Allen Ginsberg - A supermarket in California
Un'altra versione della mia poesia preferita di Allen Ginsberg. Non so se la voce sia davvero la sua. In ogni caso, interpreta egregiamente il testo.
Un supermarket in California
Come ti penso stasera, Walt Whitman, perché camminavo per piccole strade sotto gli alberi col mal di testa guardando consapevole la luna piena.
Nella mia fatica affamata, e per comprare immagini, entrai nel supermarket di frutta al neon, sognando le tue enumerazioni!
Che pesche e che penombre! Intere famiglie a far provviste la sera! Corridoi pieni di mariti! Mogli negli avocados, bambini nei pomodori! E tu, Garcia Lorca, che cosa stavi facendo giù fra i meloni?
Ti ho visto, Walt Whitman, senza figli, vecchio mangione solitario, a frugare fra le carni nel frigorifero e occhieggiare i garzoni del droghiere.
Ti ho udito fare domande a ciascuno: Chi ha ucciso le cotolette di porco? Quanto costano le banane? Sei tu il mio Angelo?
Ho girato fra le pile di scatolame luccicanti seguendoti, e seguito nell'immaginazione dal poliziotto del mercato.
Abbiamo camminato insieme lungo i passaggi aperti nella nostra fantasia solitaria assaggiando carciofi, possedendo ogni leccornia congelata, e senza mai passare davanti al cassiere.
Dove andiamo, Walt Whitman? Le porte chiudono tra un'ora. Dove punta stasera la tua barba?
(Sfioro il tuo libro e sogno la nostra odissea al supermarket e mi sento assurdo.)
Passeggeremo tutta notte per strade solitarie? Gli alberi aggiungono ombra all'ombra, luci spente nelle case, ci sentiremo soli.
Cammineremo sognando la perduta America dell'amore lungo automobili azzurre nei viali, verso casa nel nostro cottage silenzioso?
Ah, caro padre, grigio di barba, vecchio solitario maestro di coraggio, che America avesti quando Caronte smise di spingere il suo ferry e tu scendesti su una riva fumosa a guardare la barca scomparire sulle acque nere del Lete?
Berkley, 1955
[Allen Ginsberg, Jukebox all'idrogeno, a cura di Fernanda Pivano, Mondadori, Milano, 1965; Oscar Mondadori, 1969]
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Peter Handke - se un scrittore sta dalla parte "sbagliata"
Ho appena ripreso in mano, dopo anni, e un po' per caso, Peter Handke, più che altro perché, dopo la sbornia di trame di Franzen, Murakami e altri del genere, avevo voglia di qualcosa di più sperimentale, di poco (o flebilmente) letterario, una prosa che sembra fatta apposta per contraddire i tempi nostri, tempi di libri che inseguono la tv (pur se lo stesso Handke ha scritto per il cinema, ma era il cinema di Wenders...).
Ed ecco che rispunta la vecchia polemica su Handke filoserbo, che in verità, negli anni '90, avevo seguito un po' distrattamente.
La notizia la riprendo dal Corriere della Sera:
BERLINO - Forse se in Germania non fosse scoppiato due mesi fa un gigantesco caso sul «Quadriga», assegnato al primo ministro russo Vladimir Putin e poi ritirato dalla giuria dopo una sollevazione del mondo politico e culturale, questo premio a Peter Handke sarebbe passato inosservato. «Noi ci mettiamo i soldi e poi finiamo sotto accusa», si devono essere però detti nel quartier generale della Kolbus, una grande azienda che produce macchinari per rilegare i libri e che è lo sponsor del «Candide», un riconoscimento franco-tedesco che viene conferito, nel nome di Voltaire, a Minden, in Nord-Vestfalia. Lo scrittore austriaco è ormai noto infatti non tanto per i suoi romanzi (qualcuno sicuramente bello, come Prima del calcio di rigore ) quanto per le posizioni filoserbe prese durante e dopo il conflitto nella ex Jugoslavia e per essere andato addirittura ai funerali di Slobodan Milosevic, sul cui feretro ha deposto nel 2006 una rosa rossa. La Kolbus ha deciso di non mettere più a disposizione i 15 mila euro del Candide Preis, mettendo in grave imbarazzo la giuria, che però non ha voluto soprassedere sulla sua scelta. C' è anche chi, come uno dei suoi membri, Franziska Augstein, aveva proposto di attingere i fondi da altre dotazioni private. Ma ormai era troppo tardi. Peter Handke è stato informato, accetterà il riconoscimento che gli è stato attribuito ma non andrà a ritirarlo il 30 ottobre, giorno in cui era prevista la cerimonia di consegna.
