Valdurna/Durnholz (Sarentino)
Mio cugino mi raccontava (tutti abbiamo un cugino che racconta) questa storia: quando Dio creò il mondo, poi le varie località si misero in fila per ricevere qualche dono. C'è chi è arrivato tardi e non ha ricevuto niente, chi ha ricevuto un solo dono - un bel mare, delle belle montagne, una fonte termale, gente figa o quant'altro - e chi ha fatto il furbo ed è passato due volte (o anche dieci volte), e sono i posti più belli, quelli che ci lasciano a bocca aperta. Lui, quando mi raccontava questo, si riferiva a Mykonos, che gli era piaciuta tanto...
Per me il lago di Valdurna è uno di quei posti che sono passati due volte. Dirò di più: è uno dei miei luoghi dell'anima. Uno di quei posti dove vorrei vivere, forse, o forse anche invecchiare. Un altro è Pitigliano, la Maremma in generale. E poi, forse, Londra.
Incantamento
Roberta, Lisa e Alice nel luogo dell'incantamento.
Si lavora duro anche a Pasquetta.
Alice con il cane.
Sul sentiero. Libero come un uomo.
Dolmen.
Durnholzer See.
foto: Marco Pontoni, Pasqua 2011.
Per me il lago di Valdurna è uno di quei posti che sono passati due volte. Dirò di più: è uno dei miei luoghi dell'anima. Uno di quei posti dove vorrei vivere, forse, o forse anche invecchiare. Un altro è Pitigliano, la Maremma in generale. E poi, forse, Londra.
Incantamento
Roberta, Lisa e Alice nel luogo dell'incantamento.
Si lavora duro anche a Pasquetta.
Alice con il cane.
Sul sentiero. Libero come un uomo.
Dolmen.
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foto: Marco Pontoni, Pasqua 2011.
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Domani nella battaglia pensa a me 4.0
E' faticoso muoversi nell'ombra e spiare senza essere visto o cercando di non essere scoperto, come è faticoso tenere un segreto o conservare un mistero, che fatica la clandestinità e la permanente coscienza di come non tutti i nostri congiunti possono avere uguali conoscenze, ad un amico si nasconde una cosa e ad un altro un'altra diversa da quella che è nota al primo, si inventano per una donna storie complesse che poi bisogna ricordare per sempre nei dettagli come se si fossero vissute, con il rischio di farsi scoprire più tardi, e a un'altra donna più nuova si racconta la verità su tutto tranne su quelle cose innocue che ci provocano vergogna in noi stessi: (...) che andiamo matti per il gioco d'azzardo o ci piace un'attrice che ammettiamo essere odiosa e persino offensiva, che abbiamo un carattere tremendo e fumiamo appena svegli e che fantastichiamo su una certa pratica sessuale che si considera aberrante e che non osiamo proporle. Non sempre si occulta per il proprio interesse o per paura o per avere commesso una vera mancanza, non sempre per difendersi, molte volte lo si fa per non dare un dispiacere o non guastare una festa e per non arrecare danno, altre volte per puro civismo, non è buona educazione né da persone civili farsi conoscere del tutto, figurarsi mostrare le manie e i vizi: a volte sono le origini ciò che si tace o si falsifica perché quasi tutti avremmo preferito un'ascendenza diversa in qualcuno dei nostri quattro quarti, la gente nasconde i genitori e i nonni e i fratelli, i mariti e le mogli (...). Ci vergogniamo di troppe cose, del nostro aspetto e delle nostre convinzioni passate, della nostra ingenuità e della nostra ignoranza, della sottomissione o dell'orgoglio che abbiamo dimostrato una volta, della transigenza e dell'intransigenza, di tante cose proposte o dette senza convinzione, di esserci innamorati di chi ci siamo innamorati e di essere stati amici di chi lo siamo stati, le vite sono spesso tradimento e negazione continui di ciò che è stato prima, si sconvolge e si deforma tutto man mano che passa il tempo, e tuttavia continuiamo ad essere coscienti, per quanto vogliamo ingannare noi stessi, che teniamo dei segreti e racchiudiamo in noi dei misteri (...).
