Paris - un viaggio

Le Diable, probablement

Alle 8 del mattino i parigini ancora dormono...(e Lisa si gode la piazza)

Anche a testa in giù è sempre un bel vedere.

Udite udite: la lingua francese non appartiene ai francesi.
(e Asterix non è il mio antenato!)

Parigi è una città sensuale, ci hanno ambientato Ultimo tango, Henry Miller ci scrisse i suoi Tropici...
Si è portati a pensare che in ognuna di queste mansarde, dietro ai milioni di abbaini affacciati sui vicoli e sui boulevards, ci sia una coppia che sta facendo l'amore.
Il profeta indiano. Su un muro del Quartiere latino. Occhio per occhio rende il mondo cieco.

Trionfo della modernità. Ingegneria meccanica. Luce elettrica. I lumi. Una lancia di metallo e bulloni conficcata sul costato del Cielo. Ottimismo del tempo che fu.

"I'm throwing my arms around Paris/because only stone and steel accept my love."
Morrisssey, dall'ultimo album Years of refusal

Bastard Sons of Dioniso: l'intervista

L'intervista ai Bastard Sons of Dioniso nel backstage di X Factor lunedì 16 febbraio (grazie a Pier Francesco Fedrizzi e e all'ufficio stampa di Rai 2) è su youtube.
In poche ore ha totalizzato più di un migliaio di collegamenti. Potenza della tv, se penso che la clip del mio romanzo è stata vista 500 volte in quasi due anni sono basito...
L'intervista è anche sul sito ufficiale dei Bastard e ovviamente su quello di Format, il centro audiovisivi della Provincia autonoma di Trento che ha messo assieme il tutto assieme a Gianfranco Dusmet.
I Bastard continuano la loro cavalcata; lunedì prossimo saranno alle prese con un bellissimi pezzo dei Rem che esalterà sicuramente le loro qualità vocali.

Barzellette

Suggerisco un'altra barzelletta al nostro presidente del Consiglio.

Come ci stanno 20 ebrei in una Cinquecento? Nel posacenere.

BATTUTONA!!!!!

