Ho iniziato "Libertà", di Jonathan Franzen, e ora del prossimo post l'avrò anche finito. E questa è una delle prerogative dei (due) libri (più famosi) di Franzen: quando li inizi li divori. E' stato così anche per "Le correzioni", superato lo scoglio delle prime due pagine (non sempre gli incipit sono la cosa più riuscita in un lungo romanzo). In questo senso Franzen è un formidabile narratore: pur essendo uno degli alfieri del "grande romanzo americano", il romanzo che ha l'ambizione di dipingere un affresco sociale (ed epocale), lavora sulle storie e sui personaggi, in particolare sui dialoghi, credibili e convincenti.
Come nella migliore tradizione, dunque (la tradizione ottocentesca), le storie di Franzen sono storie di famiglie. Anche in questo caso, come ne "Le correzioni", siamo in presenza di una saga familiare, con un numero di protagonisti un po' più ridotto rispetto all'opera precedente (dove erano almeno cinque: due genitori, tre fratelli). Qui al centro dell'attenzione ci sono Walter e Patty, conosciutisi all'università del Minnesota e divenuti marito e moglie dopo il serrato corteggiamento di lui (serrato fino al vassallaggio) e nonostante le molte perplessità di lei. Attorno, ovviamente, una vasta galleria di personaggi: i figli, i genitori, i vicini di casa, l'amico del cuore di Walter, Richard, eterna aspirante rockstar con dipendenza dal sesso (uno dei caratteri più riusciti). Il periodo storico va essenzialmente dai primi anni '80 ai 2000, ma non vi sono (almeno fino a dove sono arrivato con la lettura) vere e proprie digressioni, semmai dettagli seminati qui e là che aiutano a collocare storicamente la vicenda della famiglia Berglund (i Buzzcocks, la Tatcher, Clinton, le due torri ecc.)
La trama è inutile riassumerla: la si ritrova in molti siti, peraltro. Piuttosto, che cosa rende così speciale e così leggibile un romanzo del genere? Che cosa rende Franzen un autore degno della copertina del Time, onore riservato a pochi scrittori? Innanzitutto, suppongo, il fatto di parlare di cose che toccano tutti (tutti noi, noi lettori occidentali, diciamo) e di farlo in maniera credibile. E questa, per quanto mi riguarda, è la differenza che passa fra il leggere un buon libro di un autore americano e il leggere un buon libro di un autore libanese o tanzaniano. Franzen racconta di famiglie: come nascono, come proseguono il loro cammino, come si logorano, come esplodono in seguito, ad esempio, al rapporto con i figli, agli errori commessi quasi sempre involontariamente (nella fattispecie, quelli commessi da Walter e Patty con il figlio minore, che ad un certo punto spietatamente li lascia per andare a vivere con i detestati vicini di casa). Racconta i rapporti interpersonali: amori, tradimenti, frustrazioni, dipendenze varie, desideri coltivati per vent'anni e che poi si realizzano in una notte (quello che Patty coltiva per Richard, dai tempi dell'università, fino a quando, vent'anni dopo, finalmente lui se la scopa, o lei si scopa lui). Basta questo? Certo che no. Tutto questo materiale deve essere trattato con mano ferma e disciplina. Franzen, del resto, di tempo ne ha avuto, 9 anni. Ci vogliono mano ferma e disciplina per raccontare le cose da diversi punti di vista, ad esempio: la storia parte con la narrazione in terza persona e continua così ma da un certo punto in poi si riporta il diario scritto da Patty su suggerimento del suo analista. Lo sguardo rimane in qualche modo "esterno" - la narrazione è sempre in terza persona anche se l'autrice del diario non si nasconde - ma al tempo stesso diventa partecipe, diventa lo sguardo di una parte in causa. A volte dimentichi che è Patty a parlare e a volte no. E funziona.
Va bene, e poi? Poi c'è lo sguardo di Franzen sui suoi personaggi: non è consolatorio, non è moralista, non è romantico, nemmeno clinico o spietato. E' lo sguardo "alla giusta distanza" del narratore naturalista. Franzen ci sembra dire che le cose che accadono, che le scelte che le persone fanno nel corso della loro vita, hanno spesso ragioni e moventi diversi da quelli palesi. Magistrale il momento in cui Patty, dopo un disastroso viaggio in automobile fino a Chicago con Richard, dopo essere sbarcata in piena notte in una casa di simil-punk disastrati nel cuore di un quartiere malfamato, dopo essere stata rifiutata dal ragazzo dal quale si sente così attratta, il caustico, sensuale rockettaro, dopo avere saltellato con le sue stampelle fino ad una lercia locanda per mandare giù tre tacos, dopo una raggelante telefonata alla madre, decide di prendere un pulmann per andare a gettarsi fra le braccia di Walter, il buon Walter che vorrebbe fare l'attore ma studia legge e si ammazza di fatica con lavori vari per mantenere i suoi genitori, e che sta vegliando il padre ormai in punto di morte. E nonostante tutto questo, nessun afflato decadente. Perché nonostante il motel raffazzonato in cui consumano le loro prime notti d'amore, nonostante l'iniziale moto di gelosia di lui (nei confronti di Richard), nonostante il padre di Walter passi nel giro di pochi giorni a miglior vita, lì si apre per Patty uno dei periodi più belli della sua vita (anche se destinato a finire).
