se in Alto Adige le elezioni provinciali di 15 giorni fa sono state segnate dall'avanzata della destra tedesca (a scapito della SVP, il partito etnico dei sudtirolesi), il Trentino, dove pure si era pronosticato un testa a testa fra il candidato del centrosinistra, Lorenzo Dellai, e quello del centrodestra, Sergio Divina, continua a fare orgogliosamente eccezione. E lo fa anche rispetto al resto del Nord-est italiano: dopo la caduta di Illy in Friuli rimane questa l'ultima oasi refrattaria alle sirene destrorse. E lo fa anche rispetto al panorama politico d'oltrebrennero, compreso quello dei "cugini" del Tirolo, nonché della Baviera.
Molte le ragioni che spiegano questo voto, e che saranno domani abbondantemente sviscerate, anche da chi fino a ieri ha giocato al tiro al piccione con Dellai. Ne segnaliamo una: l'impreparazione dimostrata dai politici romani chiamati a Trento a "rinforzo" di Divina. Valga per tutti la promessa del ministro Tremonti di "regalare" il demanio alla Provincia di Trento, che ha questa competenza da anni (va detto che sono ben pochi i politici nazionali che quando arrivano quassù dimostrano di conoscere qualcosa della nostra Autonomia; non che siano necessariamente tenuti a farlo, beninteso, ma, insomma, non hanno uno staff alle spalle, dei consiglieri, dei ghost writers?).
Ma a pagare è stato probabilmente anche il buongoverno della formazione uscente, a prescindere dall'inchiesta giudiziaria dell'ultima ora che lo ha lambito (e a cui in realtà non era estraneo lo stesso centrodestra). Valgano per tutte le ultime misure varate per fronteggiare la crisi finanziaria internazionale, che hanno mobilitato oltre 400 milioni di euro solo a favore delle imprese indebitate. Qualcuno dirà: ha vinto la "magnadora" (orribile parola resa popolare dall'infelice uscita di un ex-assessore). Io dico: ha vinto la politica.
Questo il dato di sintesi: Lorenzo Dellai 56,99%, Sergio Divina 36,50%.

Addio a Miriam Makeba


E' morta ieri la cantante di origini sudafricane Miriam Makeba, simbolo della lotta all'apartheid. Miriam Makeba - che aveva iniziato la sua carriera negli anni '50 - è morta nella clinica Pineta Grande di Castel Volturno, dove era stata trasportata dopo essere stata colta da un malore, al termine della sua esibizione al concerto anticamorra e contro il razzismo dedicato allo scrittore Roberto Saviano. Per una artista come lei, dopotutto (un'artista sempre impegnata dalla parte "giusta", con un'unica ombra: la sua amicizia, ad un certo punto della carriera, con il dittatore della Guinea Touré), credo non potesse esserci uscita di scena migliore.
La sua musica univa la tradizione occidentale - jazz e pop - a quella africana; aveva quel quid che contraddistingue la produzione delle grandi star internazionali, amate da pubblici diversissimi tra loro. Ma la fama di Miriam Makeba è legata anche e soprattutto al Sud Africa, paese che - all'indomani della Seconda guerra mondiale, cioè di una guerra condotta in ultima analisi contro l'ideologia razzista elevata all'ennessima potenza - edificò un regime razzista al 100%, giustificandolo con argomentazioni che risultano familiari anche oggi: la difesa delle peculiarità culturali di ciascun popolo, la necessità di vivere "separati" per vivere meglio. Ovviamente tutto ciò era una finzione, che mascherava la realtà di uno sfruttamento (della popolazione di colore) scientificamente organizzato. Ma è bene ricordare che chi volle l'apartheid, gli ideologi che costruirono l'impalcatura culturale dello "sviluppo separato", presumevano di essere dalla parte della ragione. Il male, a volte, ha giustificazioni suadenti.

Lou Reed & Velvet Underground - un omaggio








E' appena stato pubblicato il dvd del tour che Lou Reed ha realizzato lo scorso anno, internamente dedicato all'album "Berlin", per la regia di Julian Schnabel. La cosa anomala è che "Berlin", uno dei primi concept-album della storia del rock (un disco, cioè, che raccontava un'unica storia, attraverso le sue canzoni), è stato pubblicato nel 1973. All'epoca venne stroncato: in pochi capirono la profondità di questa vicenda di amore e morte ambientata a Berlino, città-metafora della divisione (la divisione indotta dal Muro, la divisione dei cuori, coppie divise, personalità divise, madri divise dai figli, uomini separati da se stessi dalla droga e dall'alienazione...). A 34 anni di distanza Lou Reed si è preso la sua rivincita: oggi l'ambizione racchiusa in quei solchi è sotto gli occhi di tutti. L'ambizione di usare il rock per veicolare un racconto che può stare senza imbarazzo fianco a fianco con un'opera di Dostoevskij, Joyce, Hubert Selby jr., Delmore Schwarz, William Burroughs. Un'ambizione ben riposta. Dopo tanto tempo, "Berlin" non ha perso un'oncia della sua forza sinistra. Semmai ha acquistato in profondità.

