Una storia di guerra ordinaria

Accadde in un’altra guerra. Non in questa che c’è adesso.

Argo lavorava in un centro commerciale. Rea, la sua fidanzata, aveva un banchetto della frutta al mercato di Portici, che gestiva assieme alla madre.
Erano innamorati l’uno dell’altra, e si sarebbero sposati entro l’anno.
Quando scoppiò la guerra del 2016, Argo si arruolò in marina e venne imbarcato su un cacciatorpediniere. Non poteva mandare a Rea delle mail, le zone di guerra ora erano schermate, sia per evitare la fuoriuscita di informazioni pericolose sia per i contratti che l’esercito aveva firmato con i network delle telecomunicazioni.
Si era tornati alle vecchie lettere, scritte a mano, ma le lettere impiegavano molto tempo ad arrivare, qualche volta non arrivavano addirittura perché qualcuno le aveva bloccate (ed era strano essere vissuti per anni in una società completamente aperta e dover fare ora i conti con la censura, parola di cui molti ignoravano persino il significato).
Comunque la prima lettera che Argo ricevette da Rea, diceva pressappoco così (per quanto io possa ricordare):

caro Argo
amore mio. Ogni giorno che passa per me è un tormento, senza di te. Ho tanta voglia di sentirti vicino, vorrei che ci fossimo sposati prima della partenza e sto contando i giorni in attesa del tuo ritorno. Guardo sempre la tv e prego che non trasmettano brutte notizie, ma poi mi faccio forza perché sono sicura che presto sarai di nuovo a casa e questa guerra ci sembrerà solo un brutto ricordo. Alla tv dicono che presto avremo vinto, io spero tanto che sia così, il nostro pensiero, mio e dei miei genitori, è sempre con te e con mio fratello che ci scrive dal fronte siriano. Per quello che mi hai scritto l’ultima volta non devi tormentarti con queste sciocchezze, anche se so che sono il frutto del tuo amore, e pensare solo a riguardarti e a stare attento. Anche per me è doloroso non averti vicino, ma nel mio cuore ci sei solo tu, e perciò ti prego non dubitare di me, mai.

L'accenno al matrimonio rimandato non sono sicuro che ci fosse; forse era stato Argo a parlarmene, ed è possibile che mi confonda. Forse era un pensiero di Argo, non di Rea. Penso che se fossero già stati sposati lui si sarebbe sentito un po’ meglio, perlomeno.
Comunque, l’essenziale è che Argo era geloso. Irragionevolmente geloso. La vita militare non gli pesava molto in sé, del resto sapeva di avere avuto fortuna con la destinazione perché lì la guerra non si sentiva come altrove. Ma il pensiero della fidanzata non lo lasciava un istante. Si consumava nel suo ricordo, soffriva come un cane. E il peggio era che non riusciva a sfogarsi con nessuno, perfino io facevo fatica a sopportarlo. Molti di noi erano innamorati, molti avevano lasciato, oltre alle mogli, anche i figli, o i genitori malati, ma rodersi in quella maniera era troppo, rendeva quella vita di attesa e di pericolo insopportabile. Così Argo se ne stava chiuso nel suo silenzio per la maggior parte del tempo, schivato da tutti, e nei periodi di calma si dava da fare più del dovuto. Chi non lo conosceva bene pensava che fosse uno di quei fanatici a cui la guerra piace, ma io so che non è così.
Poi un giorno ricevette una lettera particolare. La flotta a quel tempo era in procinto di smobilitare, la nuova destinazione sarebbe stata il Mar Nero. La lettera in questione diceva più o meno questo:

caro Argo
ho saputo che la licenza è stata revocata. Adesso hai bisogno di tutta la forza e la concentrazione possibili per superare questa prova che il Signore ti impone. Io prego sempre per te e so che andrà tutto bene, non mi chiedere come faccio a saperlo, devi avere fiducia così come l'ho avuta io e continuare ad averla. E adesso purtroppo devo dirti una cosa terribile. Mio fratello è morto, l’abbiamo saputo qualche giorno fa e io non avevo neanche la forza di scriverti; poi ho pensato che era tutto uno sbaglio e che presto avrei ricevuto di nuovo sue notizie. È morto senza soffrire, questo siamo riusciti a sapere, con una pallottola al petto, durante un pattugliamento. Io e i miei genitori non abbiamo più pace. Qualche giorno fa è venuto a trovarci un ragazzo che era con lui al campo di addestramento di Fossano. Non sapeva nemmeno che fosse morto, c’è stato malissimo quando glie l’abbiamo detto. Per lui la guerra è finita. Gli è scoppiata vicino una granata e ha perso un braccio. Dice che Carlo gli parlava di me giorno e notte. È molto commovente e piange spesso quando ci viene a trovare, ora sta a Caserta da una zia. Piange spesso anche per mio fratello. Mi fa una gran pena, mi ricorda tanto Carlo e noi vogliamo sempre che ci parli di lui. Povera mamma! E poveri tutti noi, che non riusciamo più a trovare pace e consolazione! Ma io non voglio angustiarti con i miei dolori…

