Ieri "La Repubblica" ha pubblicato le sue classifiche di libri, film e dischi del decennio, giochino sempre divertente, ammettiamolo.
Mi limito a commentare dischi e libri stranieri, i due settori che frequento di più.
Sul fronte dischi, la palma va a "Kid A" dei Radiohead, seguito da "I'm a bird now" di Anthony. Entrambe i giudizi mi trovano sostanzialmente favorevole. I Radiohead sono stati uno dei gruppi più influenti negli anni '90, e sono traghettati negli anni 2000 rinnovando completamente la loro musica (all'origine un rock di chitarre), gettando un luminoso ponte trasparente fra la riva del rock e quella dell'electro. "Kid A" in questo senso è forse il loro disco più rappresentativo, più ancora di "Ok computer" che all'epoca venne (altrettanto giustamente) osannato. I Radiohead hanno creato uno standard: se dovessi avvicinare qualche gruppo dei 2000 alla loro musica non potrei che pensare ai tedeschi Lali Puna, che mi sarebbe piaciuto vedere in classifica.
In quanto ad Anthony, la sua è la voce del momento. Una voce capace come poche di dare corpo al dolore e alla redenzione. Non a caso, fra i suoi scopritori abbiamo Lou Reed, che lo ha voluto in tour con sé nella prima metà del decennio e poi anche per alcune date di "Berlin" e gli ha fatto reincidere canzoni storiche come "Perfect day" o la velvettiana "Candy says".
Bene anche il sesto posto di "Love and theft" di Bob Dylan, uno dei capolavori della sua discografia, con quella voce come carta abrasiva e una manciata di canzoni memorabili, da "Mississipi" a "Po' boy". Bene anche Eminem con il suo "Marshall Matther" (dopotutto Eminem è l'unico rapper che si tira fuori dal mazzo dei papponi), mentre sugli Strokes di "This is it" ho qualche dubbio: sono stati certamente fra i gruppi più rappresentativi della scena indie rock, e hanno scritto ottime canzoni, ma: 1) i loro dischi sono sostanzialmente identici, senza apprezzabili modifiche o evoluzioni dall'uno all'altro, verrebbe da chiedersi perché "This is it" e non "Rooms on fire", ad esempio; 2) è difficile superare l'obiezione mossa loro da Paul Morley in "Metapop", secondo la quale gli Strokes sono il miglior gruppo rock...degli anni '60!
Al decimo posto, infine, Manu Chao con "Proxima estacion experancia". Notevole anche questa come scelta. E le donne? Due: Amy Whinehouse al terzo posto e Bjork con "Medulla" al nono. Che dire? neanche negli anni 2000 è venuta fuori la nuova Patti Smith.
Le esclusioni: me ne vengono in mente essenzialmente due. Anzi tre. Anzi quattro. Cinque, via. La prima: Mark Lanegan, "Bubblegum", un disco da brividi, stanze spoglie, scale che scricchiolano, sangue sul muro, sogni e incubi. La seconda: "The raven", un po' perché per me Lou Reed non può mai mancare, lui ha scritto il canone e ha tracciato il solco (non a caso, con chi ha suonato negli anni 00? Strokes, Killers, Raconteurs...), un po' perché il disco, specie quello doppio, con i recitati, rappresenta uno degli esempi più felici di connubio rock-letteratura (in questo caso, Edgar Allan Poe). La terza: i Killers. La quarta: Jack White in una qualche sua incarnazione, si chiami White Stripes o Dead Wheater. La quinta: Willard Grant Conspiracy, "Regard the ends".
Per la narrativa straniera il discorso è un po' più breve perché conosco solo due dei romanzi menzionati: "Le correzioni" di Franzen e "Elizabeth Costello" di Coetzee, che io avrei messo al primo e secondo posto, probabilmente (non so in quale ordine), anziché al settimo e ottavo (e del sudafricano avrei aggiunto anche "Vergogna", pubblicato da Einaudi nel 2000, ma probabilmente era uscito già prima in lingua inglese...).
Il romanzo di Franzen è un affresco straordinario, perfettamente bilanciato in ogni sua parte, uno di quei libri che ti fanno dire che, sì, la letteratura è ancora più interessante della vita, dopotutto. Quello di Coetzee è una sorta di romanzo filosofico declinato attraverso una serie di conferenze e saggi della protagonista, la scrittrice Elizabeth Costello, alter ego di Coetzee. Piace soprattutto a chi ha passato molta parte della sua vita frequentando eventi del genere (lezioni universitarie, simposi e quant'altro), ma stupisce come lo scrittore abbia saputo dare a questa materia un taglio (anche) narrativo. Un'opera asssolutamente originale, insomma, davvero degna di un Nobel.
Non so dire del primo classificatosi, "La strada" di Mc Charty, perché non l'ho letto (ancora). L'esclusione più clamorosa? Pamuk, "Neve", uno dei vertici della narrativa contemporanea. In generale forse avrei apprezzato un po' più di fantasia nei compilatori: non so, Houellebecq non è un prosatore perfetto; a volte ripetitivo, disomogeneo, troppo prodigo di prodezze sessuali nelle sue pagine come molti francesi, ma certamente è uno di quegli scrittori che colgono, eccome, lo spirito dei tempi. E poi, un po' provocatoriamente, "Chronicles" di Bob Dylan, una bellissima prova, un approccio obliquo al tema dell'autobiografia che andrebbe valorizzato, a prescindere dal personaggio. Infine, capisco che sarebbe sembrata una scelta tardiva, condizionata dal premio recente, ma Herta Muller con il suo "Il paese delle prugne verdi", ci sarebbe stata eccome in una classifica in cui le donne non abbondano (ma il libro è degli anni 2000 solo per il mercato italiano, in effetti...).
Una nota, infine, sul primo posto nella classifica "Libri italiani: "Gomorra" di Saviano. Un non-romanzo, o una docu-fiction, per dirla con il linguaggio dei video. Un po' come "L'abusivo" di Antonio Franchini , arrivato terzo (con tutto il rispetto per Saviano, che ha scritto un libro "enorme", io forse preferisco Franchini, addirittura il Franchini di "Quando vi ucciderete, maestro", indimenticabile titolo degli anni '90 su un tema caro all'autore ma assai poco bazzicato dai narratori, le arti marziali, la passione per gli sport di combattimento. Con quell'approccio, autobiografia romanzata, diciamo così, si potrebbe scrivere di qualunque cosa).
Io di libri di autori italiani ne leggo pochi; solo per una breve stagione, quella dei cosiddetti cannibali, mi sono avvicinato alla narrativa contemporanea del mio paese. Comunque, se dovessi dare una palma, forse la darei a Elena Ferrante, "I giorni dell'abbandono", pubblicato nel 2002. Secco, forte, sincero fino alla crudeltà.