Javier Marìas
Foto: vicolo di Riva del Garda (marco pontoni)
Amartya Sen il 26 maggio a Trento
Comunque la pensiate...è una delle teste pensati nel nostro tempo. Al teatro Sociale, nell'ambito del festival dell'Economia.
La traduzione è imperfetta e l'intervista consente di farsi solo un'idea generale del pensiero di Amartya Sen. Comunque, il concetto di fiducia - l'importanza della fiducia che i cittadini devono riporre nel mercato e nell'economia, che non deve essere tradita (come è avvenuto in occasione dell'ultima crisi finanziaria) - mi pare sia stato sottolineato (fra gli altri) da Innocenzo Cipolletta nel suo ultimo libro, "Banchieri, politici e militari" (Laterza). Peraltro in Italia, paese da sempre afflitto da un'evasione fiscale spaventosa e da un tasso di corruzione altissimo (nella parola "corruzione" comprendiamo anche il problema del conflitto di interessi che il nostro presidente del Consiglio si trascina appreso), mi chiedo cosa significhi avere fiducia nel mercato e nell'economia. L'Italia è un paese cinico, afflitto da una cronica sfiducia nei confronti di tutto ciò che è bene comune, equilibrio dei poteri, senso delle istituzioni. Un paese in cui le grandezze economiche sono continuamente manipolate per interessi e obiettivi politici (succede ovunque, ovviamente, ma come qui? Ci sono stati altri paesi che per anni hanno mandato in pensione intere categorie di occupati dopo 15 anni di lavoro, sacrificando con un'alzata di spalle le generazioni a venire?)
Che fiducia si può costruire su queste basi?
Siamo sempre - con le dovute eccezioni - i campioni del familismo amorale.
Anyway, il Festiva dell'economia di Trento è sempre un bel momento di confronto. Lo sarà anche quest'anno.
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Domani nella battaglia pensa a me 3.0
"Vi sono cose che non si riesce a credere non debbano ripetersi, quello che è stato una volta non si può escludere che torni ad essere, se si avesse la certezza di avere fatto l'amore per l'ultima volta si porrebbe fine alla propria coscienza e al proprio ricordo e ci si suiciderebbe: forse, per esempio, se la si avesse immediatamente dopo averlo fatto quella volta che è stata l'ultima (...). Mentre se avesse saputo ciò che non si sa quasi mai, e non lo aveva saputo, non sarebbe riuscita a prendere sonno, anzi, avrebbe disturbato il marito o l'amante per continuare, per infrangere senza indugi quel verdetto e impedire immediatamente che quella volta fosse l'ultima, ma se avesse convinto l'uno o l'altro, se li avesse sollecitati ad abbracciarla ancora, una volta svegli, nel giro di di un altro momento si sarebbe trovata di fronte al fatto che quell'ultima volta si era presentata di nuovo ed era ormai passata, e così va il tempo sottoposto a quei nostri sforzi inefficaci e contraddittori, ci permette di essere impazienti e di desiderare che arrivino le cose che bramiamo e si rinviano o tardano, quando tutto sembra poco o troppo rapido una volta arrivato e una volta concluso, ripetere ogni azione voluta ci avvicina un po' di più alla sua fine, e il brutto è che ci avvicina anche il non ripeterla, tutto viaggia lentamente verso il proprio sfumare in mezzo alle nostre inutili accelerazioni e ai nostri ritardi fittizi, e soltanto l'ultima volta è l'ultima (...)."
Javier Marìas
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Unreal city
A volte capita di guardare alle cose conosciute in maniera diversa. A volte le cose si svelano, dietro al reale, come avrebbe scritto Ginsberg.
La mia città. Sono passato per questa strada migliaia di volte, ad ogni ora del giorno e a volte della notte. Non so nemmeno come si chiami, via Dogana, credo, almeno per un tratto, via della Stazione sarebbe la cosa più logica. Poi ieri sera.
