Allen Ginsberg - A supermarket in California
Un'altra versione della mia poesia preferita di Allen Ginsberg. Non so se la voce sia davvero la sua. In ogni caso, interpreta egregiamente il testo.
Un supermarket in California
Come ti penso stasera, Walt Whitman, perché camminavo per piccole strade sotto gli alberi col mal di testa guardando consapevole la luna piena.
Nella mia fatica affamata, e per comprare immagini, entrai nel supermarket di frutta al neon, sognando le tue enumerazioni!
Che pesche e che penombre! Intere famiglie a far provviste la sera! Corridoi pieni di mariti! Mogli negli avocados, bambini nei pomodori! E tu, Garcia Lorca, che cosa stavi facendo giù fra i meloni?
Ti ho visto, Walt Whitman, senza figli, vecchio mangione solitario, a frugare fra le carni nel frigorifero e occhieggiare i garzoni del droghiere.
Ti ho udito fare domande a ciascuno: Chi ha ucciso le cotolette di porco? Quanto costano le banane? Sei tu il mio Angelo?
Ho girato fra le pile di scatolame luccicanti seguendoti, e seguito nell'immaginazione dal poliziotto del mercato.
Abbiamo camminato insieme lungo i passaggi aperti nella nostra fantasia solitaria assaggiando carciofi, possedendo ogni leccornia congelata, e senza mai passare davanti al cassiere.
Dove andiamo, Walt Whitman? Le porte chiudono tra un'ora. Dove punta stasera la tua barba?
(Sfioro il tuo libro e sogno la nostra odissea al supermarket e mi sento assurdo.)
Passeggeremo tutta notte per strade solitarie? Gli alberi aggiungono ombra all'ombra, luci spente nelle case, ci sentiremo soli.
Cammineremo sognando la perduta America dell'amore lungo automobili azzurre nei viali, verso casa nel nostro cottage silenzioso?
Ah, caro padre, grigio di barba, vecchio solitario maestro di coraggio, che America avesti quando Caronte smise di spingere il suo ferry e tu scendesti su una riva fumosa a guardare la barca scomparire sulle acque nere del Lete?
Berkley, 1955
[Allen Ginsberg, Jukebox all'idrogeno, a cura di Fernanda Pivano, Mondadori, Milano, 1965; Oscar Mondadori, 1969]
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Peter Handke - se un scrittore sta dalla parte "sbagliata"
Ho appena ripreso in mano, dopo anni, e un po' per caso, Peter Handke, più che altro perché, dopo la sbornia di trame di Franzen, Murakami e altri del genere, avevo voglia di qualcosa di più sperimentale, di poco (o flebilmente) letterario, una prosa che sembra fatta apposta per contraddire i tempi nostri, tempi di libri che inseguono la tv (pur se lo stesso Handke ha scritto per il cinema, ma era il cinema di Wenders...).
Ed ecco che rispunta la vecchia polemica su Handke filoserbo, che in verità, negli anni '90, avevo seguito un po' distrattamente.
La notizia la riprendo dal Corriere della Sera:
BERLINO - Forse se in Germania non fosse scoppiato due mesi fa un gigantesco caso sul «Quadriga», assegnato al primo ministro russo Vladimir Putin e poi ritirato dalla giuria dopo una sollevazione del mondo politico e culturale, questo premio a Peter Handke sarebbe passato inosservato. «Noi ci mettiamo i soldi e poi finiamo sotto accusa», si devono essere però detti nel quartier generale della Kolbus, una grande azienda che produce macchinari per rilegare i libri e che è lo sponsor del «Candide», un riconoscimento franco-tedesco che viene conferito, nel nome di Voltaire, a Minden, in Nord-Vestfalia. Lo scrittore austriaco è ormai noto infatti non tanto per i suoi romanzi (qualcuno sicuramente bello, come Prima del calcio di rigore ) quanto per le posizioni filoserbe prese durante e dopo il conflitto nella ex Jugoslavia e per essere andato addirittura ai funerali di Slobodan Milosevic, sul cui feretro ha deposto nel 2006 una rosa rossa. La Kolbus ha deciso di non mettere più a disposizione i 15 mila euro del Candide Preis, mettendo in grave imbarazzo la giuria, che però non ha voluto soprassedere sulla sua scelta. C' è anche chi, come uno dei suoi membri, Franziska Augstein, aveva proposto di attingere i fondi da altre dotazioni private. Ma ormai era troppo tardi. Peter Handke è stato informato, accetterà il riconoscimento che gli è stato attribuito ma non andrà a ritirarlo il 30 ottobre, giorno in cui era prevista la cerimonia di consegna.
A parte la sciatteria dell'articolo, a cui siamo abituati ("...alcuni sicuramente belli come Prima del calcio di rigore". E Infelicità senza desideri no?), la questione che si ripropone è interessante, pur se già vista. Se lo scrittore sta dalla parte sbagliata che si fa? Se lo scrittore sta con i collaborazionisti, i nazisti? E se invece (del solito Céline) è un nazionalista fanatico come Mishima? E se invece fa una cosa ancora più subdola e schifosa, fa del revisionismo, perchè, sì, Srebrenica è stata una carneficina, ma prima i musulmani avevano già messo in pratica la pulizia etnica nei villaggi serbi circostanti? Se dice cose così che si fa?