Ma il punto è anche un altro, e cioè che dei moventi nascosti o impliciti le persone non sono in genere perfettamente consapevoli: a volte li ignorano, oppure li tengono a bada, li aggirano, e a volte inventano scuse, costruiscono narrazioni alternative, e a volte ancora cambiano idea con il tempo, ci ritornano su, dimenticano.
Questo sul piano della psicologia dei personaggi, che è messa a fuoco straordinariamente bene, e con la quale, appunto, pagina dopo pagina, ci confrontiamo, noi oziosi lettori dell'Occidente opulento che non possiamo rispecchiarci nelle storie delle profughe somale o dei perseguitati politici rumeni (quelle storie - spesso appassionanti - le leggiamo per un altro motivo, per scoprire ciò che è altro da noi. Va detto peraltro che questa è una delle critiche mosse a Franzen anche negli Usa: scrive di cose scontate, chissenefrega delle crisi coniugali della famiglia media, le abbiamo già viste, ci interessa di più la mafia russa).
Poi c'è la metalettura, antropologica, sociale, "politica". Il tema è esplicitato dal titolo, è la libertà e in effetti i personaggi del romanzo si muovono con una libertà sconosciuta a, poniamo, una giovane donna cambogiana o un giovane uomo ugandese. E dunque: visto che sono libero, come devo vivere? I personaggi di Franzen non sono i disadattati di Carver, che riescono a malapena ad articolare qualche discorso di senso compiuto attorno alla pesca o all'arte della pasticceria: sono esponenti della middle-class, sono persone che leggono, che vanno a teatro, che hanno opinioni politiche (bellissima a proposito la descrizione della cena durante la quale l'ingenuo, idealista Walter cerca di descrivere alla famiglia di Patty, la madre una politicante in ascesa, il padre un semialcolizzato che semina sarcasmo distruttivo a destra e a manca, la sorella una snob ignorante e viziata - insomma, uno spietato ritratto dell'aristocrazia liberal - le idee del Club di Roma). Franzen ci mostra però come le esistenze delle persone spesso non corrispondano esattamente alle idee professate né ai loro riferimenti culturali: sia in senso oggettivo (nei suoi romanzi ritorna frequentemente il tema della corruzione, assieme a quello dell'ecologia), sia sul piano psicologico. Il Walter giovane, ad esempio, è un convinto sostenitore della necessità della decrescita demografica, velatamente ammira la "via cinese" (la politica del figlio unico), e si batte per la parità fra i sessi: ma accetta senza battere ciglio il programma di vita di Patty, metter su casa, fare figli e dedicarsi a pieno titolo al suo ruolo di madre.
E la libertà? La libertà e tutt'attorno, appunto. E' l'humus, è lo spazio sociale in cui si muovono i personaggi, una libertà alla fin fine condizionata, come in "Le correzioni", dalle esperienze che hanno avuto da bambini e da ragazzi, con i genitori, con i fratelli e le sorelle, prima ancora che, astrattamente, dalla classe sociale o dal reddito (pur essendo questi fattori molto ben delineati). La libertà infida e pericolosa di chi vive senza sapere tutto, la libertà che consente ogni sorta di affare spegiudicato, la libertà che porta al governo i neocon dopo l'11 settembre...
Ma non voglio addentrarmi troppo sulle questioni politiche perché lo hanno fatto in molti anche sui nostri giornali e sembrerebbe, leggendo quegli interventi, che si stia parlando di un romanzo appunto politico, mentre non è così, anche se certo, come in ogni grande scrittore le vicende minime narrate nel romanzo rimandano a qualcosa di più vasto.
Last but not least il linguaggio; anche qui, qualcuno ha rimproverato all'amico di Foster Wallace di non avere uno stile abbastanza sperimentale, inquieto, postmoderno. Ed è vero: Franzen scrive dei dialoghi efficacissimi, le sue descrizioni sono precise, "vere", il ritmo della scrittura è sempre serrato e tiene avvinto il lettore (Franzen potrebbe scrivere ottime sit-com), ma non è sperimentale. E' un limite? In questo genere di narrativa direi di no: è il linguaggio del "grande romanzo familiare (americano)", appunto. Certo, De Lillo in "Underworld" ha osato di più; e certi passaggi di memorabile lirismo propri di quel romanzo (compresa la sua chiusa, sulla parola "pace"), in "Libertà" non li abbiamo. Al tempo stesso, però, abbiamo qualcos'altro rispetto a quel senso di tragedia imminente: abbiamo il sorriso consapevole di chi osserva la commedia umana, senza condannare nessuno e però senza fare sconti alle debolezze di nessuno.