Questo post è un modesto omaggio a un grande artista newyorkese, che ha mosso i primi passi nella Factory di Andy Warhol negli anni '60, come leader dei Velvet Underground (in cui militava Nico, berlinese, appunto, già attrice nella "Dolce vita" di Fellini), l'altro gruppo più influente della storia del rock assieme ai Beatles. Un artista che ha cantato le infinite sfumature del dolore e della redenzione, usando sempre gli stessi maledetti tre, quattro accordi. Un artista la cui musica ha accompagnato la mia vita e quella di tante altre persone come me, che non hanno mai vissuto in una metropoli (e non hanno mai conosciuto certi abissi, se è per questo; ne hanno solo intuito l'esistenza).

Lou farà una comparsata mercoledì prossimo -12 novembre - al teatro Valli di Reggio Emilia, come ospite dello spettacolo che la moglie, Laurie Anderson, sta portando sui palchi europei, "Homeland".

Sarò il tuo specchio, rifletterò quello che sei, nel caso non lo sapessi.
Sarò il vento, la pioggia e il tramonto, la luce alla tua porta, per mostrare che sei a casa...
( from I'll be your mirror)
Io non so dove sto andando, ma proverò a raggiungere il regno se ci riesco,
perché mi sento un vero uomo quando infilo l’ago in vena,
e dopo, ti dico, le cose non sono più le stesse.
Quando la botta comincia a salire,
mi sento come il figlio di Gesù,
e credo solo di non sapere, so soltanto di non sapere...
(from Heroin)
Candy dice: sono arrivata a odiare il mio corpo e tutto ciò di cui ha bisogno in questo mondo.
Candy dice: vorrei capire con precisione quello di cui altri discutono con tanta discrezione.
Candy dice: odio i posti tranquilli, che richiamano impercettibilmente il gusto di ciò che sarà.
Candy dice: odio le grandi decisioni, che provocano ripensamenti infiniti nella mia mente.
Guarderò gli uccelli blu volare sopra le mie spalle,
li guarderò mentre mi sorpasseranno, quando sarò più vecchia.
Cosa credi che vedrei, se potessi allontanarmi da me stessa?
(from Candy says)
In certe specie d'amore, ah, Marguerita ha detto a Tom,
tra pensiero ed espressione, ci passa una vita.
Certe situazioni accadono a causa del tempo,
e non ci sono amori migliori di altri.
(from Some kinda love)
Jenny ha detto che quando aveva appena cinque anni, non succedeva mai niente, ogni volta che metteva su una stazione radio, non passavano mai niente. Jenny disse quando aveva appena cinque anni, i miei genitori saranno la fine per tutti noi.
Due televisori e due Cadillac, non mi saranno proprio d’aiuto
proprio per niente.
Poi un bel giorno si sintonizzò su una stazione di New York, sai non riuscì quasi a credere
a ciò che stava ascoltando, cominciò a muoversi al ritmo di quella musica favolosa, sai, la sua vita fu salvata dal rock’n’roll. Nonostante tutte le amputazioni, potevi uscire e ballare con una stazione di rock’n’roll. Ed era bello. Era bellissimo
(from Rock n Roll)
A Berlino, accanto al muro, eri alta un metro e settantacinque.
Era molto bello, lume di candela e Dubonnet con ghiaccio.
Eravamo in un piccolo cafè, si sentivano le chitarre suonare.
Era molto bello.
Oh, tesoro era il paradiso
(from Berlin)
Quando tutti i tuoi amici da due soldi se ne sono andati e ti hanno fregato
e ti parlano dietro le spalle dicendo che non sarai mai un essere umano...
allora ricominci a pensare a tutte le cose che hai fatto, e a questo e a quello,
rivedi tutto in modo diverso.
Allora ricordati che la città è un posto strano, qualcosa di simile a un circo o a una fogna,
e ricordati che gente diversa ha gusti differenti,
e la Gloria dell’amore potrebbe attraversarti...
(from Coney Island Baby)
Pioggia dal mattino fra nuvole azzurre che ora risplendono di rugiada
attraversando la città in grandi macchine, e io, io non ho niente da fare...
Dammi dammi dammi un po' di divertimento
dammi dammi dammi un po' di dolore
non sai che le cose sembrano sempre pessime,
a me sembrano sempre le stesse.
(from Gimme some good time)
Preso tra gli astri confusi, le linee topografiche, la mappa approssimativa che portarono Colombo fino a New York. A metà strada tra l'est e l'ovest, lui passa a prenderla indossando un gilet di pelle, la terra geme e si ferma in un brivido.
Un crocifisso di diamante come orecchino, serve per fronteggiare la paura di aver lasciato l'anima nella macchina noleggiata di chissà chi. Nei pantaloni nasconde uno straccio, per pulire lo schifo che ha lasciato assosso alla snella Juliette Bell.
E Romeo voleva Giulietta, e Giulietta voleva Romeo, e Romeo voleva Giulietta, e Giulietta voleva Romeo.
(from Romeo had Jiuliette)
Dicono che nessuno possa far tutto ciò, ma tu lo vuoi in cuor tuo. Ma non puoi essere Shakespeare, non puoi essere Joyce, per cui cosa ti resta?
Devi accontentarti di te stesso, covando una rabbia che ti può far male, devi ricominciare dal principio. E proprio allora quel fuoco splendido si riaccende.

