Dalai Lama a Trento: autonomia, spiritualità, soldi


Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama, leader ad un tempo spirituale e politico del popolo tibetano, premio Nobel per la Pace 1989, ha parlato oggi a Trento, su invito della Provincia autonoma di Trento e dell'associazione Italia-Tibet, in chiusura di un convegno internazionale dedicato alle varie forme di autonomia regionale del mondo. Un intervento pungente, il suo, a volte caustico nel denunciare l'incapacità della Cina di comprendere la cultura tibetana, a volte persino ironico nel rivendicare un'autonomia che tuteli la spiritualità tibetana ma porti, perché no, anche soldi.

Per la terza volta questo pomeriggio, dopo le precedenti visite del 2001 e 2005, l'auditorium Santa Chiara di Trento ha ospitato il Dalai Lama, invitato a partecipare ad una tavola rotonda al termine del convegno dedicato all'esame di alcuni dei più importanti esempi di autonomia regionale al mondo, dal Trentino Alto Adige al Quebec, dalla Catalogna alla Scozia alle isole Aaland, organizzato in collaborazione con l'Università degli studi di Trento e l'Accademia europea di Bolzano.
Hanno preso la parola in apertura anche Lorenzo Dellai, presidente della Provincia autonoma di Trento, Luis Durnwalder, presidente della Provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige/Südtirol, Bernat Joan, segretario della politica linguistica della Generalitat de Catalunya, Elisabeth Nauclér, deputata al Parlamento Finlandese per le isole Aaland, Roberto Pinter, dell'associazione Italia-Tibet di Trento e Roberto Toniatti, giurista dell'Università di Trento.
C'era grande attesa per le parole che avrebbe pronunciato il Dalai Lama oggi, dopo che le Ansa e le Reuters del mattino avevano fatto rimbalzare in Europa l'invito di Obama alla Cina a ripendere il negoziato con gli emissari del governo tibetano in esilio. Su questo punto, in verità, il leader del popolo tibetano non si è sbilanciato: ha detto che Obama appoggia la causa del Tibet ma che è anche limitato nel suo agire.

Nel suo discorso pubblico il Dalai Lama ha sottolineato innanzitutto la distanza esistente fra terre come il Trentino e l'Alto Adige, che godono di un'autonomia "reale", e che dispongono degli strumenti giuridici per tutelare i propri diritti, e il Tibet. "Se in Italia i diritti costituzionali sono veramente garantiti, in Cina non è così. Noi non possiamo ricorrere ad un giudice o a una corte per vederci riconosciuto ciò che in teoria la costituzione cinese ci garantisce. Quando descrivo la situazione del Tibet sotto il dominio cinese, solitamente non parto dalle questioni ideologiche. Dico che noi abbiamo un ospite non invitato, che è entrato nel nostro paese con le armi e si è messo a controllare tutto. Un ospite che ci dice cosa mangiare, come dormire, cosa sognare. Un ospite che sostiene di averci liberati. Quando noi tibetani sentiamo dire questo ci chiediamo: ma da che cosa? Il Tibet ha una storia millenaria, una propria cultura, una propria tradizione spirituale. I tibetani hanno sempre avuto una grande fiducia in se stessi, una grande dignità. Siamo gente fiera e orgogliosa. Sul piano culturale, linguistico, della tradizione storica, siamo alla pari dei cinesi (se non più avanti, ha aggiunto maliziosamente, strappando, come un attore consumato, un applauso spontaneo alla platea).
E comunque, il Buddismo è arrivato in Tibet dall'India, non dalla Cina. La nostra lingua è mutuata dal sanscrito, non dal cinese. Che il Tibet sia cosa diversa dalla Cina lo provano le semplici espressioni verbali che la gente usa per definirci. Io sono definito il Dalai Lama del Tibet, non della Cina. La gente dice 'buddismo tibetano', non 'tibetano-cinese'. Non siamo stati noi ad inventare tutto questo, è la nostra storia, la nostra eredità millenaria. Il comunismo cinese si è rivelato di strette vedute e di limitato pensiero. All'inizio le idee che proponeva erano positive, ma il risultato che noi oggi vediamo è che sei milioni di tibetani sono privi di ogni diritto."

Da dove partire, allora, per cambiare le cose? Per il Dalai Lama dall'informazione libera, dall'abolizione della censura. "Molti cinesi pensano che i tibetani sono degli ingrati. Sono stati presi sotto l'ala protettrice della Cina, e non le sono riconoscenti. Questo avviene perché non dispongono di informazioni corrette. E' il momento che ci sia finalmente in Cina libertà di informazione. Un miliardo e trecento milioni di cinesi hanno diritto di sapere le cose come stanno. Anche la democrazia è importante, ma qui il discorso si fa più delicato. Non è interesse di nessuno creare il caos con un cambiamento radicale. Pensiamo sia preferibile un cambiamento graduale. Il problema è che il nostro 'ospite', come l'abbiamo definito, non è molto brillante; pensa solo al controllo. Pensa sia sufficiente dare cibo, dare una casa ai tibetani. Ma non è così: abbiamo la nostra civiltà i nostri valori, non ci basta mangiare e dormire Abbiamo una spiritualità che i cinesi non comprendono e che temono."

Se questo è il quadro, la soluzione è una sola: una forte autonomia, un'autonomia che consenta alla civiltà tibetana non solo di sopravvivere, ma di valorizzarsi, anche passando attraverso i necessari cambiamenti rispetto al passato, come quello che nel 2001 ha introdotto le elezioni degli organi politici rappresentativi della comunità tibetana in esilio (che hanno sede com'è noto a Dharamsala, in India). Un'autonomia che inoltre consenta una migliore tutela dell'ambiente, una distensione nei rapporti fra Cina e India e una progressiva smilitarizzazione dell'altopiano tIbetano. Un'autonomia, infine, che porti anche benessere.

Che l'autonomia del Tibet possa giovare anche alla Cina, era stato peraltro sottolineato dagli stessi relatori che hanno preceduto il Dalai Lama. Il ragionamento è semplice. La repressione genera inevitabilmente ribellione, mentre un'autonomia vera, un'autonomia che soddisfi le esigenze della minoranza che la richiede, rappresenta una tutela per lo stesso Stato che la concede, nei confronti dei pericoli di una secessione violenta. Esempi come quello della Scozia, del Quebec, ma anche del Trentino e dell'Alto Adige/Sudtirol sono lì a dimostrarlo.

Cosa aggiungere a questo? Che in realtà la questione delle autonomie speciali in Italia è assai poco conosciuta. Per i più, le autonomie sono semplici "privilegi", se non l'anticamera della secessione. Comprensibile quindi che la gente - a volte gli stessi giornalisti - sembri piuttosto impermeabile a questo genere di discorsi, pur essendo il Dalai Lama una grande icona del XX (e XXI) secolo, amato e ammirato da tutti. Anche fra gli stessi tibetani, oggi, c'è chi ritiene che il Dalai Lama sia troppo "morbido". A Trento a me in verità è parso sferzante, più delle altre volte. Ma, certo, comprende bene che chiedere l'indipendenza sarebbe, oggi come oggi, una follia, e che farlo con le armi in pugno, oltre che tradire il credo non-violento, si risolverebbe in un bagno di sangue (tibetano). Una cosa è sicura: la Cina dovrebbe ringraziare la sua buona sorte per il fatto di avere un interlocutore così.

1 commento:

incostanza ha detto...

grazie per il commento sul mio blog. anche il tuo è molto interessante.