Pensate ad una via poco illuminata, come altre, qui, luci gialle, all'esterno dei palazzi pubblici. Non deserta, anche se ormai quasi spopolata: ci sono i viaggiatori che escono dalle due stazioni (quella dei treni, stile razionalista, notevole con le sue linee rette e i suoi angoli molli, ma trascurata come tanti edifici statali, e poi quella degli autobus, più anonima), ci sono ombre furtive qui e là e studenti e una bellissima ragazza in minigonna, soprabito e calze bianche che attraversa la strada con gli auricolari dell'ipod nelle orecchie. Non gli impiegati provinciali, il grande palazzo asburgico ora deserto (come quello delle Poste, i pacchi dormono, le buste sospirano, le lettere d'amore fremono in attesa di essere consegnate e invidiano le email). Non più le persone in attesa alle fermate degli autobus. In compenso i ragazzi del centro sociale decorato con uno splendido murales ferino che rimuginano massimi sistemi, brindano a rivoluzioni, vivono la stagione migliore della loro vita.
Ma che fantasmagoria questa spledida pieve romanica, fra le due stazioni, più in basso rispetto al livello della strada, nel centro di un cortile, un'oasi rurale assediata dagli altoparlanti e dai binari, superato il baracchino della verdura e dei cocchi, chiuso, adesso, spenta la bella insegna gialla che lo sormonta dopo il tramonto! Affacciata sul parco che tutti evitano, perché pare sia pericoloso, perché ogni tanto scoppia una rissa o arrestano qualche spacciatore, ma a me non fa paura, un'oca gigante di giunchi appoggiata all'erba del prato, sotto alla sua pancia a volte gli stranieri che bivaccano, si riparano, se piove, e oltre il laghetto con le oche vere (dove andranno d'inverno?) il Family monument, che non piace a nessuno, specie ai progressisti perché pensano sia la glorificazione della famiglia standard borghese (marito, moglie, due figli, cane)e invece per me è un'opera postmoderna come le lattine di zuppa di Warhol, e lì, piantato in mezzo a quell'umanità senza casa né famiglia, è una presenza provocatoria e straniante.
Luci intermittenti dei semafori, tendenti al rosso. La mole dell'ostello della gioventù proprio in fondo, dove la strada muore in un incrocio. Proseguendo entri come coltello nel burro nel centro storico, a destra una sala giochi, un supermercato, una torre medioevale a chiudere la prospettiva, tutto il mix di vecchio e nuovo, o quasi-nuovo, perché non c'è nulla di nuovo-nuovo, non architetture ardite, c'è il nuovo delle nostre città, gli anni 30 e gli anni 60, quel nuovo-non nuovo che lascia sempre un po' perplessi, che stona nel vecchio per il quale invece tutti smaniano, gli europei sono così, diceva il mio amico brasiliano, "noi invece se dobbiamo far spazio a un centro commerciale spianiamo con vigore".
Attraverso la strada. L'oblò della luna. Insegna al neon. Respiro la primavera. Qualcuno starà facendo l'amore, adesso, qualcuno aspetta la pioggia (B. Dylan).
Sento tanto spazio sopra e intorno a me. Spengo il blackberry. Sono quasi arrivato.
PADRE TAMAYO: L'HONDURAS CHIEDE PACE E GIUSTIZIA
Padre Andres Tamayo è stato in questi giorni in Trentino Alto Adige per una serie di incontri istituzionali e pubblici. Ex-discepolo (e chierichetto, come precisa nell'intervista) di padre Romero, l'arcivescovo di El Salvador ucciso nel 1980, mentre celebrava messa, per le sue durissime prese di posizione contro la dittatura, padre Tamayo, nato in Salvador ma honduregno di adozione, ha speso gran parte della sua vita in difesa della popolazione - e dell'ambiente - dell'Olancho, la regione in cui vive, una delle più ricche di biodiversità del Centroamerica. Dopo il golpe del 2009, sostenuto dalle famiglie che gestiscono la maggior parte della ricchezza del paese (e alimentato anche dalla destra statunitense, sostiene Tamayo), il sacerdote e militante ecologista, che ha più volte subito nella sua vita minacce e attentati, è riparato all'estero, anche se recentemente ha fatto ritorno nel suo Paese.