Quando attraversi umile, quando attraversi malato, quando attraversi, "io sono meglio di voi", quando attraversi la rabbia e l'autocommiserazione e hai la forza di ammetterlo a te stesso, quando il passato ti fa sorridere e puoi assaporare la magia che ti fa sopravvivere in battaglia, scopri che quel fuoco è passione e che più avanti c’è una porta e non un muro.
Mentre attraversi il fuoco, mentre attraversi il fuoco, cerca di ricordarti il suo nome. Mentre attraversi il fuoco, passandoti la lingua tra le labbra, non potrai restare uguale.
E se il palazzo brucia, vai verso quella porta, ma senza spegnere le fiamme

c'è un poco di magia in ogni cosa, e un po’ di perdita, per compensare il tutto.(from Magic and Loss)

Vedi anche: www.loureed.it

La banda Baader Meinhof

Ho visto "La banda Baader Meinhof" di Uli Edel (regista anche dell'indimenticato "Christiane F."), e mi è venuto spontaneo confrontarlo con l'altro film "importante" girato sul periodo del terrorismo in Germania, "Anni di piombo" della Von Trotta (1981). Il film della Von Trotta - che ultimamente ha dichiarato di essere stata forse troppo indulgente con la Raf, come molti della sua generazione - era il classico film sul terrorismo, simile ad altri dedicati ad esempio alle Brigate Rosse: crepuscolare, pensoso, triste. I terroristi venivano dipinti come persone fanatiche, forse, ma in qualche modo anche intimamente lacerate. Il film di Uli Edel mostra invece il lato western degli anni di piombo. Un po' come "Romanzo criminale" mostra il lato western della delinquenza organizzata. Non è tanto un film d'azione: è un film sull'azione, su ciò che i terroristi facevano (sparare, mettere bombe, addestrarsi nei campi palestinesi in Giordania, sacrificare i propri affetti, pontificare, gasarsi, correre in macchina, anche scopare), piuttosto che su ciò che i terroristi pensavano. Per certi versi fa un'operazione simile a quella proposta da "Trainspotting", che mostrava (anche) il lato divertente della tossicodipendenza. Credo sia un film realistico. In fondo, "non c'è rivoluzione senza investimento libidinale", per citare Philopat. E poi, come mi ricorda un amico, uno dei film preferiti dai terroristi, all'epoca, era "Il mucchio selvaggio" di Peckinpah.
Film, ecco. Uno come Baader - dipinto come il leader carismatico, arrogante e sfrontato dall'inizio alla fine - questo aveva, probabilmente, alle spalle. Questa era la sua cultura, assieme a un po' di Marx. Peccato che, come scrive Saviano, nei film quando la scena da girare è finita, gli attori si alzino, si puliscano dal sangue finto, vadano a pranzo. Nella vita vera no. Le vittime rimangono vittime. Chi muore muore, e a chi è rimasto mutilato non rispuntano gli arti, né le ali.

Dark in tv


Marcello Dell'Utri, braccio destro di Berlusconi: "Io guardo il Tg3 e vedo che ci sono degli anchorman che hanno già una faccia un po' gotica, un po' dark. Sicuramente, ce ne sono più in Rai che sugli altri network. Credo che il direttore del telegiornale dovrebbe dimostrare un maggiore esprit de finesse in queste cose. Farle, dirle lo stesso, ma magari con un'altra espressione».

Nella foto: un presentatore del TG3