X-Factor in my mind

L'altra sera a Milano per X Factor, di cui ho scritto qui altre volte.
Viaggio in pullman con fans e familiari dei Bastard Sons of Dioniso, che in Trentino sono diventati delle star (ma anche prima erano conosciuti, sono 4-5 anni che suonano nei pub e ai concorsi locali).
Qualche imbarazzo in un angolo del cervello per il gap generazionale: insomma, per me la musica è stata davvero molto (assieme alla letteratura), è stata lo specchio in cui mi sono riflesso, la voce che mi ha narrato, la sottolineatura dei momenti belli e di quelli tragici, l'amplificatore di tante emozioni. Sarà lo stesso per loro? Immagino di sì, a parte i gusti differenti (gli Ac/Dc, C.S.N. & Y. e Deep Purple li ho ascoltati anch'io, ma propendo per gente come Velvet Underground o Bowie). Solo che il pop, in tutte le sue sfaccettature, non riesce a togliersi di dosso, suo malgrado, una certa patina adolescenziale, e dunque: è lecito ascoltarlo con tanta passione dopo i 40 anni? Pete Townshend non cantava forse "Spero di morire prima di diventare vecchio"? (anche se canta ancora, il vecchietto!).
Fuori dal finestrino scorre la pianura, paesi addossati alle colline, la barriera delle Alpi alle loro spalle, scorci rurali con vista sull'autostrada, capannoni e masserie, campi, svincoli. Pausa-pranzo con panini e birra, un tavolo da festa campestre compare magicamente dal bagagliaio, organizzazione oliata da molte feste, suppongo. Poi musica, cori di montagna, fisarmonica (le radici rurali e il rock, questo connubio molto trentino, molto delta del Mississipi...) e la campagna entra in città, diventa città.
Ci fermiamo su un vialone, di fianco a un luogo assolutamente anonimo, una fabbrica dismessa, pare. Tutti sul pullman sono già stati qui, le scorse settimane. Conoscono le regole. Le cose da consegnare ai tre devono essere senza etichette (esigenze del reality), o con le etichette coperte dal nastro adesivo. Niente giornali, niente lettere, cellulari ecc.
Facciamo la fila, noi come troupe abbiamo un percorso privilegiato. Siamo in un grande loft, anonimo, pareti grige. Come spesso avviene, i luoghi dove succedono le cose sono poco appariscenti. Saliamo una scala. Dall'altra parte c'è lo studio sfavillante. Magari lo stesso fantasma del palcoscenico acquattato da qualche parte assieme al dottor Sax.
Velocemente si riempie, i familiari davanti, i fan club con gli striscioni alle loro spalle, la claque dà le istruzioni al pubblico, ma il pubblico smaliziato degli anni 2000 sa benissimo cosa fare.
E lo show ha inizio, non mi pare il caso di raccontarvelo perché l'avete già visto in tv (se vi piace X Factor). C'è chi dice che è uno spettacolo pessimo: a me, e mi ripeto, non pare proprio. Considerato che fino ad oggi l'unica trasmissione musicale in Italia era Sanremo (dai tempi di Mr. Fantasy, se non sbaglio) , beh...preferisco di gran lunga X Factor. Certo, c'è un limite, ed è dato dal fatto che si cantano solo pezzi noti (cioé cover): peraltro, proprio questa sua caratteristica ne fa una trasmissione musicalmente pedagogica. Anche lunedì abbiamo sentito, fra gli altri, brani come Impressioni di settembre o Whis you were here, e abbiamo sentito citare nomi come Robert Frip (da Morgan) e Blue Nile (da Bosé). Non male, per una trasmissione in prima serata. Dà l'idea che la musica che abbiamo sempre ascoltato (che non è Celentano o Mina) sia diventata finalmente patrimonio comune. L'interrogativo semmai è: vuol dire che i Pink Floyd o la PFM sono oggi la nuova leggera globale, buona per tutte le occasioni? Può essere. Ma poi, no, i Pink Floyd non sono "Siamo i Watussi" e nemmeno "E intanto il tempo se ne vaaa...". C'è dietro un altro spirito, un altro mood. Sono sempre sette note, ma anche le lettere sono sempre quelle, solo che ci puoi scrivere un romanzo di puro intrattenimento o uno di Hemingway, Pavese, Boll, Kundera.
Sanremo è lo spettacolo tradizionale, il presentatore col farfallino, la spalla, i siparieti comici, i fiori, il pubblico compassato in sala (con qualche goccia di rock, quest'anno gli Afterhour, per insaporire la pietanza), X Factor è un'altra cosa, è veloce, polemico, è un'arena dei leoni, i fan club ruggiscono sugli spalti, i giudici grandi mattatori. E poi, quella sfida vocale che abbiamo sentito l'altra sera, il canto del cigno di Ambre Marie, onestamente, è stata da brivido.
Nell'incontrare i disponibilissimi Bastard, infine, mi sono detto: questi sono veri, questi alla musica ci credono, lo show business, l'attenzione per il look e la scenografia (a volte fin troppo presente in X Factor) non li schiaccerà. Se invece potessero avere una chances, beh, ben venga. Allunghino le mani e colgano la mela d'oro.
Consapevoli delle insidie della società dello spettacolo, questo sì. Ci tenevano a lanciare un messaggio ai gruppi della loro valle con cui hanno suonato fino all'altro ieri, a dire loro che quando usciranno torneranno a fare cose assieme, e questo gli fa onore. Lamentano l'assenza della loro Natura, non edificata, non sono dei metropolitani, "l'unico albero che avevamo fuori di qui ce l'hanno tagliato". E se potessero scegliere loro un pezzo? Non i White Stripes, non gli Strokes o gli Arctic Monkeys: i Beatles :-)
Alla fine dello show tutti fuori tranne i familiari stretti e le fidanzate. I cantanti escono tutti assieme, con Gaudi. Dieci minuti per parlare, abbracciarsi, scambiarsi un po' di affettuosità. Poi l'organizzazione li sequestra e li conduce via nei loro loft.
In bocca al lupo, ragazzi. Come cantavano gli Who, the kids are allright.
L'intervista sarà visibile sul sito di Format, il centro audiovisivi della Provincia autonoma di Trento (http://www.audiovisivi.provincia.tn.it/)


I'm going to X-Factor

E' tempo di fare un discorso su X-Factor, trasmissione che mi prende bene non solo perché sono un appassionato di musica (ovviamente), non solo perché sono forse to old to rock n roll ma certamente sono too young to die, come cantavano, (ovviamente), i Jethro Tull, ma anche e soprattutto perché mi piacciono i Bastard Sons of Dioniso. E non perché sono trentini, semplicemente perché sono bastard.
Su X-Factor ognuno la pensa come vuole. C'è chi lo accomuna al Grande Fratello e ad altra tv spazzatura. A parte che il primo Grande Fratello aveva un suo perché (volgarizzava, come scrissi in un memorabile fondo, un'idea di Andy Warhol: "Tutti possono essere famosi per 15 minuti"); è che personalmente la trovo una trasmissione molto ben fatta. Si dice che la musica non fa audience, a meno di non piazzarla dentro a un contenitore (tipicamente: l'ospite della domenica).
X-Factor ha dimostrato che non è necessariamente così. E poi, a differenza di Sanremo, X-Factor non è una trasmissione fatta solo di canzoni da promuovere. La musica viene discussa, da gente che ci capisce (specie Morgan), e i litigi della giuria, veri o finto che siano, ripropongono questioni che sono vitali per tutti gli appassionati: cos'è arte e cos'è intrattenimento? Dov'è che finisce uno e inizia l'altro? Come si sposano musica e immagine? Cosa determina il succeso o il fallimento?
E poi, non è banale sentire in una trasmissione per il largo pubblico pezzi come Starman (Bowie), Walk on the wild side (Lou Reed), Rock the Kasbah (Clash). Certo, difficilmente sentiremo l'avanguardia rock (che cosa sia, oggi, difficile a dirsi); ma la speranza è che i giovani, attraverso le esibizioni dei loro preferiti si avvicinino ai grandi classici del passato, e per me questo è oro, è l'unica maniera di dimostrare che la musica in questione non è per forza di cose "leggera", cioé effimera, commerciale, inconsistente, destinata a bruciarsi subito. E poi, esprimersi è importante, esprimersi (magari attraverso la musica, o la scrittura) è la cosa in sé specie quando si è giovani. Se qualche ragazzo o ragazza imparerà a farlo attraverso X-Factor, comprando una chitarra - persino una magic guitar - anzichè darsi fuoco con gli amci per finire prima su youtube, sarà già una gran bella cosa.
Spero solo che non venga modificata troppo la sua formula calcando la mano sull'aspetto "competizione" (questi inserimenti di nuovi concorrenti a metà show mi sembrano una cazzata, ad esempio).
In ogni caso, per essere show business, è un gran bel show business. Se Mozart fosse vivo, ci si butterebbe a pesce.