Una breve intervista realizzata a Trento il 5 aprile (prossimamente anche su youtube).
In Europa si sa poco dell'Honduras, pochissimo di ciò che è successo dopo il golpe che ha cacciato il presidente Zelaya, legittimamente eletto. Facciamo il punto della situazione.
Attualmente in Honduras permane una situazione di destabilizzazione. Chi detiene il potere politico ed economico vuole continuare a farlo, e ciò a spese dei diritti umani, che vengono costantemente violati. La popolazione continua a lottare per la democrazia, ma dal colpo di stato ad oggi non ci sono stati cambiamenti apprezzabili. Il governo attuale si pone in continuità con il golpisti e persegue gli stessi obiettivi, nonostante cerchi di "ripulirsi" l'immagine internazionale. Ultimamente ha annunciato di voler privatizzare i settori della sanità e dell'educazione. Il popolo ovviamente non accetta tutto questo e continua ad opporsi, nonostante la repressione.
Lei si è battuto molti anni per la difesa del patrimonio ambientale dell'Honduras (come leader del Movimento ambientalista del Olancho-Mao). Chi vuole mettere le mani su questo patrimonio?
Sono soprattutto imprese transnazionali, alcune anche italialiane, non registrate in Europa ma operanti in Honduras, come la Sansoni e la Lamas. Vendono il legname in primo luogo negli Stati Uniti e poi in Europa, a Paesi come la Germania e l'Inghilterra. Il contadino viene spinto, con metodi legali e illegali, a deforestare selvaggiamente. A volte le imprese pagano i contadini affinché svendano il legname e il contadino alla fine cede, lo fa. L'impoverimento a lungo termine dell'ambiente avrà ovviamente conseguenze pesanti per lui. Dopo il golpe la situazione è peggiorata perché il potere delle società transnazionali è enormemente cresciuto.
Cosa è rimasto in America centrale del pensiero di un Oscar Romero e delle idee della teologia della liberazione?
Monsignor Romero, era un profeta e i profeti non parlano per il proprio tempo, parlano per il futuro. Io sono stato chierichetto di monsignor Romero; la sua era una voce di giustizia, una voce di verità. E una voce ancora molto viva in Centroamerica; noi cerchiamo di portarla avanti, camminando con il popolo e sostenendo le sue lotte per diritti che continuano ad essere sistematicamente violati.
Cosa può fare l'Europa per aiutare la vostra causa?
Ci sono varie possibilità. Innanzitutto c'è la Corte interamericana che ha pubblicato un rapporto sulla violazione dei diritti umani in Honduras. Come comunità locali chiediamo che esso venga pubblicata anche in Honduras.
In secondo luogo è necessario che il mondo parli dei problemi reali dell'Honduras, non sono dei paesaggi, delle location cinematografiche (il riferimento è anche all' Isola dei famosi, trasmissione che da anni, incredibilmente, si gira lì).
Infine diciamo alle persone che ci aiutano, alle associazioni, di fare pressione a livello europeo e anche italiano, chiedendo ad esempio che i vostri parlamentari vadano in Honduras per prendere coscienza non solo dello stato dei diritti umani ma anche della corruzione; ci sono tanti fondi, tanti finanziamenti destinati al nostro Paese che non arrivano alla popolazione, come dovrebbero, ma finiscono nel circuito della corruzione. Anche le imprese straniere che operano in Honduras alimentano questa spirale.
Il popolo chiede pace, chiede giustizia, ma viene continuamente provocato, con la repressione.
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A STORY TO TELL
"Sono bravi perché per ogni canzone sembrano mettersi d'impegno a raccontare una storia".
