Inutilità DEL MALE

Banalità del male è un'espressione resa popolare da Hannah Arendt nel suo libro sul processo ad Eichmann del 1961, a Gerusalemme. E' un'espressione "forte", che toglie ai grandi criminali quell'aura epica o tragica conferita loro ad esempio dalla letteratura (pensiamo a certi personaggi shakespeariani, come Macbeth). Ciò che vide la Arendt era non un "gigante" della malvagità ma un uomo grigio, che si giustificava come il più scontato dei burocrati: "Ho solo fatto il mio dovere" (c'è un film sulla conferenza di Wannsee, dove fu pianificata, a tavolino, fra una vivanda e l'altra, la "soluzione finale", che fotografa esattamente questa allucinata concezione del dovere coltivata dai vertici nazisti).

Ieri in tv ho visto l'arrivo di Ratko Mladic, il "boia di Srebrenica", in Olanda, dove sarà processato dal Tribunale dell'Onu. Io non so se Mladic sia un altro esempio di banalità del male. Ma non posso fare a meno di chiedermi, guardando le immagini di quest'uomo che ha già avuto (se è vero) 2 ictus, questo vecchio sfigato che finirà i suoi giorni in prigione, a che cosa gli sia servito l'essere stato una delle icone del male dell'ultimo scorcio del XX secolo, il "secolo breve", così prodigo di mostri. E non ho potuto fare a meno di pensare ad altri uomini malvagi, ai mafiosi che vivono come topi in buchi segreti nelle campagne, decidendo della vita e della morte della gente, a Sharon che assistette impassibile al massacro di Sabra e Chatila e adesso vegeta in coma in un ospedale israeliano, ai registi del genocidio cambogiano, a tutti gli sterminatori che hanno nutrito la loro ambizione (o i loro distorti ideali) con il sangue delle vittime. A cosa è servito, e che cosa racconteranno, alla signora con la falce, quando verrà la loro ora finale? Forse bisognerebbe dire che il male non solo è banale - e spesso lo è - ma è anche inutile. Forse in questo modo perderebbe in suo appeal, forse risulterebbe chiaro che il male è sovente l'altra faccia delle smodate ambizioni, anch'esso un sottoprodotto della corsa dei topi a cui ci costringe la Storia con i suoi sinistri imperativi (la civilizzazione, la difesa della razza, la riconquista della terra santa, la vendetta, la realizzazione del paradiso in terra, persino la crescita, lo sviluppo...)
Roberta dice: ammiro le persone semplici, che vivono la loro vita nascosta in cima ad una valle e lo fanno con gioia, senza desiderare null'altro. Sì, forse sono loro il sale della terra.

Sono stato a Srebrenica due anni fa. Era un agosto infuocato. Quella sera ho dormito a Bratucan, una cittadina a pochi chilometri dall'enclave, dove è stata aperta una cooperativa femminile - donne di ogni "etnia" e religione - che produce marmellate (e anche una cosa così "piccola" può servire a restituire normalità a delle terre zuppe di lacrime). Da Bratunac Mladic pianificò la pulizia etnica di Srebrenica, gli uomini uccisi, le donne, con i bambini, scacciate dalle loro case (molte dopo essere state violentate). Srebrenica era teoricamente un'area posta sotto la protezione dell'Onu: lì si erano rifugiati molti dei musulmani della regione, per sfuggire alle truppe serbo-bosniache. I caschi blu olandesi non fecero nulla per fermare l'eccidio, vennero a loro volta presi in ostaggio dagli uomini di Mladic. Dopo Srebrenica (e dopo Sarajevo) la mia generazione non ha più avuto il diritto di schierarsi per il pacifismo integrale. Dopo quegli eventi, è risultato chiaro a tutti (ad esempio ad Alexander Langer, pacifista al di sopra di ogni sospetto) che a volte l'uso della forza è necessario. Ma non dovrei citare solo la Bosnia: dovrei citare anche il Rwanda, perché anche lì il mondo rimase impassibile a guardare (e i morti furono 800.000).
Era notte, quando siamo entrati in paese, dopo avere passato il confine con la Serbia. L'albergo solo alcune stanze anonime in una palazzina. Prima di coricarmi ho fatto un giro per il "centro", un unico viale con due bar che si fronteggiavano; da uno di questi fuoriusciva rumoroso metal, l'atmosfera era sinistra, alcolica. Eppure, quando mi sono sdraiato sul letto - che forse prima di me aveva ospitato gli scherani responsabili del massacro di oltre 8000 musulmani in quell'estate del 1995 - mi sentivo, per qualche strana ragione, felice. Forse perché alla fine, quando si visitano luoghi del genere, si ha la percezione che la vita è più forte, che la vita ha questa miracolosa capacità di rigenerazione. Forse semplicemente perchè pensavo fosse giusto essere lì, anche se con così tanto ritardo.
Mi sono messo le cuffiette dell'ipod, ho ascoltato i Rima Rima (non proprio una musica che concilia il sonno). Non c'erano fantasmi, in quella stanza. Non c'erano (più) presenze malvage.

A Srebrenica (2008)

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