Dimenticavo: il pezzo dei Bastard. E' My Sharona dei Knack. Questa volta non c'è molto da dire. Pura energia rock. Un brano che in quel 1979 abbiamo ballato tutti, estratto dall'album di esordio di un gruppo sparito quasi subito (certo non erano gli Who. E nemmeno i Killers se è per questo). Con un ottimo solo di chitarra nella parte centrale.

Canzone quasi d'amore

Nessuno può ritenersi fuori dalla tragedia di uno Stato che si impadronisce di ciò che non gli appartiene, la mia vita, la vita degli individui, infilandosi "a fin di bene" nel letto dei pazienti, o in quello degli amanti.
Condivido quello che scrive Ludik qui riguardo ai pericoli dello Stato etico. C'è anche un paradosso oltre alla tragedia. Che sempre più spesso ciò che formalmente non si può fare o non è concesso dalla legge viene realizzato "in privato", per vie che si possono percorrere, se non si fa troppo rumore, perché lo Stato chiude un occhio e qualcuno mosso da pietà o da interesse lo si trova (avete presente il film Le invasioni barbariche? Succede proprio questo). Se il signor Englaro avesse percorso queste strade non avrebbe avuto fastidi.
L'Italia in questo è speciale. E' speciale nel non prendere veramente decisioni per non scontentare nessuno, nel mediare all'infinito, nel sostituire ad una visione "adulta" dei problemi l'indignazione di facciata, i due pesi e le ventiquattro misure, i Family Day dei divorziati, il papismo degli atei devoti, le maschere, le manfrine, i compromessi, i compromessi storici, i tribunali della Sacra rota, le sparatorie di Capodanno, i parcheggiatori abusivi, i Berlusconi, i Veltroni, i Mentana, i Fede, i Santoro e quant'altro.
Credo nello Stato e nelle leggi fino a quando lo Stato e le leggi non mi fanno rimpiangere l'assenza quasi totale, nella nostra cultura, di pensiero liberale.

Non staro' piu' a cercare
parole che non trovo
per dirti cose vecchie
con il vestito nuovo
per raccontarti il vuoto
che, al solito, ho di dentro
e partorire il topo
vivendo sui ricordi
giocando con i miei giorni
col tempo.

O forse vuoi che dica
che ho i capelli piu' corti
o che per le mie navi
son quasi chiusi i porti

io parlo sempre tanto
ma non ho ancora fedi
non voglio menar vanto
di me o della mia vita
costretta come dita
dei piedi.

Queste cose le sai
per te siam tutti uguali
e moriamo ogni giorno
dei medesimi mali
per te siam tutti soli
ed e' nostro destino
tentare goffi voli d'azione o di parola,
volando come vola
il tacchino.

Non posso farci niente e tu puoi fare meno
sono vecchio d'orgoglio
mi commuove il tuo seno
e di questa parola io quasi mi vergogno, ma...
c'e' una vita sola,
non ne sprechiamo niente
in tributi alla gente
o al sogno.

Le sere sono uguali
ma ogni sera e' diversa
e quasi non ti accorgi dell'energia dispersa
a ricercare i visi che ti han dimenticato
vestendo abiti lisi
buoni ad ogni evenienza
inseguendo la scienza
o il peccato.

Tutto questo lo sai
e sai dove comincia
la grazia o il tedio a morte
del vivere in provincia
per te sian tutti uguali
siamo cattivi e buoni
e abbiam gli stessi mali
siamo vigliacchi e fieri
saggi, falsi, sinceri
coglioni.

Ma dove te ne andrai? Ma dove sei gia' andata?
Ti dono, se vorrai,
questa noia gia' usata
tienila in mia memoria,
ma non e' un capitale,
ti accorgerai da sola, nemmeno dopo tanto,
che la noia di un altro, non vale.
D'altra parte lo vedi
scrivo ancora canzoni
e pago la mia casa
pago le mie illusioni

fingo d'aver capito
che vivere e' incontrarsi
aver sonno, appetito,
far dei figli, mangiare,
bere, leggere, amare...
grattarsi.

Guccini qualche volta ha provato a giustificarsi, a dire che questa canzone conteneva dell'ironia.
Ironia?

