Passa una nuvola

(pillole...)

Passa una nuvola davanti alla luna piena, poi torna luce diffusa, alberi e asfalto.
Motivi per essere felici ce ne sono a bizzeffe, sopporta la lingua questa parola desueta? Espressioni del passato dei nostri padri ricompaiono nelle nostre bocche contemporanee, emozioni del passato dei padri senza internet e con poca tv nel presente dei figli, l'emozione di un sorriso, una carezza, l'ombra che una pianta stentata proietta per terra e fra le righe, bianche o gialle, la ricchezza dell'intimità. Lui pensa che le cose che danno gioia non cambiano mai, che da quella prospettiva il mondo potrebbe non essere cambiato molto, rispetto, diciamo...agli anni '40? Tranne la segnaletica, tranne i materiali e i bidoni per la raccolta differenziata.
C'è una chiesa alle loro spalle, c'è una pieve solitaria cintata da un muro e un cimitero all'esterno; dietro ancora, lo sprofondo, il buio del baratro a precipizio sulla città.

Passa un'altra nuvola davanti alla luna piena, solo un frammento di nuvola, un pennacchio di fumo, lui sta pensando a cose che non c'entrano nulla come elicotteri o cani, ma il cane c'è davvero, eccolo che compare sulla scena, incalzato dal padrone, si fanno piccoli dentro lo spazio angusto ma sono, nonostante tutto, perfettamente visibili.
L'emozione del riso che scoppia nel silenzio, una bolla sospesa a mezz'aria, il piacere puro della compagnia, la commedia. Il lato comico dell'esistenza, fatto di equivoci, figure fisse, sotterfugi, coppie infrattate, né troppo crudele né troppo innocente.
Poco lontano da lì sta iniziando una partita, campo di erba sintetica, i giocatori si riscaldano, piegano il busto, toccano con la punta delle dita la punta delle scarpe, poco lontano, ma non lì. Loro sono al riparo, fra le due righe bianche tracciate sull'asfalto.

C'è una canzone che parla di una notte in Italia, in un parcheggio in cima al mondo, rotola lenta da un orecchio all'altro, emisfero sinistro, emisfero destro, lei non si ricorda mai qual è quello duro, esatto, razionale, qual è quello morbido, onirico, etrusco, soddisfatta della posizione decide di rimandare il momento in cui avvolgerà la sciarpa di seta attorno al collo, nascondendo macchie di morsi.
Passa di nuovo il cane, passa il suo padrone, lasciano la scena, infilano la salita che conduce al paese.

Sua madre le aveva raccontato delle balere improvvisate un po' ovunque nei quartieri alla fine della guerra, anche in frazioni come questa, quattro case e una scuoletta, la messa e il ballo, le occasioni per incontrarsi, per scambiarsi sguardi minacciosi, ardenti, "temimi", "ti voglio", stai alla larga", "deciditi". Lei usa un'espressione licenziosa, sopporta la lingua dei computer questo aggettivo? Lui si sente autorizzato a rilanciare, i vetri si sono appannati, sul loro fiato lei disegna una nuvola, lui la sgrida, tenzone risolta in un bacio.

Passa un'altra nuvola davanti alla luna piena, uomo e cane sono già arrivati al campo da calcio, l'arbitro dà il fischio d'avvio, undici contro undici sull'erba sintetica finanziata dal Comune prima delle ultime elezioni.
Nelle balere i giovani si pavoneggiavano, sigaretta fra le labbra, volteggiare di gonne, i padri delle figlie scrutavano torvi, ex-soldati ed ex-partigiani, qualche mitra non consegnato nascosto in cantina, qualche caricatore per ogni evenienza, fervore di ricostruzione nell'aria, il vino spillato dalle botti, le sezioni di partito, immagini forti e semplici sui manifesti elettorali che si scollano dai muri.
Lui scende e s'infila la camicia dentro i pantaloni. La città giù in fondo, nella valle, dove la montagna precipita, attraversata da vene e arterie e capillari di luci, che s'inerpicano su per l'altro versante, verso altri paesi tessere di ambienti urbani seminate fra i campi di patate, separate da boschetti, poi più su ancora solo i pini, la roccia.

Torna dentro e accende il motore, fari sulle vecchie pietre. Lei ha la sciarpa attorno al collo e sorride. Passa un'altra nuvola davanti alla luna, è solo un profugo, il cielo è aperto e luminoso, e domani venerdì.