Ho sentito le prime canzoni di De André a 10 anni. Le canticchiava un ragazzino un po' più vecchio, che era famoso in cortile per avere due zii: uno missionario in Congo e l'altro anarchico mangiapreti (sacrestia+anarchia=Fabrizio De André, appunto).
Mi piacevano perché sembravano un po' horror, soprattutto quella della tipa che chiedeva al suo innamorato "il cuore di tua madre, per i miei cani...".
Poi venne mia zia, una tosta, che aveva alle spalle un'adolescenza scapestrata (quando ste' cose non erano di moda, ragazzi!). Mi regalò "L'antologia di Spoon River", mi fece ascoltare "La città vecchia" (ancora adesso mi dà i brividi), mi fece ascoltare tutto "Non al denaro..."
Beh, fu una torrida estate.
Ma nessuno lo chiamava Faber, questa è una cazzata di adesso, nessuno lo conosceva con quel soprannome tranne forse i suoi amici intimi. E adesso, tutti a dire: "Faber qua, Faber là..."
Si chiamava Fabrizio De Andrè, punto.Fece "Rimini", mi rompevo la testa su quei versi oscuri e potenti, su "Coda di lupo", chi era quel "capelli corti-generale" che "ci parlò all'università, dei fratelli in tute blu che seppellirono le asce?"
Anni dopo capii che si riferiva a Lama, alla contestazione alla Sapienza.
Fece il disco con la Pfm, all'improvviso piaceva a tutti, anche a quelli che andavano al Cosmic. Ma non era un animale da palcoscenico, dal vivo era piuttosto scontroso e a volte anche un po' stronzo. Per me, comunque, i suoi dischi erano musicalmente validi anche prima che arrivassero Mussida e co. I valzerini, il mandolino del "Pescatore", le ballate chitarra e voce, le orchestrazioni. A me piace rock, ma con lui non si sentiva la mancanza del rock, e per un italiano è un pregio.
Ricordo un'intervista su quel libro, "Non sparate sul cantautore", uscito alla fine dei '70, quando il fenomeno era al suo massimo. Continuava a dire di avere problemi esistenziali, "che problemi?", gli chiese ad un certo punto l'autore (un ex-autonomo). Disse che gli servivano i soldi per la tenuta in Sardegna. Insomma, l'avesse detto John Lydon sarebbe suonato meglio. Comunque non importa, le canzoni hanno vita propria, al limite non importa nemmeno chi le ha scritte e cantate.
E' stato un grande e la sua fama non fa che crescere. Però c'è della beatificazione un filino retorica, in giro, quel tirare il morto per la giacchetta...
Io condivido un po' queste parole pescate su un blog, Freddinietzsche"(...) Il problema è quel senso di santità, di poesia, di superiorità profonda e sostanziale di cui la figura di De André si è profumata negli anni. È diventato un dio laico, un profeta democratico, forse solo quello che anche Mara Venier in un programma del pomeriggio definirebbe «un grande artista». Anche l’altra sera, allo speciale di Che tempo che fa, trasudavano dagli angoli di un programma dignitoso e pieno di finezze degli sbuffi di incenso. Per quanto il tono pretesco di Fazio questa volta fosse virato alla totale sobrietà, e servisse per non fare di quel programma un pippone celebrativo ah-quanto-sono-commosso/ah-quanto-eravamo-amici-io-e-Faber, comunque un po’ di reliquiario è scappato fuori: Vecchioni che fa il maestro e presenta i bambini canterini di De André; Giovanna Zucconi che legge le frasi appuntate sul bianco dei libri; qualche riferimento a Gaza di troppo..."
Dopotutto era un tipo schivo.