AMMORE (love songs for Valentine' day)


Visto che si avvicina San Valentino (i like it, expecially because it is...il mio compleanno, ebbene sì...), ecco un breve elenco di canzoni d'amore (si sa che i fissati con la musica amano gli elenchi). Non le più belle, né le più famose. Only songs. Per tutte le specie d'amore, nessuna esclusa (come cantavano i Velvet Underground).

I don't have much money, but boy if I did, I'd buy a big house where we both could live...
So che non è molto, ma è quanto di meglio io possa fare
il mio regalo è la mia canzone, e questa è per te.

Era Elton John all'inizio della sua carriera, e questa canzone, Your song, ...beh, è bellissima. Così bella che ha accompagnato, recentemente, un film di successo come Moulin Rouge (la bella era Nicole Kidman). Io la dedico a Roberta (la faccenda dei pochi soldi è particolarmente autobiografica...)

Brian Ferry dei Roxi Music invece è schiavo d'amore. Amore fashion, sensuale, torbido come la pellicola di Roman Polansky che ha utilizzato questa canzone, Luna di fiele. Brian è un vero divo, uno che vive dall'altra parte della luna rispetto ai comuni mortali...chissà come si sta.

Prendimi adesso baby, qui come sono, stringimi forte, prova a capire, il desiderio è forte è il fuoco che respiro, l'amore è un banchetto sul quale ci sfamiamo.
Vieni, ora, prova a capire, come mi sento quando sono nelle tue mani.
Prendi la mia mano, vieni al riparo, loro non possono ferirti, ora...
Perché la notte appartiene agli amanti,
perché la notte appartiene al desiderio,
perché la notte appartiene agli amanti,
perché la notte appartiene a noi.

Questa la scrisse Bruce Springsteen, la portò al successo Patti Smith, la regina del punk newyorkese, una che mescolava Rimbaud all'elettricità del rock sul palco del Cbgb's. Non ce n'è stata un'altra come lei.

Because the night appartiene a NOI!

E vicino al fuoco di Patti Smith come non mettere quello del re lucertola, Jim Morrison, il Dioniso del rock, il leader dei Doors? Questa canzone, Light my fire, cercarono di censurarla all'Ed Sullivan Show. Jim se ne fregò, e anzi, calcò l'accento su quell'higer (...più in alto, pensavano fosse un riferimento alla droga).

Vieni ragazza, accendi il mio fuoco...

Amore spirituale. Sono gli Urban Species, un gruppo classificato acid jazz dei primi '90. Peccato siano spariti. Questa canzone, poi diventata un jingle (fottuti creativi), per me è una delle migliori di tutti i tempi. Il video non le rende giustizia. Spiritual Love, dall'album Listen.

Amore come possesso.

Ogni movimento che farai,
Ogni promessa che tradirai,
Ogni sorriso che fingerai,
Ogni barriera che innalzerai,
Io sarò lì a guardarti.

Sono i Police, Every breath you take appartiene al loro ultimo periodo. Sting affronta così il mal d'amore. Si riscatterà nel suo primo album solista, con If you love somebody, set them free. Ma il pezzo, per quanto bello, non sarà così bello. Del resto, la gelosia è una fonte di ispirazione potentissima.

Mitico invece Bob Marley, il re del reggae. Ricorda i momenti belli passati con la sua donna, i raduni a Trenchtown, davanti alla casa del governatore, osservando gli ipocriti mischiarsi alla gente in gamba, amore e protesta, amore e amicizia, amore e comunità. In questo grande futuro, non puoi dimenticare il tuo passato (questo verso piacerebbe anche a Bossi...).
Ma...
e quando io non ci sarò più
tutto andrà bene...
così, asciuga le tue lacrime...

L'amore può anche essere trasgressivo. Ad esempio, si può rompere lo schema binario, introducendo un terzo elemento, ed ecco il numero dispari. Si potrebbe trattare di bisogno d'amore, in fondo...
E il solo pensarle, quelle mani, di lei, di lui...può essere un pensiero stupendo.
Qui Patty Pravo era a Domenica In, nel 1978. Non disprezzate. Ci voleva faccia tosta per cantare una canzone del genere nell'Italia andreottiana.

Il maestro della tragressione, invece, il Lou Reed approdato alla corte di Bowie, incise nel 1972 un pezzo meravigliosamente romantico su una giornata perfetta passata a dare da mangiare agli animali dello zoo, poi un cinema e infine a casa. Riscoperta in mille modi, dalla pubblicità, da Pavarotti, dal regista di Trainspotting (che cinicamente l'accoppia ad una scena d'overdose), rimane un brano dolcissimo, che continua a regalare grandi emozioni. Qui Perfect day è cantata a più voci da tanti artisti diversi.
Raccoglierai ciò che hai seminato...

Anche Bob Dylan raccoglie ciò che ha seminato, ovvero un divorzio. Ma mentre il suo matrimonio va a rotoli trova l'ispirazione per scrivere alla moglie una ballada immacolata come Sara, inclusa nell'album Desire (quello di Hurricane).

Lo stile di Paolo Conte è diverso. Alla donna che sta entrando nella sua vita, con una valigia piena di perplessità...

