In un giornale nazionale - il Corrierone - in questi giorni si parla del perché i militanti dell'ex-partito comunista più grande dell'Europa occidentale si siano dovuti affidare ad un un ex-Dc per avere un nuovo capo.
E' una questione che dovrebbe interessare anche chi non ha mai militato in quel partito o non ne ha mai preso la tessera. Perché il comunismo italiano è stato un pezzetto della storia non solo d'Italia ma d'Europa, e all'epoca veniva studiato con interesse anche all'estero, per capire se era possibile che un partito non socialdemocratico o lib-lab ma comunista tout court potesse andare al potere in maniera democratica.
Sostiene qualcuno che il PCI era un partito stalinista, e che è questa la ragione per la quale non è riuscito a diventare un grande partito della sinistra riformista come la Spd o il Labour britannico. Io non credo sia questo il punto. Semmai il PCI era un partito che si reggeva su un'ambiguità: il riformismo di fatto (Togliatti fin dal suo sbarco a Salerno sapeva bene che in Italia la rivoluzione non s'aveva da fare) e l'amicizia con Mosca, condita con improbabili invenzioni ideologico-semantiche ("la Terza via"). Quando quell'ambiguità è caduta - ovvero quando il comunismo sovietico si è sbriciolato - semplicemente non è riuscito ad andare al di là del cambio del nome, non ha saputo darsi una nuova identità. Questo significa che prima del 1989 la sinistra italiana non aveva conosciuto delle spinte verso il rinnovamento? Certo che sì: il '68 proprio questo è stato. Il '68, la scuola di Francoforte, il pensiero antiautoritario, una parte della controcultura pop, il femminismo, l'ecologismo, il terzomondismo ecc. E poi gente come Alex Langer, cattolico, lottacontinuista, "neuelinkista" e verde, che ad un certo punto ebbe persino la sfrontatezza di proporsi come nuovo segretario del PCI. Ma il partito ha sempre guardato con sospetto a tutto questo, a volte ignorando deliberatamente la carica di novità che ne scaturiva (salvo a servirsene furbescamente, cercando di cavalcare, negli anni '80, il movimento pacifista, all'epoca dell'installazione dei missili Pershing e Cruise in risposta agli SS20 sovietici, probabilmente dopo averne parlato con Mosca). Si fosse comportato diversamente, forse l'estremismo ideologico non avrebbe attecchito così tanto, in Italia? Chi lo sa. Certo quando Berlinguer arrivò a dire alcune cose lodevoli sulla sobrietà e sulla paura che gli faceva il socialismo reale era ormai un po' tardino...
Nel 1989 in compenso tutto quel magma si era raffreddato. C'era stato l'avvento del craxismo, l'inizio della disoluzione della classe operaia come soggetto politico, e altrove Reagan, la Tatcher... E dunque, dove avrebbero potuto andare a parare gli ex-militanti del PCI? Per me la risposta è chiara (oggi; ovviamente non lo era allora): nel liberalismo. Che non è, come si è sempre pensato da noi, necessariamente di destra (non a caso l'equivalente negli Usa della nostra sinistra non è un partito socialista o laburista ma i liberal).
Parliamo di quella parte di pensiero liberaldemocratico figlio dell'Iluminismo e delle rivoluzioni borghesi più che di quelle proletarie, quindi di un liberalismo "di sinistra", che guarda a Stuart Mills piuttosto che a Adam Smith. Un liberalismo fatto sostanzialmente di due cose:
- lotta per i diritti (individuali, non di classe, i diritti del cittadino, dell'uomo e della donna, quindi diritti di matrice liberale come è di matrice liberal-democratica, in fondo, la Carta dei diritti universali dell'Onu);
- difesa di alcuni importanti valori (i valori di sempre della sinistra europea: giustizia, eguaglianza delle possibilità, laicità, e mettiamoci vicino la solidarietà che non appartiene propriamente al bagaglio liberale ma può entrarci agevolmente, e mettiamoci anche il valore della ricerca della felicità della costituzione americana, perché no).
Purtoppo sui diritti individuali in Italia non c'è mai stato nessuno se non i radicali (e occasionalmente i socialisti); sul versante dei valori, invece, i campioni assoluti sono i cattolici. Per questo anche molti non-credenti spesso si trovano più a loro agio con i cattolici (certi cattolici) che con tanta gente di sinistra, che più che cinica, come è stato scritto sul Corrierone, mi pare disillusa, svuotata, oppure assurdamente manichea.
Riuscirà il nuovo leader del PD a cambiare le cose? Il punto non è questo. Franceschini è impegnato nell'impresa improba di far convivere e amalgamare due culture politiche, e io spero ci riesca. Ma il punto che dovrebbe stare a cuore a tanta gente di sinistra, qualunque cosa oggi questa parola significhi, è se la sinistra avrà la forza (intellettuale e morale) di darsi un nuovo statuto, un nuovo bagaglio di idee e di strumenti di analisi, una nuova prassi politica.
Mi si dirà che il problema non si pone perché la sinistra è morta. E non è vero, in Spagna ad esempio è viva e vegeta anche se i nostri pidiessini prodiani per anni ci hanno raccontato che qui da noi si stava meglio (perché si stava peggio?).
Mi si dirà che tutto questo non serve, che sa di polverosi congressi e pensosi tomi di filosofi, mentre oggi per fare politica è sufficiente un buon leader carismatico, capace di giocarsi la carta del populismo. E anche questo non è vero, la politica dev'essere fatta di idee, soprattutto di idee.
Fortunatamente, se guardo a come si sta muovendo Obama, mi sento un tantino confortato.