Sardegna
Teulada
Da bambino sentivo il Bollettino dei naviganti alla radio, Teulada, mare forza 8, il maestrale che fischiava fra i miei monti, assieme ai fischi e alle scariche della Marelli a valvole, plastica bianca e marrone.
Teulada, l'altra sera, divisa in due da un fiume in secca, sorta di Tunisia, di Gaza isolana in mezzo alle colline asciugate dal sole, torri d'avvistamento, spine.
Clima di festa, cinema all'aperto, "Vincere" di Bellocchio, strano guardare una storia trentina da qui, giovani all'ingresso del parco-giochi e nascosti nei giardini che scendono dal Duomo tre ragazzi rappano nel buio. Clima di festa, borgo vicino al mare ma non in vista del mare che mugghiava nella mia radio degli anni '70, un viale di palme che conduce alla strada degli oleandri e più oltre, nel nero della notte sarda, l'enorme base militare cintata dal filo spinato.
Vento
Una terra di vento che mi sembra di non riuscire ad afferrare, a volte, così diversa dalla calda Grecia accogliente, il clima difficile, il maestrale che ti strappa dai crinali e ti riempie le pieghe di sabbia, il sole che morde, l'assenza di architettura tradizionale a parte i nuraghi e le torri di avvistamento, ma anche di grossi orrori urbanistici, palazzine basse, tegole rosse sui tetti, accogliendo cemento armato e strade ma conservando i fazzoletti neri e le pance sudate, ne risulta uno strano impasto irrisolto, né cultura del paesaggio né, forse, autentica vocazione al turismo, una ruvidezza di fondo, non spiacevole, una volta che ci hai fatto l'abitudine, un'autosufficienza un po' impudente per un'isola che ha avuto il destino di colonia, gli spagnoli, i Savoia, gli americani, Berlusconi...
Sole che castiga feroce, strade sinuose che seguono la linea costiera, difficile ritrovare un equilibrio perduto tanto tempo fa, una vocazione alla scrittura, in questa luce.
Notte
Ma amo la notte. Altro che le Alpi. Qui notte è nero bibbia, stellato e silenzioso, mi sveglio per andare in bagno e dò uno sguardo fuori, sul sentiero che corre accanto alla casa, e di fronte al canneto, oltre le maglie della zanzariera non un rumore except for gli insetti notturni, non un suono a parte le minuscole antenne che strusciano, le minuscole ali, le minuscole mandibole, non un suono a parte il vento che smuove le canne, notte lunga e nera senza compromessi, è come la notte africana.
D.H. Lawrence
Comprato il libro di D.H. Lawrence sul viaggio in Sardegna nel gennaio 1921 (9 giorni appena), che potenza nelle parole, la descrizione dell'Etna (è dalla Sicilia che Lawrence parte, con la moglie "ape regina", è dall'Etna che fugge): colonna del cielo, circonfusa di venti famelici, venti come cagne rabbiose, come streghe, l'Etna che fa perdere la ragione, che secondo l'inglese spezzò anche i greci. Ho pensato che una descrizione così riuscirebbe più difficile ad uno come me, nato all'ombra delle Dolomiti. Da una qualunque via di Bolzano, da via Druso, ad esempio, così "normale", così poco tipica, coi suoi distributori, le sue pizzerie, i suoi condomini, anche da lì puoi vedere il Rosengarten cambiare colore, dal grigio pelaceo delle 12 al rosa acceso al viola allo scarlatto del tramonto e d'inverno pallido del remoto chiarore lunare, riflesso delle nevi che si accumulano ai suoi piedi. Se sei cresciuto al cospetto di queste montagne nemmeno l'Etna, nemmeno il Ngorongoro possono impressionarti troppo.