Libertà e perline colorate
ecco quello che io ti darò
e la sensualità delle vite disperate...
e una doccia ai bagni diurni, che sono degli abissi di tiepidità...

Che ironia sopraffina, che conoscenza della vita. Conte è demodé senza darlo a vedere, se io fossi una donna non avrei il coraggio di dire di no a una faccia così...

Infine un Tom Waits d'annata. La canzone non la canta più, ma Blue valentine rimane un pezzo così randagio e struggente...

and I die a little more on each st. valentine day
remember that I promised
I would write you...
these blue valentines blue valentines blue valentines

Ecco fatto, buona visione e buoni ascolti. Per ogni specie d'amore. Per uomini, donne, animali, dei, alberi, nuvole, libri, cantine, idee, diamanti, luoghi, ricordi, blog, sorrisi, piedi, mani, pensieri, uova.

(The Who)
Umberto Eco, Claudio Magris, Gae Aulenti, Salvatore Veca...
sono alcuni dei firmatari dell'appello Rompiamo il silenzio, che sta girando sulla rete (io l'ho trovato su Repubblica).
Condivido molti dei passaggi dell'appello, a partire da quello che denuncia il continuo ricorso alla demagogia nel discorso politico e nell'azione di governo.
"La demagogia è il rovesciamento del rapporto democratico tra governanti e governati. La sua massima è: il potere scende dall’alto e il consenso si fa salire dal basso. ll primo suo segnale è la caduta di rappresentatività del Parlamento."
Condivido anche questi passaggi sulla separazione dei poteri e la laicità.
"La separazione dei poteri è fondamento di ogni regime che teme il dispotismo, ma la demagogia le è nemica, perché per essa il potere deve scorrere senza limiti dall’alto al basso. Così, l’autonomia della funzione giudiziaria è minacciata; così il presidenzialismo all’italiana, cioè senza contrappesi e controlli, è oggetto di desiderio.
Ci sono però altre separazioni, anche più importanti, che sono travolte: tra politica, economia, cultura, e informazione; tra pubblico e privato; tra Stato e Chiesa. L’intreccio tra questi fattori della vita collettiva, da cui nascono collusioni e concentrazioni di potere, spesso invisibili e sempre inconfessabili, è la vera, grande anomalia del nostro Paese. Economia, politica, informazione, cultura, religione si alimentano reciprocamente: crescono, si compromettono e si corrompono l’una con l’altra. I grandi temi delle incompatibilità, dei conflitti d’interesse, dell’ etica pubblica, della laicità riguardano queste separazioni di potere e sono tanto meno presenti nell’agenda politica quanto più se ne parla a vanvera."
Il testo completo è qui, assieme al modulo da firmare.
E come cantavano i Clash in Know your rights...
Sei avvertito
che ogni cosa dirai potrebbe essere e sarà usata
come prova contro di te.
Scappa!

Oh baby baby it's a wild world (parola di Yusuf Islam)

Il prossimo pezzo affidato da X Factor ai Bastard Sons of Dioniso è Wild World di Cat Stevens. Spero si accorgano che questo non è un pezzo da bastardi, e ne traggano le dovute conseguenze.


Cat Stevens dev'essere una brava persona. Comunque sia, questa è l'impressione che mi ha sempre fatto. Uno di quei cantautori degli anni '70, come Bruce Cockburn, il povero Nick Drake, lo stesso John Martyn, scomparso solo qualche giorno fa. Gente di cuore e di melodia, lontana dal lato più sfrenato del rock 'n' roll, capace di esplorare gli anfratti, di passare un pomeriggio di pioggia in un solaio, un pomeriggio di sole a guardare la polvere che danza su un raggio.
Mezzo greco-cipriota e mezzo svedese, cresciuto nella swingin' London, bello quanto basta per far battere più veloce il cuore delle fans arpeggiando con la sua chitarra, baciato dal successo prima con composizioni commerciali e poi, nel 1971, con un disco magnifico, che incanta in pari misura critica e pubblico, Tea for the Tillerman, Cat Stevens non poteva che sembrare all'epoca un candidato piuttosto improbabile alla conversione religiosa. E che conversione! Si fosse trattato di un vago misticismo lisergico alla George Harrison ok, di una transitoria infatuazione per la croce come quella che conobbe anche il Bob Dylan di Slow train coming e Saved, pazienza, ma qui parliamo di Islam, ed Islam vero. Infatti fra la fine dei selvaggi '70 e l'inizio degli oscuri '80 il buon Stephen Demetre Georgiou (questo il suo vero nome) abbraccia la fede di Maometto e diventa Yusuf Islam. Pare vi sia stato all'origine un voto fatto dopo essere scampato a un annegamento a Malibù. Mah! Davvero ci vuole così poco, per diventare credenti? Dopo di allora, musicalmente parlando, il buio o quasi. Ufficialmente perché la nuova religione gli vieta di fare mercimonio delle sue doti canore. Seguono l'apertura di una scuola islamica a Londra, varie iniziative benefiche o a sfondo religioso, una polemica nel 1989 per avere appoggiato la Fatwah contro Salman Rushdie (fosse vero, sarebbe grave, ma sul suo vivere l'Islam sono state raccontate anche molte palle), uno spiacevole episodio nel 2004 quando, volando verso gli States, scopre di essere sulla lista nera degli Usa, compilata dopo l'11 settembre: l'aereo su cui viaggia è costretto a cambiare rotta (pensavano che fosse diventato un dirottatore? Ah, la stupidità dei servizi di sicurezza!). Infine, recentemente, un timido ritorno alle scene, con la barba bianca di un vecchio profeta, gli occhiali e poco clamore. Ultime iniziative pubbliche: la partecipazione ad un disco i cui proventi andranno in beneficenza per le vittime delle guerra in Bosnia e la cover di un pezzo di George Harrison, The Day the World Gets 'Round, anche qui per destinare l'incasso ai bambini di Gaza, attraverso l'Onu e Save the Childrens. Sembra proprio che in questo modo Yusuf Islam sia riuscito a conciliare musica e fede.

