Tory Hans II



Cap. II

Le lingue


Quand’era estate Tory Hans accompagnava il padre sui pascoli trasognati che, dalla cima erbosa del monte di Villandro, digradano fino ai boschi da cui si origina il rio Tina, il quale precipita spumeggiando per una stretta gola e sfocia a Klausen, dai tetti irti, Klausen dei prelati e dei pittori, degli ospizi per i viandanti, delle parole sussurrate all’orecchio. Presto il padre si rese conto che la vista prodigiosa di cui la natura aveva dotato il figlio rendeva superflua la sua presenza. All’età di sette anni, Tory Hans era in grado di intuire con molte ore di anticipo se sul pascolo si sarebbe scaricata una bufera, col suo corredo di grandine e folgori. Gli era sufficiente osservare per qualche minuto le nuvole per capirlo. Come avanzavano compatte dietro la barriera dei monti di Pfunders (che il padre non riusciva a mettere a fuoco, benché s’alzasse in punta di piedi strizzando gli occhi), quanto tempo ci impiegassero ad abbracciare le guglie capricciose delle Odle (che per il padre erano solo una pallida massa sfocata di rocce dolomitiche), e che colore assumevano, infine, i loro strati superiori e quelli inferiori, quando gravavano cupe sul Montaccio (ma a quel punto Vater Taag solitamente aveva già sospinto le bestie dentro la malga).
Tory Hans sapeva inoltre individuare con precisione infallibile la presenza dei lupi, e all’occorrenza, abbattere con una fionda gli uccelli in volo. In grazia di ciò, fin dall’età di sei anni il padre gli consentì di condurre da solo gli animali all’alpeggio. Il ragazzo non temeva la solitudine. Restava in malga tutta la stagione, e il padre, ogni settimana, saliva dal fondovalle a portargli le provviste.

Nel corso di quelle lunghe estati assolate, rotte all’improvviso dal fragore dei temporali, per poi placarsi, stremate, all’arrivo della notte, che confonde angoli e contorni, Tory Hans fece conoscenza con le lingue antiche, codificate dalla tradizione secolare, le lingue delle rocce e dei sassi della montagna. Cominciò dal porfido rossigno, dai massi che s’accatastano ai piedi dei colli, coperti di licheni. S’accostò alle frane, ai pilastri, ai diedri, agli spigoli, e udì il borbottare del porfido, come di una zuppa che ribolle nella pentola. Il porfido gli parlò di vulcani e di lava che cola pigramente, per chilometri, che si raffredda, stagione dopo stagione, che si rafforza; ma il ragazzo sentì anche, più sotto, seminascosta dal brontolio della voce principale, una voce più sottile, quella del quarzo, che in un’altra lingua diceva: senza il mio contributo non saresti così duro e resistente!
Per secondo venne il granito, che si esprime con suoni sordi. Tutto ciò che raccontava il granito aveva la cadenza epica delle leggende. Alte temperature, profondità abissali. E infine, una forza enorme che spinge le masse rocciose in superficie, dove vento e pioggia le puliscono dai residui, affinché svettino, vertiginose, sotto l’occhio vigile del sole preistorico.
Quand’era stanco delle vanterie del granito, Tory Hans prestava orecchio a quella lingua gentile le cui parole gli giungevano, a volte, dall’altra parte della valle, assieme al vento. Presto fu in grado di decifrare anch’essa, la lingua delle formazioni sedimentarie, divisa in tanti dialetti. L’arenaria sembrava avesse sempre la bocca impastata, e gli strati di Werfen la sfottevano con la loro pungente ironia. Le dolomie, che amano gli scherzi e i discorsi frivoli, riportavano i pettegolezzi uditi dai branchi di molluschi, dalle madrépore, dalle alghe.
Arrivato al suo terzo, o quarto pascolo estivo, Tory Hans riuscì da ultimo a tradurre qualche parola della lingua in assoluto più difficile fra le parlate diffuse a quella latitudine, la lingua delle rocce metamorfiche, che presenta numerose varianti e prende spesso a prestito espressioni e motti dalle sue sorelle. Il ragazzo era incuriosito da quel tanto di precario che s’intuiva esservi in essa; decifrò confusi sproloqui di sfasciumi, storie di enorme pressione, movimenti della crosta terrestre, sfaldamenti e crolli. Fece domande indiscrete a Filladi scontrose, a Gneiss promiscui, a Micascisti. Visitò cave scoperchiate, dove i marmi custodivano il segreto della fatica umana e del pericolo. Rise dei suoi successi, le spalle si abbronzavano. Era contento.

