Linguaggi

Ricordo la prima volta che ho sbattuto contro il linguaggio della musica, cioè un linguaggio non-verbale, o non-alfabetico. Ero un bambino e stavo cercando da giorni di ricordare la colonna sonora di un film, una melodia orchestrale che mi aveva stregato. Finalmente, all'improvviso, come spesso succede, eccola, deliziosa, folgorante, nella mente! Ma a quel punto ero terrorizzato dalla possibilità di dimenticarla di nuovo. Così, pensai di scriverla. Presi un foglio e una penna, iniziai a canticchiarla, e con enorme stupore mi resi conto che anche se già avevo imparato a scrivere da un po' non sapevo come fare. "Lalalalala'..." non funzionava. Non c'era corrispondenza fra parole e musica. Fino a quel momento la parola scritta mi era sembrata la più grande delle magie. Qualcosa che costruiva mondi, di ogni genere. Certo, mio padre era un musicista, l'avevo visto un'infinità di volte suonare l'armonio leggendo lo spartito. Ma chissà perché, non gli chiesi nulla. Forse pensai che non avrebbe avuto tempo, forse mi vergognavo a cantargli quell'aria e aspettare che la mettesse in note. Forse semplicemente ero irrritato per la scoperta di un campo che sembrava sottrarsi al potere della parola. Così mi inventai una specie di grafico. Quando la musica saliva saliva la riga sul foglio, e viceversa. Sembrava l'andamento di una borsa schizofrenica.
A quanto ricordo, per un po' funzionò.