Ancora su John Lydon e il punk


Una delle cose interessanti dell'attitudine punk era il geniale dilettantismo. L'idea di fondo : "Non sappiamo suonare, possiamo essere una band". Una reazione contro la deriva tecnicista dell'epoca (nella pop culture), di gruppi come Yes o Genesis. John Lydon racconta nella sua autobiografia che Rick Wakeman minacciò la sua casa discografica di andarsene, se avessero fatto incidere i Sex Pistols.
In verità i Sex Pistols qualche accordo lo conoscevano, e il batterista sapeva tenere il ritmo. I due veri antimusicisti erano Sid Vicious e Johnny Rotten. Il primo, era essenzialmente un ragazzo disadattato e un poseur, e ha fatto la triste fine che sappiamo. Lydon no: non era certo un cantante (nel senso di Freddie Mercury, o David Bowie) eppure cantava, e nessun altro avrebbe potuto cantare "Anarchy..." come lui.

Ciò non significa ovviamente che non si debba studiare. Ho il massimo rispetto per lo studio, che è la cosa che forse ho amato di più nella vita (lo dico anche pensando ad un post che mi è arrivato recentemente, riguardo a un mio scritto su Baumann). Però trovo straordinario che dei ragazzi di 19 anni prendessero la cosa così, e riuscissero a farla. Ragazzi senza preparazione di base, senza soldi, senza gli strumenti, o quasi. Un atteggiamento assolutamente antiaristocratico eppure non naives, anzi, a suo modo snob.

Peraltro, dietro a tutto questo non c'era alcuna attrazione per l'essere perdenti, loosers. I Pistols non desideravano incidere per una piccola casa discografica indipendente. Pur detestando i gruppi che definivano "dinosauri", quelli che si esibivano solo per le grandi platee, in realtà volevano il massimo del successo e la massima visibilità possibili. L'idea non era di rimanere fuori dal sistema ma di entrarci e provare a scardinarlo.

Mi piacerebbe veder nascere una generazione di geniali dilettanti che fanno senza timori reverenziali e senza copiare, infischiandosene delle regole dei circuiti commerciali. Le ultime espressioni le abbiamo viste forse con l'hip hop: i graffiti, il ballo di strada, l'estetica del corpo. Purtroppo tutto viene fagocitato così in fretta. L'arte visuale si è data anch'essa le sue regole, ormai stantie: l'abuso dei corpi, l'estetica necrofila (Rotten all'inizio era colorato, la copertina dell'album era colorata), l'antitecnica elevata a sistema, quindi una tecnica anch'essa, l'incomprensibile come programma (i punk erano diretti e "popolari").
Tutto si risolve in leggi non scritte, critica, divise, gente che se la tira, corsi e concorsi che servono solo a far girare soldi.
Ma all'inizio il punk non era divisa, non era le creste gialle e i giubbotti, non era "scuola", pagine di riviste patinate e modelle anoressiche, era pura creatività, pura espressione di sé. In una stagione caratterizzata da crisi economica, "No future" come orizzonte. Nichilismo? Rotten rifiuta questa definizione. Era un calcio in culo. Un senso selvaggio.

Di questo forse ha scritto Alberoni, di come i movimenti si istituzionalizzano, di come l'underground diventa mainstream.

1 commento:

Paola Pavese ha detto...

Mi piace. Mi piace quello che hai scritto. Pensi che il mondo e l'Italia siano maturi per una nuova ondata "punk" spero che arrivi