Era vero quello che lei mi stava dicendo, ed era tutto quel che c'era da dire. Nel modo di cantare, di gestire i dialoghi fra le due chitarre, i pieni e i vuoti, le accelerazioni e le pause. Guardandolo si vedeva, come in filigrana, un pezzo importante di storia della musica recente. Dylan, a cui era stato accomunato agli esordi, i Velvet Underground, le New York Dolls, Patti Smith, Springsteen. A dispetto dell'aspetto folk, del look da cowboy vagabondo, era stato un rocker a pieno titolo, nella New York degli anni '70. Si vedeva soprattutto che amava fare quello che stava facendo. Che lo faceva con sincerità, passione, il lato romantico, le strade, i piccoli teatri di periferia come questo, le foto sfocate, il fumo che si alza dai tombini, gli amori. Il suo chitarrista, Oliver Durand, vero guitar hero.
"L'ho conosciuto alla Fnac di Versailles, Elliott Murphy, presentava il suo libro di poesie", ci ha detto una delle organizzatrici. Da anni vive a Parigi, ha lasciato l'America nel 1990.
Alla fine hanno suonato realmente unplugged, a bordo palco.
Averlo fatto e averlo fatto fino in fondo, anche quando era difficile, anche quando i dischi non vendevano. Averlo fatto e farlo ogni sera, anche davanti a 100 persone scarse. Farlo così, raccontando storie, dando al pubblico emozione, brividi, qualcosa da ricordare. Essere, insomma, un vero artista.
Domani nella battaglia pensa a me 2.0
(...) Alla fine l'uomo decide di andare; ma non può lasciare il bambino, che dorme ignaro nella stanza accanto. Si risolve a telefonare all'albergo londinese dove soggiorna il marito della donna. Chiama, nel cuore della notte, immaginando di svegliare un portiere che, mentre lo lascia in attesa, cercando nel registro degli ospiti il nome che gli è stato comunicato, fischietta "Stranger in the night". E poi, la prima sorpresa: non c'è nessuno registrato con quel nome, nell'albergo.
Dunque il marito ha mentito? Non è in quell'albergo, forse nemmeno a Londra?
Prima che il protagonista possa riaversi dalla sorpresa squilla il telefono, questa volta quello dell'appartamento (la storia si svolge nell'ormai lontana era geologica pre-cellulari, quando ricevere una chiamata voleva dire trovarsi a tiro di una cornetta); ovviamente l'uomo indugia, non sa se rispondere, non è casa sua, non dovrebbe essere lì, oltretutto ha appena pensato di cancellare ogni traccia del suo passaggio, e nel frattempo parte la segreteria telefonica, una persona con una voce tagliente, autoritaria, rimprovera la donna di averlo avvisato troppo tardi che il marito sarebbe partito. Perciò non ha potuto raccogliere il suo invito.
Dunque, si dice l'io narrante, ero la seconda scelta. Era questo sconosciuto dalla voce tagliente l'amante che la donna aveva deciso di invitare a cena, ed è solo a causa della sua indisponibilità, del fatto che non ha sentito un messaggio o l'ha sentito in ritardo, che, all'ultimo momento, lei ha deciso di confermare il suo invito a me, un quasi-sconosciuto, con cui si è incontrata prima solo 2 volte al bar.
A causa di questa circostanza un po' umiliante ora sono io a vegliare il suo corpo morto, anziché il marito, anziché l'amante autoritario dalla voce tagliente, che l'ha chiamata "scema", che chissà quante altre volte è stato qui.
Intorno all'appartamento dove il bambino continua a dormire sotto a degli aeroplanini di carta che riproducono modelli da guerra della prima e seconda guerra mondiale, mentre la madre giace morta, nella stanza accanto, improvvisamente, stroncata da un malore, la città, con i suoi fantasmi e i suoi presagi. Uomini che cercano un taxi per tornare a casa, amanti al loro centesimo incontro che si baciano sull'uscio di lui (o di lei), infermiere alle prese con il turno, studenti che ripassano la materia oggetto d'esame, prostitute che attendono con poco entusiasmo sul ciglio della strada l'arrivo del prossimo cliente.
E l'uomo al centro esatto di tutto questo, con i suoi pensieri, i suoi gesti riflessivi, la sua consapevolezza della vita e il suo controllato stupore, che da un lato viene progressivamente sospinto ai margini delle esistenze che per un istante (e una fortuita catena di circostanze) ha incrociato, dall'altro le penetra sempre più a fondo, sollevando la coperta dei misteri che si celano sotto all'apparente normalità di una vicenda familiare. Come dice Shakespeare, nulla è se non ciò che non è.