A parte la sciatteria dell'articolo, a cui siamo abituati ("...alcuni sicuramente belli come Prima del calcio di rigore". E Infelicità senza desideri no?), la questione che si ripropone è interessante, pur se già vista. Se lo scrittore sta dalla parte sbagliata che si fa? Se lo scrittore sta con i collaborazionisti, i nazisti? E se invece (del solito Céline) è un nazionalista fanatico come Mishima? E se invece fa una cosa ancora più subdola e schifosa, fa del revisionismo, perchè, sì, Srebrenica è stata una carneficina, ma prima i musulmani avevano già messo in pratica la pulizia etnica nei villaggi serbi circostanti? Se dice cose così che si fa?
A me pare non ci siano dubbi: se stiamo parlando di un riconoscimento letterario, quello va allo scrittore, non all'uomo che esprime le sue idee politiche. Se l'opera è valida, è valida, punto. Le idee politiche vanno valutate (e se necessario criticate, confutate ecc.) in altra sede.
Se dovessimo seguire un altro criterio, parecchia letteratura dell'800-900 sarebbe censurabile. E non parlo solo di autori esplicitamente filofascisti o filocomunisti. Conrad è stato visto da molti come un romanziere impregnato di mentalità colonialista (anche se per me è tutto il contrario). E persino autori "socialmente impegnati" (come Moravia, che da persona intelligente avrebbe rifiutato questa qualifica), hanno scritto pagine sull'Africa che oggi è un po' imbarazzante leggere, che alle orecchie del lettore "politicamente corretto" suonano quantomeno sconvenienti. "Il negro, insomma, va sempre ai suoi affari; cioè si muove principalmente per motivi economici, mercantili, di sussistenza (...). Perché gli africani, pur nel loro modo bislacco, fantasioso, irrazionale e danzante sono una delle razze più traffichine che ci siano al mondo. Anche se poi i loro traffici non sono spesso che scambio in natura e vendita e acquisto spicciolo di pochissimi prodotti di fabbricazione familiare". (Moravia, A quale tribù appartieni?)
D'accordo, sono parole affettuose, non c'è nulla di paragonabile all'apologia della Serbia di Milosevic. Sfido comunque qualcuno a leggerle oggi in pubblico (anche se poi gli africani veri probabilmente ci riderebbero sopra).
Handke era uno che in Jugoslavia ci andava spesso, prima della guerra (la madre era di origini slovene), e a cui la Jugoslavia piaceva probabilmente così com'era, un crogiolo di popoli. Ovviamente non piaceva solo a lui; ma la nostalgia per ciò che è stato o meglio per ciò che sarebbe potuto essere non può offuscare la capacità di giudizio, specie quando sul terreno ci sono migliaia di morti. Il "tutti colpevoli-nessun colpevole" di Handke non commuove e non convince.
E tuttavia, Handke è un vero scrittore. Difficile, probabilmente oggi noioso (dico oggi perchè negli anni '70 non era strano leggere cose come Lento ritorno a casa e trovarle pure belle.) Ma, insomma, uno scrittore con una sua cifra stilistica, una sua riconoscibilità, una sua poetica. Nessuna stronzata (compresa la rosa sulla bara di Milosevic) può offuscare questo fatto.
Ed ecco che rispunta la vecchia polemica su Handke filoserbo, che in verità, negli anni '90, avevo seguito un po' distrattamente.
