Sto rileggendo per la...decima volta? "L'insostenibile leggerezza dell'essere" di Milan Kundera. Negli anni '80 fu un caso letterario (complice anche la trasmissione tv "Quelli della notte"). Un libro vendutissimo.
Riprendendolo in mano l'altro giorno ho messo a fuoco il fatto che questo romanzo si apre con due pagine dedicate all'idea dell'eterno ritorno in Nietzsche. Non ho potuto fare a meno di chiedermi se oggi qualcuno pubblicherebbe un libro così, sperando magari anche di farne un best seller. Voglio dire: è scritto straordinariamente bene, ma oggi, quale tipo di lettore incontrerebbe un romanzo che si apre con una dissertazione su Nietzsche e Parmenide? Quale potrebbe essere il suo target, per dirla prosaicamente? Non voglio dire che oggi il lettore sia più stupido o pigro, però...
Un'altra cosa mi ha colpito: all'inizio della seconda parte, quella dedicata al personaggio di Teresa, l'autore dichiara che uno scrittore non deve avere la pretesa di spacciare i personaggi di un suo romanzo come persone reali. "Non sono certo stati partoriti dal grembo di una donna", ecc.
Questa posizione verrà estremizzata ne "L'immortalità", dove il gioco si farà ancora più scoperto (senza tuttavia diventare pirandelliano).
Di nuovo, non ho potuto fare a meno di stupirmi del coraggio dell'autore - del genio dell'autore - che si fa beffe di una delle regole fondamentali della "fiction". E non ho potuto non pensare di nuovo all'assurdità di un'affermazione che ho letto recentemente, in bocca a non so quale intellettuale, per cui il romanzo starebbe morendo in quanto i lettori oggi hanno fame di vite reali (una volta un editore mi respinse una proposta con la stessa motivazione: "Oggi 'tirano' le biografie romanzate, non c'è più spazio per l'invenzione pura...").
Che sciocchezza. Come non vedere che i personaggi delle commedie umane di Kundera dicono, della vita reale che conduciamo ogni giorno, assai più di tanti "reality"? Come non capire che persino l'arte più astratta - persino un taglio su una tela - può dirci, della nostra realtà (del nostro svegliarci al mattino, del nostro andare a dormire la sera, dei nostri amori, dei nostri odi, dei nostri tostapane, dei nostri smarrimenti) proprio le cose che abbiamo bisogno di sentirci dire? E soprattutto: la realtà non è forse la sua interpretazione/rappresentazione/narrazione?