Da cosa è scappato Cat Steves, quando ha deciso di smettere di cantare? Dai fantasmi della fama, dal calo dell'ispirazione? Dal padre (quello di cui parla in Father and Son, una delle canzoni più belle sull'argomento che mai siano state scritte? Ne ho parlato nel mio Music Box, per favore, andate a leggere).
Probabilmente non lo sapremo mai. Di certo, si direbbe abbia trovato la pace.

Wild World è la canzone di un romantico. La canzone di un uomo che non rinfaccia alla sua donna di averlo lasciato, anche se soffre. Di un amante che si sente in dovere di mettere in guardia la sua amata, anche se lei si sta allontanando da lui. Non la minaccia, non coltiva pensieri di vendetta, non le impone il burka né il suo ricordo minaccioso, come farà Sting in Every breath you take. L'avveisa che il mondo, là fuori, è un mondo crudele, un mondo selvaggio, mentre lei è solo una bambina, lui la ricorderà così, per sempre, come una bambina.
Ecco, cosa avevo dentro ci sono arrivato, amante è solo chi ama, non quello che è amato. Per questo son fortunato. Più di te, più di te” (Lucio Dalla)

Tesoro ti amo
ma se vuoi andartene,
abbi cura di te.
Spero che troverai tanti amici simpatici là fuori
ma ricorda solo che ce ne sono molti di cattivi,
stà in guardia.
(Wild World - Cat Stevens, 1971).

Religions

Figure di preti nella letteratura che mi sono simpatiche: don Camillo no, proprio no, se la cavava sempre troppo bene e troppo a buon mercato; Guglielmo da Baskerville? Eh, per forza, fossero tutti così "ragionevoli"... Il curato di campagna di Bernanos? Eccome, almeno dimostra che la fede non è la risposta a tutto e che i credenti rosolano sullo spiedo esattamente come i senza dio. Uno che mi ricordo particolarmente bene è il gesuita di Underworld di Don De Lillo, padre Paulus, che fa la predica al protagonista, Nick Shay, in riformatorio: "Talvolta credo che l'educazione che dispensiamo qui sia più adatta a un cinquantenne che ha capito di avere mancato il bersaglio al primo giro. Troppe idee astratte..." (e poi via con le cinquanta parole utili per descrivere una comunissima scarpa, andatevele a leggere qui e rimpiangerete che oggi a scuola non ci siano più figure del genere e il loro posto sia stato preso da computer e telefonini)

Tutto questo per introdurre il blog più peso che abbia scritto finora, ovviamente.
Ho pensato spesso di scrivere qualcosa sulla religione. Non perché sia determinante far sapere al mondo ciò in cui credo io. Ma perché pronunciarsi su questo punto dovrebbe essere una sorta di "dogma laico di buona cittadinanza", al quale tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero attenersi. Dopotutto, se escludiamo dio dalla conversazione, abbiamo bisogno di un argomento veramente importante per riempire il buco, no? Qualcosa che non siano le vicende di un calciatore con un imbarazzante nome escatologico, o di qualche ragazzotto rinchiuso in una casa piena di telecamere con l'input di non dire nulla di minimamente intelligente. Leonardo - che tiene il miglior blog abbia trovato io finora sulla rete - lo ha fatto, e quindi a me non resta che tentare di chiosarlo, con qualche premessa ed evitando accuratamente le questioni di carattere linguistico (che sono puro formalismo. Anche se per altri versi ha ragione padre Paulus a ricordarci che le cose ci restano nascoste perché non conosciamo il loro nome).
La prima premessa è che ho conosciuto preti di tutti i generi, e questo mi ha vaccinato da un generico anticlericalismo. Dirò di più: ho conosciuto preti molto in gamba! In Africa, ad esempio. Certo, ho conosciuto anche quelli che pensano che Pinochet sia stata una brava persona e abbia fatto molto per le università del Cile (ho sentito veramente queste parole ed è una di quelle circostanze in cui, appunto, le parole pesano come macigni). Ma, onestamente, con molti di loro ci potrei andare molto d'accordo. Ci vado molto d'accordo. Sono persone che conducono una vita che mi piace: avventurosa e piena di senso. Sono persone che non si fissano sull'ultimo modello di cellulare o di tv al plasma, e di questi tempi è già una gran cosa. Sono persone più di sinistra di tanti Pd-ini, se per sinistra intendiamo stare dalla parte dei poveri e degli oppressi, non dei salotti buoni o dei banchieri .

