A Berlino...va sempre bene

Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders è forse il film più pretenzioso e falsamente poetico che ho visto in vita mia. Uscii dalla sala irritato, ero in quella stagione della vita in cui può ancora capitare di prendere un film tanto sul serio, nel bene e nel male. Una materia così buona (Berlino! Basti pensare al disco di Lou Reed), una fotografia così sofisticata, una colonna sonora così chic, e il risultato? Il sublime visto con gli occhi di un freakettone. Angeli, trapeziste e monologhi senza costrutto. Tutta estetica, insomma. Tutta forma.
Per chi aveva amato il Wenders scarno ed essenziale di Alice nelle città, o quello crudele di Nick's movie, un tradimento.

Berlino con il muro è stata una grande fonte di ispirazione. Dolore e separazione hanno sempre una forte influenza sugli artisti. Dopotutto, se non sei Goethe, chi te lo fa fare a scrivere o a suonare se stai bene?



Avevo visto il socialismo reale, ero stato in Ungheria e Romania, mi era bastato per cambiare idea. Però non ho gioito vedendo le immagini del Muro che cadeva. E questa è una colpa. Forse, mi stupiva più di tutto che nessuno l'avesse previsto, studiavo scienze politiche, perché Panebianco, Pombeni o qualcun altro di loro non ci aveva messi sulla pista giusta? Ciò dimostrava la scarsissima capacità predittiva delle scienze umane, ai miei occhi.

In questo giorni la tv dedica molto spazio a Berlino. Ieri ho visto la testimonianza di un filmaker, il quale diceva che non è vero che a Berlino est non ci fosse nulla, certo, erano tecnologicamente arretrati, mancavano un sacco di cose, ma si faceva con ciò che si aveva, ci si dava da fare. Anche questa è una grande verità, il comunismo era detestabile per la mancanza di libertà e per il suo kitsch, non per la povertà. La povertà può essere persino stimolante. Quando sento dire che oggi in nessun pitch serio si prende in considerazione un video con un budget inferiore a 150.000 euro mi viene da piangere.
La mia idea di creatività e sempre stata: della gente seduta in una stanza, senza mezzi, senza niente, ma con un casino di cose da dire e di voglia di fare. Un'idea austera e romantica, insomma.



Comunque, alla fine il Muro è caduto. Il Muro è caduto, Gorbaciov ha compiuto tutta la sua parabola, e gli anni '80 sono definitivamente evaporati. C'è chi li dipinge come gli anni fatui del riflusso e della musica di plastica. Che semplificazione. Gli anni '80 erano gli anni del Muro, dell'Europa ostaggio dei missili nuceari (SS20 da una parte, Pershing e Cruise dall'altra), di film come "The day after". Gli anni della tecnologia radioattiva, ingombrante, terrorizzante, centrali nucleari e rampe di lancio. Ancora l'ombra lunga di Hiroshima.
Dopo la caduta del Muro, tutto è cambiato. La tecnologia che ha dominato i vent'anni successivi è stata di tutt'altra specie. Internet, reti, files, computer. Tecnologia, soft, immateriale, fatta per comunicare.

Per un diverso punto di vista, su un'altra stagione di Berlino, invito a leggere di questo viaggio in autostop negli anni '60, dell'amico Guido De Mozzi.

3 commenti:

amatamari© ha detto...

Le immagini televisive del muro che cadeva, tutte quelle persone, quei ragazzi,avvenne tutto così in fretta...mi sembrò impossibile.
E solo dopo un pò di tempo potei esserne felice.
Grazie per la tua testimonianza e per il link.

marco pontoni ha detto...

Sì, successe troppo in fretta.
Almeno per noi. Chissà, oggi dovrei rivedere certe cose (compreso il film di Wenders), forse il giudizio cambierebbe.

manu ha detto...

quel film è importantissimo per me e non è solo estetica, credimi. come non è solo estetica il muro che crolla e non si apre come con ipocrita imprecisione titolava l'unità di quel giorno. forse sono ancora in un fase della vita in cui prendo i film troppo sul serio. e anche le città, e anche i muri... :-) un bacio.