Javier Marìas, "Domani nella battaglia pensa a me", Einaudi. Enjoy.
La foto è tratta da questo sito: www.flickr.com/photos/zioluc/with/4388949601/
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Domani nella battaglia pensa a me
Ho iniziato oggi questo romanzo di Javier Marìas, senza sapere quasi nulla dell'autore. Conoscevo - e conosco - i titoli dei suoi romanzi, ovviamente, pubblicati in Italia da Einaudi, anzi, credo di ricordare quando sono comparse le sue prime traduzioni, credo di avere pensato allora: "Prima o poi dovrò leggere dei romanzi con dei titoli così belli", ma non l'avevo mai fatto. La verità è che mi sono deciso solo dopo avere letto da qualche parte come comincia "Domani nella battaglia...", il che depone a favore di un buon plot (o di qualche citazione in qualche giornale a larga tiratura). C'è un uomo, a Madrid, ospite di una donna che non conosce bene, la conosce da appena 15 giorni, una donna sposata e con un figlio di 2 anni: il marito è in viaggio di lavoro a Londra, il bambino finalmente si è addormentato, anche se , secondo l'uomo, ha fatto di tutto per rimanere sveglio, presagendo quello che stava per succedere fra lui e la madre. Insomma, la coppia è a letto, non sono ancora nudi, si stanno baciando, lui è riuscito a slacciarle il reggiseno, il tutto deve accadere in quella bolla, quell'aura di non-premeditazione che secondo l'io narrante di solito racchiude gli eventi della fatale "prima volta", quando entrambi desiderano convincere se stessi che non hanno realmente cercato nulla, che non hanno desiderato di fare accadere alcunché... Ma all'improvviso la donna sta male, lui pensa sia la digestione, o un tardivo pentimento, non si scompone né è deluso, è un uomo di mondo, solo, non sa bene cosa fare, non la conosce, la conosce appena, insomma, non sa neanche dov'è, non conosce i vicini, sono le tre di notte, si decide ad aspettare che le passi. E invece...lei muore.
Un attacco del genere non lascia indifferenti, no?
Se anche voi non conoscete il romanziere spagnolo, ma vi incuriosisce questa storia, e volete sapere come proseguirà il rapporto fra quest'uomo, questo visitatore notturno, e la sua non-amante (perchè qui la morte è solo all'inizio di un romanzo molto lungo, dunque questo rapporto dovrà continuare, in qualche modo), andate a leggervi il libro. Questa non è una recensione, è solo un annuncio di pubblica utilità.
E poi Marìas dev'essere una persona comunque intelligente. Ecco l'inizio di un suo articolo su Berlusconi:
"Questo individuo è essenzialmente una palla al piede, a giudicare dal materiale video nel quale lo si vede ai vertici politici in compagnia di altri mandatari o in occasioni mondane più frivole. In realtà il suo comportamento è identico negli uni e negli altri, solo che nei primi finge di essere l'anfitrione, lo fa sempre (anche se, per dire, si trova in Canada)..."
Potete averlo in edizione economica, si intitola "Trilogia sentimentale" (19 euro) contiene tre romanzi, "Tutte le anime", "Un cuore così bianco" e "Domani nella battaglia pensa a me", da cui sono partito. E' una trilogia di storie d'amore, ovviamente; c'è qualcosa di più interessante da leggere, ad inizio di primavera?
Il titolo pare sia mutuato da Shakesperare, e così Shakesperare continua ad invadere - benignamente - la mia vita, in questo periodo.
Il trailer l'ho trovato in youtube, grazie a chi l'ha messo assieme, mi sembra molto efficace e ieri notte, stranamente, mi sono addormentato proprio su quelle frasi, che come dice Lou Reed, commentando alcuni suoi testi, hanno un suono grandioso (anche se magari non vogliono dire nulla) .
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