E' morta ieri la cantante di origini sudafricane Miriam Makeba, simbolo della lotta all'apartheid. Miriam Makeba - che aveva iniziato la sua carriera negli anni '50 - è morta nella clinica Pineta Grande di Castel Volturno, dove era stata trasportata dopo essere stata colta da un malore, al termine della sua esibizione al concerto anticamorra e contro il razzismo dedicato allo scrittore Roberto Saviano. Per una artista come lei, dopotutto (un'artista sempre impegnata dalla parte "giusta", con un'unica ombra: la sua amicizia, ad un certo punto della carriera, con il dittatore della Guinea Touré), credo non potesse esserci uscita di scena migliore.
La sua musica univa la tradizione occidentale - jazz e pop - a quella africana; aveva quel quid che contraddistingue la produzione delle grandi star internazionali, amate da pubblici diversissimi tra loro. Ma la fama di Miriam Makeba è legata anche e soprattutto al Sud Africa, paese che - all'indomani della Seconda guerra mondiale, cioè di una guerra condotta in ultima analisi contro l'ideologia razzista elevata all'ennessima potenza - edificò un regime razzista al 100%, giustificandolo con argomentazioni che risultano familiari anche oggi: la difesa delle peculiarità culturali di ciascun popolo, la necessità di vivere "separati" per vivere meglio. Ovviamente tutto ciò era una finzione, che mascherava la realtà di uno sfruttamento (della popolazione di colore) scientificamente organizzato. Ma è bene ricordare che chi volle l'apartheid, gli ideologi che costruirono l'impalcatura culturale dello "sviluppo separato", presumevano di essere dalla parte della ragione. Il male, a volte, ha giustificazioni suadenti.