Comunque è utile leggere gli autori un po' più vecchi, non troppo, solo 50, 100 anni. La distanza è sufficiente per farti riflettere sulle differenze e le somiglianze; ad esempio, quando Lawrence, scaldato dal wisky, si lamenta di come gli italiani che incontra lo considerino inevitabilmente l'archetipo di tutti gli inglesi (quando lui rivendica, giustamente, di essere solo un individuo), e di come gli italiani in fondo detestino gli inglesi, pur invidiandoli per la loro superiorità economica (o forse proprio per questo), non si può non pensare a come, negli ultimi 50 anni, il posto degli inglesi sia stato preso dagli americani. E forse, in futuro, ad essere invidiati e detestati assieme saranno russi e cinesi, tra le cui file per di più non si vede neanche un Presley, una Marilyn o un James Dean per ora.
E poi, le tirate contro il suffragio universale, l'internazionalismo proletario, contro quelle espressioni della modernità viste qui solo come forme di appiattimento, oggi noi stigmatizziamo allo stesso modo la "globalizzazione". Un po' prima di Pasolini, l'ammirazione per l'animo verace dei sardi, per il loro essere se stessi, per il loro resistere all'omologazione. Ho sempre guardato con sospetto a queste lodi dell'"autenticità". In fondo approdano sempre a posizioni conservatrici e antidemocratiche, anche se Lawrence non è così ingenuo da andare alla ricerca del pittoresco, ovviamente.
Costa verde
Spazi più ampi, scogliere a volte "irlandesi", poi dune di sabbia sul mare. La piacevole atmosfera di una creperia, la sera, in una località di villeggiatura forse un po' decaduta, Torre dei Corsari, senza animazione, senza quasi nulla a parte gli appartamenti costruiti sulla collina, un centro commerciale con un bar sempre vuoto, una piazzetta dove bere il mirto e la birra ichnusa (che dà dipendenza). Dietro, le miniere, oggi chiuse, silenziose. Arbus in mezzo alle montagne. Piscinas, remota. Oristano brucia nel sole meridiano. Bruciano anche i boschi, arriva il fumo fin sulla spiaggia.
Ma l'ascolteranno ancora Piero Marras?
"Voglio dirti, e te lo giuro, che non mi è servito a niente,
saper fare stando in piedi, la pipì sul muro...
Hey hey, hey gente, come va laggiù?
Qui la vita non si sente, non ritornerò mai più...".
Foto: rosa di Sardegna (m. Pontoni)
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Allen Ginsberg: A supermarket in California
Come ti penso stasera, Walt Whitman, perché camminavo per piccole strade sotto gli alberi col mal di testa guardando consapevole la luna piena.
Nella mia fatica affamata, e per comprare immagini, entrai nel supermarket di frutta al neon, sognando le tue enumerazioni!
Che pesche e che penombre! Intere famiglie a far provviste la sera! Corridoi pieni di mariti! Mogli negli avocados, bambini nei pomodori! – e tu, Garcìa Lorca, che cosa stavi facendo giù fra i meloni?
Ti ho visto, Walt Whitman, senza figli, vecchio mangione solitario, a frugare fra le carni nel frigorifero e occhieggiare i garzoni del droghiere.
Ti ho udito fare domande a ciascuno: Chi ha ucciso le cotolette di porco? Quanto costano le banane? Sei tu il mio Angelo?
Ho girato fra le pile di scatolame luccicanti seguendoti, e seguito nell’immaginazione dal poliziotto del mercato.
Abbiamo camminato insieme lungo i passaggi aperti nella nostra fantasia solitaria assaggiando carciofi, possedendo ogni leccornia congelata, e senza mai passare davanti al cassiere.
Dove andiamo, Walt Whitman? Le porte chiudono tra un’ora. Dove punta stasera la tua barba?
(Sfioro il tuo libro e sogno la nostra odissea al supermarket e mi sento assurdo.)
Passeggeremo tutta notte per strade solitarie? Gli alberi aggiungono ombra all’ombra, luci spente nelle case, ci sentiremo soli.
Cammineremo sognando la perduta America dell’amore lungo automobili azzurre nei viali, verso casa nel nostro cottage silenzioso?
Ah, caro padre, grigio di barba, vecchio solitario maestro di coraggio, che America avesti quando Caronte smise di spingere il suo ferry e tu scendesti su una riva fumosa a guardare la barca scomparire sulle acque nere del Lete?
Berkley, 1955
da Jukebox all’idrogeno, a cura di Fernanda Pivano
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