Tutto questo per introdurre il blog più peso che abbia scritto finora, ovviamente.
La seconda riguarda la mia educazione. Non ho ricevuto un'educazione particolarmente religiosa, ma neanche anticlericale. Suppongo sia stato un vantaggio. Mia madre venne allevata dalle suore - era rimasta orfana - e non ne conservava un buon ricordo. Diciamola tutta: ricordava le loro crudeltà. Ma mi ha battezzato e non mi ha impedito di andare in chiesa, finchè ci sono voluto andare (sulla spinta dell'emulazione, secondo la ben nota tesi per la quale "il 90% per cento dell'umanità non può essersi sbagliata..." ecc.). Questo mi ha permesso di avvicinarmi serenamente alla parrocchia - come tanti ragazzi italiani - e serenamemente prendere da essa congedo, quando mi sono reso conto di non avere fede.
Il risultato è che non ho mai odiato le religioni. Anzi, le ritengo uno dei prodotti più alti dell'ingegno umano, nel bene e nel male. Le religioni sono dense di significato. Le religioni sono pregne di metafore sulla vita, sui rapporti fra gli esseri umani, su questioni come il potere, la libertà, la legge, l'amore, la natura. Le religioni sono performative: producono regole, sono il contrario dell'anomia. Possono far crollare delle civiltà basate sull'istituto della schiavitù (successe ai Romani) e possono istituzionalizzare la schiavitù (se ne avvantaggiarono gli spagnoli e poi tutti gli europei - assieme ai loro cugini americani - per un arco di tempo di qualche secolo. A scapito degli africani). Le religioni predispongono a vedere ciò che non è immediatamente visibile o comunque percepibile con i cinque sensi: sono contigue all'arte, alla poesia. Le religioni producono (a volte) igiene mentale, sono estremamente rilassanti e ti mettono in pace con il mondo. Altre volte è il contrario: possono spingerti a fare cose faticose e nobilissime, quelle cose che nessun partito e nessuna ideologia riescono oggi a cavar fuori dall'essere umano medio, tipo sacrificarsi per gli altri, fino a morire per gli altri (sull'esempio di Cristo). Le religioni, infine, hanno indirizzato gli sforzi dell'umanità verso la produzione di beni duraturi e di pregevolissima fattura: senza di esse avremmo solo acquedotti, strade, qualche castello qui e là. Ma riuscireste ad immaginare il paesaggio europeo senza le cattedrali e le pievi di campagna?
Insomma, le religioni, per quanto mi riguarda, sono affascinanti. Sia quelle che mi piacciono di più - come il cristianesimo o il buddismo (peraltro lontanissime fra loro) - sia quelle che mi piacciono o che capisco di meno, come l'islam o l'induismo (non è vero che tutte le religioni sono uguali o contengono gli stessi valori di fondo: questo è uno stupido luogo comune e non ha niente a che vedere con l'ecumenismo serio, che è confronto, sì, ma non annullamento delle differenze).
E' che io sono in difficoltà con dio in sé, ecco. E' che l'idea di un essere superiore che abbia creato questo pasticcio per un fine noto a lui solo mi sembra semplicemente inattendibile. Perché mai avrebbe dovuto farlo? Se fosse un essere non dico onnipotente ma perlomeno intelligente, come lo dipingono, avrebbe dovuto sforzarsi di dare il meglio di sé, giusto? Chi di noi farebbe un lavoro importante con i piedi? Voglio dire, se devo prendere questa faccenda per buona, posso solo sperare che una volta fatto tesoro dei suoi errori abbia realizzato qualcosa di più decente altrove. Sì: se il mito della creazione è un mito, una raffinata metafora, mi sta bene. Se dobbiamo crederci sul serio, riconosco che la scienza non ha prodotto una spiegazione molto migliore (il big-bang? ma andiamo...), però, come sosteneva il mio prof. di tedesco delle medie, "il fatto che non sappiamo una cosa non ci autorizza a fare delle illazioni."
Ma il mio problema con le religioni non si ferma alla Genesi. C'è che le religioni - gran parte di esse - propugnano l'idea di un dio che si immischia nelle faccende degli uomini. Certo, non con la stessa frequenza o intensità degli dei dell'antico Olimpo, ma insomma Lourdes o Fatima ci si avvicinano parecchio. Mi chiedo: con quale criterio? Con quale criterio dio dovrebbe decidere di guarire quella persona, o di resuscitare la buonanima di Lazzaro, lasciando colare a picco milioni altri? Se ci fosse un dio così, sarebbe un dio capriccioso, umorale, crudele, il dio-coccodrillo di cui parla Fritz Zorn, quello che ha creato i crematori e le pietre di tortura (le pietre di tortura sono un'immagine di Céline, veramente...). Un dio così preferirei non incontrarlo mai in un vicolo buio. Oppure sarei costretto ad adorarlo per la sua perfetta imperscrutabilità (che è poi ciò che le religioni ci chiedono di fare quando concludono che la volontà di dio è inconoscibile e noi dobbiamo solamente chinare il capo davanti ad essa come i condannati davanti alla gigliottina).