eccetera. Dopo di allora le cose per Argo andarono peggio di prima. La notizia della morte del fratello di Rea non lo aveva colto impreparato, perché la morte è un pensiero al quale in guerra ci si abitua. Tante volte si era immaginato di quando lui, vecchio, con i figli grandi e la moglie una tranquilla e modesta signora piena di grazia si sarebbe recato, in certi sabati pomeriggio, alle tombe dei suoi amici commilitoni. S’immaginava rugoso, pieno di dignità, a sostare in silenzio in un cimitero circondato dal verde, in campagna. S’immaginava un certo tipo di cimitero, come quelli che si vedono nei film americani, diciamo, anche se il cimitero del suo paese era molto differente, c'erano tombe di diversa grandezza, non tutte uguali, e il verde non era così curato.
Più o meno tutti quelli che erano come lui, di indole solitaria, facevano pensieri del genere. Ma ovviamente si tenevano tutto dentro e noi si poteva solo tirare a indovinare.
Adesso me lo figuro, ciò deve avere provato. Allora, ero troppo preoccupato a tenermi a galla io stesso. Io la paura l’esorcizzavo con lo spirito di corpo, l’obbedienza agli ordini e occasionalmente inalando tritanolo. I suoi pensieri da quel giorno devono essere cambiati. Devono avere passato quella soglia oltre la quale la mancanza di ragionevolezza e buon senso diventa pura e semplice patologia. Me ne fece solo intravvedere qualche pezzetto, durante il breve tempo che trascorremmo ancora assieme. Un giovane militare senza un braccio che accarezzava il volto di Rea, che poi le prendeva una mano, e piangeva in silenzio. Un militare con il sorriso uguale a quello del fratello. Rea mossa da pietà, il militare che accarezza il suo corpo nudo.
Dopo la guerra ho visto un film che raccontava la storia di un tizio che ad un certo punto perde un braccio. Lei - l'attrice - diceva che un braccio monco è come una zampina di tartaruga. Non tanto impressionante. Che fare l’amore non è così difficile, ovviamente con un certo grado di affiatamento.
Comunque, questo era più o meno quello che pensava Argo, dalla mattina alla sera. Poi non mi fece leggere più nessuna lettera, e io ero, si può dire, il suo amico più intimo. Forse le stracciava senza leggerle, per paura di trovarci dentro la conferma di quello che, lì in mezzo al mare, poteva solamente immaginare.
L’ultima volta che andò sull’argomento disse che ai genitori di Rea quella situazione non doveva dispiacere nemmeno troppo, perché anche con un braccio solo un uomo al mercato è sempre utile, e poi lui lo capiva che loro fossero in cerca di un sostituto del figlio morto.

Una notte, a una giornata di navigazione dall’ultimo porto dove avevamo fatto scalo, i terroristi riuscirono a passare attraverso lo schermo dei nostri radar e satelliti, si lanciarono contro la nave con due motoscafi pieni di esplosivo. Tutti si precipitarono alle scialuppe. C’è chi dice di aver visto Argo urtato da un marinaio gigantesco, perdere l’equilibrio e cadere in mare, forse battendo la testa sulla fiancata, e andando subito a fondo perché non indossava il giubbotto salvagente. Ma secondo altri la colpa della caduta è dovuta ad una seconda esplosione, in sala macchine, che fece inclinare la nave. Per quanto mi riguarda, a me è sembrato di vederlo a poppa, impietrito in mezzo alla confusione. Però non c’era tempo da perdere, corsi con tutti gli altri, e riuscii a salvarmi.
Certo la sua condotta si era fatta parecchio strana negli ultimi tempi. Spesso ho avuto la sensazione che volesse morire. Ma se volesse finirla lì così, io non sono in grado di dirlo con certezza.
In quanto alla sua famiglia, non sono mai andato a trovarla. Hanno già un reduce tra i piedi, mi son detto, e tanto basta. Se poi ce l’hanno davvero.

Questo comunque accadde in un’altra guerra. Non in questa in cui ho perduto mio figlio.

Da "La calda notte degli avatar".

Zora la vampira

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Siccome in questo blog c'è una enorme sproporzione fra gli accessi alle pagine che ospitano fotografie o argomenti "seri" (come Alex Langer o Baumann) e quelli alla pagina che ospita il dipinto erotico giapponese "La pescatrice e la piovra", ho deciso di dare a quest'ultima una possibile concorrente. Si tratta di Zora la vampira, che ha colonizzato l'immaginario erotico di noi bambini cresciuti negli anni '70. Alcune di quelle pagine mi hanno decisamente shockato, e non mi riferisco al sesso, piuttosto alla crudeltà. Però, bisogna ammettere che gli sceneggiatori avevano molta fantasia. E poi all'epoca non c'era internet, la pornografia te la dovevi sudare, nascondendoti nei recessi di qualche compravendita di libri e fumetti usati per sfogliarla di nascosto.
Il delizioso senso del proibito di quelle mezz'ore (quando non ci cacciavano prima)! Unito, a volte, ad una vaga sensazione di disgusto, dopo.
Alcune di quelle pagine me le ricordo come fosse ieri, il che non si può dire di tante pagine di Proust.