La seconda riguarda la mia educazione. Non ho ricevuto un'educazione particolarmente religiosa, ma neanche anticlericale. Suppongo sia stato un vantaggio. Mia madre venne allevata dalle suore - era rimasta orfana - e non ne conservava un buon ricordo. Diciamola tutta: ricordava le loro crudeltà. Ma mi ha battezzato e non mi ha impedito di andare in chiesa, finchè ci sono voluto andare (sulla spinta dell'emulazione, secondo la ben nota tesi per la quale "il 90% per cento dell'umanità non può essersi sbagliata..." ecc.). Questo mi ha permesso di avvicinarmi serenamente alla parrocchia - come tanti ragazzi italiani - e serenamemente prendere da essa congedo, quando mi sono reso conto di non avere fede.

Il risultato è che non ho mai odiato le religioni. Anzi, le ritengo uno dei prodotti più alti dell'ingegno umano, nel bene e nel male. Le religioni sono dense di significato. Le religioni sono pregne di metafore sulla vita, sui rapporti fra gli esseri umani, su questioni come il potere, la libertà, la legge, l'amore, la natura. Le religioni sono performative: producono regole, sono il contrario dell'anomia. Possono far crollare delle civiltà basate sull'istituto della schiavitù (successe ai Romani) e possono istituzionalizzare la schiavitù (se ne avvantaggiarono gli spagnoli e poi tutti gli europei - assieme ai loro cugini americani - per un arco di tempo di qualche secolo. A scapito degli africani). Le religioni predispongono a vedere ciò che non è immediatamente visibile o comunque percepibile con i cinque sensi: sono contigue all'arte, alla poesia. Le religioni producono (a volte) igiene mentale, sono estremamente rilassanti e ti mettono in pace con il mondo. Altre volte è il contrario: possono spingerti a fare cose faticose e nobilissime, quelle cose che nessun partito e nessuna ideologia riescono oggi a cavar fuori dall'essere umano medio, tipo sacrificarsi per gli altri, fino a morire per gli altri (sull'esempio di Cristo). Le religioni, infine, hanno indirizzato gli sforzi dell'umanità verso la produzione di beni duraturi e di pregevolissima fattura: senza di esse avremmo solo acquedotti, strade, qualche castello qui e là. Ma riuscireste ad immaginare il paesaggio europeo senza le cattedrali e le pievi di campagna?

Insomma, le religioni, per quanto mi riguarda, sono affascinanti. Sia quelle che mi piacciono di più - come il cristianesimo o il buddismo (peraltro lontanissime fra loro) - sia quelle che mi piacciono o che capisco di meno, come l'islam o l'induismo (non è vero che tutte le religioni sono uguali o contengono gli stessi valori di fondo: questo è uno stupido luogo comune e non ha niente a che vedere con l'ecumenismo serio, che è confronto, sì, ma non annullamento delle differenze).

E' che io sono in difficoltà con dio in sé, ecco. E' che l'idea di un essere superiore che abbia creato questo pasticcio per un fine noto a lui solo mi sembra semplicemente inattendibile. Perché mai avrebbe dovuto farlo? Se fosse un essere non dico onnipotente ma perlomeno intelligente, come lo dipingono, avrebbe dovuto sforzarsi di dare il meglio di sé, giusto? Chi di noi farebbe un lavoro importante con i piedi? Voglio dire, se devo prendere questa faccenda per buona, posso solo sperare che una volta fatto tesoro dei suoi errori abbia realizzato qualcosa di più decente altrove. Sì: se il mito della creazione è un mito, una raffinata metafora, mi sta bene. Se dobbiamo crederci sul serio, riconosco che la scienza non ha prodotto una spiegazione molto migliore (il big-bang? ma andiamo...), però, come sosteneva il mio prof. di tedesco delle medie, "il fatto che non sappiamo una cosa non ci autorizza a fare delle illazioni."

Ma il mio problema con le religioni non si ferma alla Genesi. C'è che le religioni - gran parte di esse - propugnano l'idea di un dio che si immischia nelle faccende degli uomini. Certo, non con la stessa frequenza o intensità degli dei dell'antico Olimpo, ma insomma Lourdes o Fatima ci si avvicinano parecchio. Mi chiedo: con quale criterio? Con quale criterio dio dovrebbe decidere di guarire quella persona, o di resuscitare la buonanima di Lazzaro, lasciando colare a picco milioni altri? Se ci fosse un dio così, sarebbe un dio capriccioso, umorale, crudele, il dio-coccodrillo di cui parla Fritz Zorn, quello che ha creato i crematori e le pietre di tortura (le pietre di tortura sono un'immagine di Céline, veramente...). Un dio così preferirei non incontrarlo mai in un vicolo buio. Oppure sarei costretto ad adorarlo per la sua perfetta imperscrutabilità (che è poi ciò che le religioni ci chiedono di fare quando concludono che la volontà di dio è inconoscibile e noi dobbiamo solamente chinare il capo davanti ad essa come i condannati davanti alla gigliottina).