Queste le lingue che Tory Hans imparò a parlare da ragazzo, quando portava le bestie al pascolo sul monte di Villandro. E talvolta le rocce, tutte insieme, si divertivano a prenderlo in giro, raccontandogli di vermi giganteschi dalla testa di gatto che vivono in profonde grotte (3), di laghi nascosti nel cuore di montagne remote (4).

Ma il maestro della scuola elementare di Sarnburg non era affatto entusiasta dei progressi di Tory Hans con le lingue delle rocce. “Malgaro Occhio di Falco” l’aveva soprannominato.
“Malgaro Occhio di Falco ha delle strane teorie, per la testa!”.
La ragione di questa diffidenza erano le mezze frasi che talvolta Tory Hans si lasciava sfuggire al cospetto dell’intera classe; frasi che diceva di aver sentito pronunciare, appunto, sulle montagne. Le frasi, a poco a poco, divennero discorsi compiuti, con un capo e una coda. Il più tremendo (alle orecchie del maestro) incominciò così:
“Le rocce, come gli uomini, parlano lingue diverse. E così gli animali e le piante”.
“Bella scoperta” lo punzecchiava il maestro.
“Ma la spiegazione è scritta nella Bibbia”.
“Davvero? Sono tutt’orecchi!”.
“Quando Dio vide che gli uomini si avvicinavano alla volta del Cielo con la loro torre, pensò: confondiamo le loro lingue, così che non si comprendano più l’uno con l’altro. Questa maledizione si è abbattuta sugli uomini, seminando confusione e sgomento. Ma la confusione che è regnata da quel giorno fra gli uomini si riflette su tutto il Creato, perché il Creato partecipa dell’arroganza degli uomini che costruirono la torre; di conseguenza anche gli animali (che trascinarono i carri colmi del materiale da costruzione per la torre), le piante (i cui frutti nutrirono i costruttori della torre) e le rocce (la torre in sé) non possono che parlare lingue diverse”.
L’idea che gli animali e perfino le cose mute potessero parlare, oh, non era questa a fare innervosire il maestro; fantasie del genere sono comuni a quasi tutti i figli dei pastori, così come le superstizioni e i pensieri impuri. Ma che la molteplicità delle parlate fosse conseguenza di una maledizione divina, ecco, questa sì era una conclusione difficile da digerire per lui (parlava correttamente tre lingue e ne comprendeva altrettante).
“Le bugie - sbottò, incollerito - è il Diavolo a suggerirtele, quando te ne stai troppo a lungo lassù da solo. E bada, questo è solo l’inizio. Il Diavolo può suggerirti cose ben peggiori!”.

Il maestro mise in giro la voce che forse nella vista tanto acuta del ragazzo c’era lo zampino di Satana (Povero maestro. Dopotutto aveva consacrato la sua giovinezza proprio allo studio delle lingue straniere. Aveva soggiornato a München, città che in cuor suo detestava, e a Napoli, il cui ricordo lo faceva ancora trasalire. Le conoscenze di cui si faceva vanto gli erano costate sudore e fatica. Come poteva accettare che un ragazzino senza peli sostenesse candidamente la tesi per la quale le lingue sono conseguenza di una punizione divina? Tantopiù che quella tesi, così semplice, così elementare, gli sembrava, oh, orribile ammissione, inattaccabile dal punto di vista teologico. O meglio: ad essa era possibile replicare solo con la calunnia).
Ma la calunnia giunse al fratello maggiore di Tory Hans, che si sentì in dovere di intervenire. Con la complicità della sua banda, rapì il maestro e lo nascose, ben legato, in una baita nel bosco. Indi gli tolse le scarpe e cosparse i suoi piedi di sale. Chiamò le capre, ed esse cominciarono a leccare il sale con le loro lingue ruvide. Il maestro non sopportava il solletico.
Dopo un po’, allontanarono le capre e fecero respirare la vittima. Quindi il fratello le chiese :”Ammetti, adesso, che le lingue sono una maledizione, divina, e che possono perfino uccidere?”.
“Non è questo il punto!” s’impuntò il maestro.
Allora sparsero nuovo sale sui suoi piedi e lasciarono che le capre ne leccassero a volontà.
Se ne andò ridendo, la sua scomparsa non destò sospetti.

Foto: alpe di Villandro, Sarntal.
(pubblicato a puntate su "L'Adige", circa estate 2000...divertissement tirolese...)
Prima puntata qui