So che i teologi dispongono di buoni argomenti per contro-argomentare. O forse no? Cito dall'ultimo Micromega Vito Mancuso, che insegna teologia all'Università San Raffaele di Milano: "Le argomentazioni tradizionali (ovvero quella ontologica e quella cosmologica ndr) del cattolicesimo per fondare il discorso su dio non tengono più (...). E' questo stato di cose, del tutto interiore alla teologia, il principale motivo che tanto preoccupa Benedetto XVI. Se la chiesa cattolica a partire dall'epoca moderna avesse studiato seriamente e amorevolmente le obiezioni della scienza e della filosofia invece di reprimerle con la violenza (intellettuale, mediante l'Indice dei libri proibiti, e fisica, mediante la tortura e l'uccisione dei dissidenti) contrapponendovi un'apologetica astratta, incapace di parlare con frutto alla coscienza moderna, oggi la situazione spirituale dell'Occidente sarebbe un po' migliore". E se questo vale per il cattolicesimo, cosa dovremmo dire dell'universo-Islam, dove i conflitti fra religione e modernità deflagrano giorno dopo giorno con una violenza devastante?
Va da sé che gli atei a volte sono più irritanti degli stessi credenti nel difendere le loro tesi granitiche. Peraltro bisogna essere indulgenti con loro: sono una minoranza discriminata. Io mi ritengo un agnostico. Chiariamo. Agnostico non è uno che "non si pone il problema", come spesso si sostiene, scioccamente. Non porsi il problema dei problemi, ovvero chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? Bisognerebbe essere più abbruttiti di un cinghiale. Diciamo agnostico alla maniera di Protagora. Protagora, filosofo presocratico noto per avere affermato che l'uomo è la misura di tutte le cose, quelle che sono in quanto sono e quelle che non sono in quanto non sono. In due parole, non si può dare di dio un discorso "umano" (razionale, logico, falsificabile, per dirla con Popper), sia che dio esista sia che non esista. Perché la dimensione di dio è per definizione ultra-umana, quindi inconoscibile. Oppure, al contrario, non si può dare di dio che un discorso "umano" (limitato, parziale, terra-terra) sia che dio esista sia che dio non esista. Perché la dimensione dell'uomo è per definizione umana, e l'uomo non può conoscere che ciò che rimane alla sua portata.
Mi rendo conto che in questo modo faccio un bel falò dei profeti e dei loro Libri, ma tant'è, rimangono pur sempre straordinaria letteratura. Mi rendo anche conto che in questo modo confino la fede al solo elemento "mistico", e quindi, in definitiva, aleatorio. Sì, penso che la fede sia precisamente questo.
Insomma: conoscere dio attarverso la ragione mi sembra chiaramente una pretesa assurda. Non c'è nulla ma proprio nulla di ragionevole nell'idea di dio (con tutte le sue raffinate complicazioni, compresa quella trinitaria). Semmai, ecco, uno slancio, una tensione, forse un'ebbrezza. Che o ce l'hai (perché è innata in te, perché ti hanno educato ad averla, perché Dio ti è apparso sulla via di Damasco), o te la procuri. Per tutti gli altri c'è il passo indietro degli agnostici e un po' più in là la negazione secca degli atei. Che non significa - lo ripeto ancora una volta - ostilità nei confronti delle religiosi e dei valori che esse sottendono. Né significa necessariamente materialismo (a dir la verità, molti dei credenti che conosco sono schifosamente materialisti, e molti degli atei che conosco sono persone assolutamente spirituali).
In definitiva, credo soprattutto, senza alcuna pretesa di originalità, che la religiose sia una panacea, un linimento. Nei confronti di cosa? Della paura della morte. Che è poi l'orrore della condizione umana in quanto tale (finitezza, mancanza di scopo, la scomparsa individuale come destino finale). Edgar Morin ne scrisse ne L'uomo e la morte. Morin non è uno scienziato vero e proprio, perché salta di palo in frasca, scrive di qualsiasi argomento sul quale ritenga di avere qualcosa da dire. Perciò dice cose così interessanti. Fosse nato un po' dopo, sarebbe un buon blogger. L'antropologia classica diceva un po' le stesse cose. Prima degli dei, non esisteva forse un universo di credenze magico-religiose? E le religioni istituzionali non hanno forse ereditato quell'universo? Perché festeggiamo il Natale il 25 dicembre? Perché lo festeggiamo con l'albero? Solo che l'antropologia classica, quella del Ramo d'oro frazeriano, per intenderci, poneva questa consapevolezza al servizio dell'evoluzionismo. Come dire: poi siamo arrivati noi popoli civilizzati con il nostro cristianesimo e abbiamo dato una sistemata al tutto. Mi chiedo sempre perché non ne abbiano tratto la conclusione più logica cioè: religioni rivelate, culti "apocrifi" o pagani, magia sono sullo stesso piano, rispondono agli stessi bisogni psicologici. E il bisogno dei bisogni dell'essere umano è quello di essere rassicurato sulla morte.
1 commento:
la religione si fonda sull'ignoranza, è un fatto. un'ignoranza più o meno disinvolta, più o meno presuntuosa, più o meno ipocrita. un bacio.
Posta un commento