So che i teologi dispongono di buoni argomenti per contro-argomentare. O forse no? Cito dall'ultimo Micromega Vito Mancuso, che insegna teologia all'Università San Raffaele di Milano: "Le argomentazioni tradizionali (ovvero quella ontologica e quella cosmologica ndr) del cattolicesimo per fondare il discorso su dio non tengono più (...). E' questo stato di cose, del tutto interiore alla teologia, il principale motivo che tanto preoccupa Benedetto XVI. Se la chiesa cattolica a partire dall'epoca moderna avesse studiato seriamente e amorevolmente le obiezioni della scienza e della filosofia invece di reprimerle con la violenza (intellettuale, mediante l'Indice dei libri proibiti, e fisica, mediante la tortura e l'uccisione dei dissidenti) contrapponendovi un'apologetica astratta, incapace di parlare con frutto alla coscienza moderna, oggi la situazione spirituale dell'Occidente sarebbe un po' migliore". E se questo vale per il cattolicesimo, cosa dovremmo dire dell'universo-Islam, dove i conflitti fra religione e modernità deflagrano giorno dopo giorno con una violenza devastante?

Va da sé che gli atei a volte sono più irritanti degli stessi credenti nel difendere le loro tesi granitiche. Peraltro bisogna essere indulgenti con loro: sono una minoranza discriminata. Io mi ritengo un agnostico. Chiariamo. Agnostico non è uno che "non si pone il problema", come spesso si sostiene, scioccamente. Non porsi il problema dei problemi, ovvero chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? Bisognerebbe essere più abbruttiti di un cinghiale. Diciamo agnostico alla maniera di Protagora. Protagora, filosofo presocratico noto per avere affermato che l'uomo è la misura di tutte le cose, quelle che sono in quanto sono e quelle che non sono in quanto non sono. In due parole, non si può dare di dio un discorso "umano" (razionale, logico, falsificabile, per dirla con Popper), sia che dio esista sia che non esista. Perché la dimensione di dio è per definizione ultra-umana, quindi inconoscibile. Oppure, al contrario, non si può dare di dio che un discorso "umano" (limitato, parziale, terra-terra) sia che dio esista sia che dio non esista. Perché la dimensione dell'uomo è per definizione umana, e l'uomo non può conoscere che ciò che rimane alla sua portata.
Mi rendo conto che in questo modo faccio un bel falò dei profeti e dei loro Libri, ma tant'è, rimangono pur sempre straordinaria letteratura. Mi rendo anche conto che in questo modo confino la fede al solo elemento "mistico", e quindi, in definitiva, aleatorio. Sì, penso che la fede sia precisamente questo.

Insomma: conoscere dio attarverso la ragione mi sembra chiaramente una pretesa assurda. Non c'è nulla ma proprio nulla di ragionevole nell'idea di dio (con tutte le sue raffinate complicazioni, compresa quella trinitaria). Semmai, ecco, uno slancio, una tensione, forse un'ebbrezza. Che o ce l'hai (perché è innata in te, perché ti hanno educato ad averla, perché Dio ti è apparso sulla via di Damasco), o te la procuri. Per tutti gli altri c'è il passo indietro degli agnostici e un po' più in là la negazione secca degli atei. Che non significa - lo ripeto ancora una volta - ostilità nei confronti delle religiosi e dei valori che esse sottendono. Né significa necessariamente materialismo (a dir la verità, molti dei credenti che conosco sono schifosamente materialisti, e molti degli atei che conosco sono persone assolutamente spirituali).

In definitiva, credo soprattutto, senza alcuna pretesa di originalità, che la religiose sia una panacea, un linimento. Nei confronti di cosa? Della paura della morte. Che è poi l'orrore della condizione umana in quanto tale (finitezza, mancanza di scopo, la scomparsa individuale come destino finale). Edgar Morin ne scrisse ne L'uomo e la morte. Morin non è uno scienziato vero e proprio, perché salta di palo in frasca, scrive di qualsiasi argomento sul quale ritenga di avere qualcosa da dire. Perciò dice cose così interessanti. Fosse nato un po' dopo, sarebbe un buon blogger. L'antropologia classica diceva un po' le stesse cose. Prima degli dei, non esisteva forse un universo di credenze magico-religiose? E le religioni istituzionali non hanno forse ereditato quell'universo? Perché festeggiamo il Natale il 25 dicembre? Perché lo festeggiamo con l'albero? Solo che l'antropologia classica, quella del Ramo d'oro frazeriano, per intenderci, poneva questa consapevolezza al servizio dell'evoluzionismo. Come dire: poi siamo arrivati noi popoli civilizzati con il nostro cristianesimo e abbiamo dato una sistemata al tutto. Mi chiedo sempre perché non ne abbiano tratto la conclusione più logica cioè: religioni rivelate, culti "apocrifi" o pagani, magia sono sullo stesso piano, rispondono agli stessi bisogni psicologici. E il bisogno dei bisogni dell'essere umano è quello di essere rassicurato sulla morte.