La notizia la riprendo dal Corriere della Sera:
BERLINO - Forse se in Germania non fosse scoppiato due mesi fa un gigantesco caso sul «Quadriga», assegnato al primo ministro russo Vladimir Putin e poi ritirato dalla giuria dopo una sollevazione del mondo politico e culturale, questo premio a Peter Handke sarebbe passato inosservato. «Noi ci mettiamo i soldi e poi finiamo sotto accusa», si devono essere però detti nel quartier generale della Kolbus, una grande azienda che produce macchinari per rilegare i libri e che è lo sponsor del «Candide», un riconoscimento franco-tedesco che viene conferito, nel nome di Voltaire, a Minden, in Nord-Vestfalia. Lo scrittore austriaco è ormai noto infatti non tanto per i suoi romanzi (qualcuno sicuramente bello, come Prima del calcio di rigore ) quanto per le posizioni filoserbe prese durante e dopo il conflitto nella ex Jugoslavia e per essere andato addirittura ai funerali di Slobodan Milosevic, sul cui feretro ha deposto nel 2006 una rosa rossa. La Kolbus ha deciso di non mettere più a disposizione i 15 mila euro del Candide Preis, mettendo in grave imbarazzo la giuria, che però non ha voluto soprassedere sulla sua scelta. C' è anche chi, come uno dei suoi membri, Franziska Augstein, aveva proposto di attingere i fondi da altre dotazioni private. Ma ormai era troppo tardi. Peter Handke è stato informato, accetterà il riconoscimento che gli è stato attribuito ma non andrà a ritirarlo il 30 ottobre, giorno in cui era prevista la cerimonia di consegna.
A parte la sciatteria dell'articolo, a cui siamo abituati ("...alcuni sicuramente belli come Prima del calcio di rigore". E Infelicità senza desideri no?), la questione che si ripropone è interessante, pur se già vista. Se lo scrittore sta dalla parte sbagliata che si fa? Se lo scrittore sta con i collaborazionisti, i nazisti? E se invece (del solito Céline) è un nazionalista fanatico come Mishima? E se invece fa una cosa ancora più subdola e schifosa, fa del revisionismo, perchè, sì, Srebrenica è stata una carneficina, ma prima i musulmani avevano già messo in pratica la pulizia etnica nei villaggi serbi circostanti? Se dice cose così che si fa?
A me pare non ci siano dubbi: se stiamo parlando di un riconoscimento letterario, quello va allo scrittore, non all'uomo che esprime le sue idee politiche. Se l'opera è valida, è valida, punto. Le idee politiche vanno valutate (e se necessario criticate, confutate ecc.) in altra sede.
Se dovessimo seguire un altro criterio, parecchia letteratura dell'800-900 sarebbe censurabile. E non parlo solo di autori esplicitamente filofascisti o filocomunisti. Conrad è stato visto da molti come un romanziere impregnato di mentalità colonialista (anche se per me è tutto il contrario). E persino autori "socialmente impegnati" (come Moravia, che da persona intelligente avrebbe rifiutato questa qualifica), hanno scritto pagine sull'Africa che oggi è un po' imbarazzante leggere, che alle orecchie del lettore "politicamente corretto" suonano quantomeno sconvenienti. "Il negro, insomma, va sempre ai suoi affari; cioè si muove principalmente per motivi economici, mercantili, di sussistenza (...). Perché gli africani, pur nel loro modo bislacco, fantasioso, irrazionale e danzante sono una delle razze più traffichine che ci siano al mondo. Anche se poi i loro traffici non sono spesso che scambio in natura e vendita e acquisto spicciolo di pochissimi prodotti di fabbricazione familiare". (Moravia, A quale tribù appartieni?)
D'accordo, sono parole affettuose, non c'è nulla di paragonabile all'apologia della Serbia di Milosevic. Sfido comunque qualcuno a leggerle oggi in pubblico (anche se poi gli africani veri probabilmente ci riderebbero sopra).
Handke era uno che in Jugoslavia ci andava spesso, prima della guerra (la madre era di origini slovene), e a cui la Jugoslavia piaceva probabilmente così com'era, un crogiolo di popoli. Ovviamente non piaceva solo a lui; ma la nostalgia per ciò che è stato o meglio per ciò che sarebbe potuto essere non può offuscare la capacità di giudizio, specie quando sul terreno ci sono migliaia di morti. Il "tutti colpevoli-nessun colpevole" di Handke non commuove e non convince.
E tuttavia, Handke è un vero scrittore. Difficile, probabilmente oggi noioso (dico oggi perchè negli anni '70 non era strano leggere cose come Lento ritorno a casa e trovarle pure belle.) Ma, insomma, uno scrittore con una sua cifra stilistica, una sua riconoscibilità, una sua poetica. Nessuna stronzata (compresa la rosa sulla bara di Milosevic) può offuscare questo fatto.
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