Più lenti, più dolci, più profondi


Mai parole mi sono sembrate più vere e inattuali. Di fronte alla crisi economica (che passerà, certo, s'è mai vista crisi che non passa?) le risposte sono quelle di sempre: più produttività, più velocità, più lavoro, più pil. Più Macchina.

Ci dev'essere anche una ragione psicologica dietro a tutto questo: sono sempre più convinto che i decisori soffrano di horror vacui, non siano in grado di rimanere più di cinque minuti soli con se stessi in una stanza o in un sentiero, né riescano a relazionarsi con il prossimo senza la mediazione del "fare".
Dunque, più veloci, e necessariamente più duri e più superficiali. E' la metafora nascosta dietro l'aeroplano che si è schiantato ieri in West Virginia: il proprietario, un ultrasettantenne, aveva ammesso prima del decollo di averlo modificato per renderlo più veloce.

Poi ci sono i correttivi di facciata, del tipo: spostare le festività alla domenica. Certo, non rimanere a casa il giorno del patrono darà alla Macchina la spinta fondamentale per rimettersi in moto!

Ma anche certe richieste estemporanee della società civile lasciano il tempo che trovano: tagliare i costi della politica. Benissimo, perché non tagliare anche quelli dei manager? Mica perché debbano guadagnare quanto un tranviere, intendiamoci, sarebbe sciocco populismo. Solo per ridurre un poco quel divario sociale che trascina con sé emulazione, conflitto, l'inseguimento e la corsa dei topi in cui stiamo dentro (quasi) tutti.
Ma no, la figura del dirigente privato è ancora carica di carisma, ovviamente, si pensa che quelli siano soldi suoi. E le rendite delle speculazioni finanziarie? Intoccabili.
In fondo è mestiere del politico quello di farsi sparare addosso. I veri padroni della Macchina se ne stanno al sicuro, non si sa dove vivano, e anche se lo si sa, suscitano nel contado lo stesso timore reverenziale degli antichi castellani e la stessa ammirazione delle rockstar (Montezemolo! Marchionne! Come ieri: Berlusconi! Gardini!?!! Tanzi...!????).

Non ho mai pensato a Langer come a un profeta, forse perché non si atteggiava a profeta. Era un ammiratore di san Cristoforo, un santo raffigurato sui muri delle chiese dell'Alto Adige sempre in cammino, con il Bimbo sulle spalle. Usava la parola "ecologia" e oggi vengono i brividi solo a sentirla. Il suo era un linguaggio moderato, non si scagliava, non fustigava, non era realmente un utopista, diceva cose di buon senso, solo l'ignavia dei nostri tempi poteva scambiarle per altro.
A volte pervase da un afflato "religioso" (lui cattolico, anche se per metà ebreo).

Oggi, però, non posso fare a meno di pensare che sia uno dei pochi grandi uomini nei quali mi sono imbattuto.

Quindi giù il cappello di fronte al Viaggiatore leggero.

...Ecco perchè mi sei venuto in mente tu, San Cristoforo: sei uno che ha saputo rinunciare all'esercizio della sua forza fisica e che ha accettato un servizio di poca gloria. Hai messo il tuo enorme patrimonio di convinzione, di forza, e di auto-disciplina a servizio di una Grande Causa apparentemente umile e modesta. Ti hanno fatto - forse un po' abusivamente - diventare il patrono degli automobilisti (dopo essere stato più propriamente il protettore dei facchini): oggi dovresti ispirare chi dall'automobile passa alla bicicletta, al treno o all'uso dei propri piedi! Ed il fiume da attraversare è quello che separa la sponda della perfezione tecnica sempre più sofisticata da quella dell'autonomia dalle protesi tecnologiche: dovremo imparare a traghettare dai tanti ai pochi chilowattori, da una super-alimentazione artificiale ad una nutrizione più equa e più compatibile con l'equilibrio ecologico e sociale, dalla velocità supersonica a tempi e ritmi più umani e meno energivori, dalla produzione di troppo calore e troppe scorie inquinanti ad un ciclo più armonioso con la natura. Passare, insomma, dalla ricerca del superamento dei limiti ad un nuovo rispetto di essi e da una civiltà dell'artificializzazione sempre più spinta ad una riscoperta di semplicità e di frugalità. Non basteranno la paura della catastrofe ecologica o i primi infarti e collassi della nostra civiltà (da Cernobyl alle alghe dell'Adriatico, dal clima impazzito agli spandimenti di petrolio sui mari) a convincerci a cambiare strade.Ci vorrà una spinta positiva, più simile a quella che ti fece cercare una vita ed un senso diverso e più alto da quello della tua precedente esistenza di forza e di gloria. La tua rinuncia alla forza e la decisione di metterti al servizio del bambino ci offre una bella parabola della 'conversione ecologica>' oggi necessaria.


Il viaggiatore leggero- Scritti 1961-1995, Alexander Langer,Sellerio editore, Palermo,2011


La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta.
La paura della catastrofe, lo si è visto, non ha sinora generato questi impulsi in maniera sufficiente ed efficace, altrettanto si può dire delle leggi e dei controllo; e la stessa analisi scientifica non ha avuto capacità persuasiva sufficiente. A quanto risulta, sinora il desiderio di un’alternativa globale – sociale, ecologica, culturale – non è stato sufficiente, o le visioni prospettate non sufficientemente convincenti. Non si può certo dire che ci sia oggi una maggioranza di persone disposta ad impegnarsi per una concezione di benessere così sensibilmente diversa come sarebbe necessario.
Né singoli provvedimenti, né un migliore “ministero dell’ambiente”, né una valutazione di impatto ambientale più accurata, né norme più severe sugli imballaggi o sui limiti di velocità – per quanto necessarie e sacrosante siano – potranno davvero causare la correzione di rotta, ma solo una decida rifondazione culturale e sociale di ciò che in una società o in una comunità si consideri desiderabile.
Sinora si è agiti all’insegna del motto olimpico “citius, altius, fortius” (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la mobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana ed onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in ”lentius, profundis, suavius” (più lento, più profondo, più dolce”), e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso.
Ecco perché una politica ecologica potrà aversi solo sulla base di nuove (forse antiche) convinzioni culturali e civili, elaborate – come è ovvio – in larga misura al di fuori della politica, fondate piuttosto su basi religiose, etiche, sociali, estetiche, tradizionali, forse persino etniche (radicate, cioè, nella storia e nell’identità dei popoli). Dalla politica ci si potrà aspettare che attui efficaci spunti per una correzione di rotta ed al tempo stesso sostenga e forse incentivi la volontà di cambiamento: una politica ecologica punitiva che presupponga un diffuso ideale pauperistico non avrà grandi chances nella competizione democratica.


Notizie verdi, Roma, 1998.