A me pare non ci siano dubbi: se stiamo parlando di un riconoscimento letterario, quello va allo scrittore, non all'uomo che esprime le sue idee politiche. Se l'opera è valida, è valida, punto. Le idee politiche vanno valutate (e se necessario criticate, confutate ecc.) in altra sede.
Se dovessimo seguire un altro criterio, parecchia letteratura dell'800-900 sarebbe censurabile. E non parlo solo di autori esplicitamente filofascisti o filocomunisti. Conrad è stato visto da molti come un romanziere impregnato di mentalità colonialista (anche se per me è tutto il contrario). E persino autori "socialmente impegnati" (come Moravia, che da persona intelligente avrebbe rifiutato questa qualifica), hanno scritto pagine sull'Africa che oggi è un po' imbarazzante leggere, che alle orecchie del lettore "politicamente corretto" suonano quantomeno sconvenienti. "Il negro, insomma, va sempre ai suoi affari; cioè si muove principalmente per motivi economici, mercantili, di sussistenza (...). Perché gli africani, pur nel loro modo bislacco, fantasioso, irrazionale e danzante sono una delle razze più traffichine che ci siano al mondo. Anche se poi i loro traffici non sono spesso che scambio in natura e vendita e acquisto spicciolo di pochissimi prodotti di fabbricazione familiare". (Moravia, A quale tribù appartieni?)
D'accordo, sono parole affettuose, non c'è nulla di paragonabile all'apologia della Serbia di Milosevic. Sfido comunque qualcuno a leggerle oggi in pubblico (anche se poi gli africani veri probabilmente ci riderebbero sopra).
Handke era uno che in Jugoslavia ci andava spesso, prima della guerra (la madre era di origini slovene), e a cui la Jugoslavia piaceva probabilmente così com'era, un crogiolo di popoli. Ovviamente non piaceva solo a lui; ma la nostalgia per ciò che è stato o meglio per ciò che sarebbe potuto essere non può offuscare la capacità di giudizio, specie quando sul terreno ci sono migliaia di morti. Il "tutti colpevoli-nessun colpevole" di Handke non commuove e non convince.
E tuttavia, Handke è un vero scrittore. Difficile, probabilmente oggi noioso (dico oggi perchè negli anni '70 non era strano leggere cose come Lento ritorno a casa e trovarle pure belle.) Ma, insomma, uno scrittore con una sua cifra stilistica, una sua riconoscibilità, una sua poetica. Nessuna stronzata (compresa la rosa sulla bara di Milosevic) può offuscare questo fatto.
Ed ecco che rispunta la vecchia polemica su Handke filoserbo, che in verità, negli anni '90, avevo seguito un po' distrattamente.
La notizia la riprendo dal Corriere della Sera:
BERLINO - Forse se in Germania non fosse scoppiato due mesi fa un gigantesco caso sul «Quadriga», assegnato al primo ministro russo Vladimir Putin e poi ritirato dalla giuria dopo una sollevazione del mondo politico e culturale, questo premio a Peter Handke sarebbe passato inosservato. «Noi ci mettiamo i soldi e poi finiamo sotto accusa», si devono essere però detti nel quartier generale della Kolbus, una grande azienda che produce macchinari per rilegare i libri e che è lo sponsor del «Candide», un riconoscimento franco-tedesco che viene conferito, nel nome di Voltaire, a Minden, in Nord-Vestfalia. Lo scrittore austriaco è ormai noto infatti non tanto per i suoi romanzi (qualcuno sicuramente bello, come Prima del calcio di rigore ) quanto per le posizioni filoserbe prese durante e dopo il conflitto nella ex Jugoslavia e per essere andato addirittura ai funerali di Slobodan Milosevic, sul cui feretro ha deposto nel 2006 una rosa rossa. La Kolbus ha deciso di non mettere più a disposizione i 15 mila euro del Candide Preis, mettendo in grave imbarazzo la giuria, che però non ha voluto soprassedere sulla sua scelta. C' è anche chi, come uno dei suoi membri, Franziska Augstein, aveva proposto di attingere i fondi da altre dotazioni private. Ma ormai era troppo tardi. Peter Handke è stato informato, accetterà il riconoscimento che gli è stato attribuito ma non andrà a ritirarlo il 30 ottobre, giorno in cui era prevista la cerimonia di consegna.
A parte la sciatteria dell'articolo, a cui siamo abituati ("...alcuni sicuramente belli come Prima del calcio di rigore". E Infelicità senza desideri no?), la questione che si ripropone è interessante, pur se già vista. Se lo scrittore sta dalla parte sbagliata che si fa? Se lo scrittore sta con i collaborazionisti, i nazisti? E se invece (del solito Céline) è un nazionalista fanatico come Mishima? E se invece fa una cosa ancora più subdola e schifosa, fa del revisionismo, perchè, sì, Srebrenica è stata una carneficina, ma prima i musulmani avevano già messo in pratica la pulizia etnica nei villaggi serbi circostanti? Se dice cose così che si fa?
A me pare non ci siano dubbi: se stiamo parlando di un riconoscimento letterario, quello va allo scrittore, non all'uomo che esprime le sue idee politiche. Se l'opera è valida, è valida, punto. Le idee politiche vanno valutate (e se necessario criticate, confutate ecc.) in altra sede.
Se dovessimo seguire un altro criterio, parecchia letteratura dell'800-900 sarebbe censurabile. E non parlo solo di autori esplicitamente filofascisti o filocomunisti. Conrad è stato visto da molti come un romanziere impregnato di mentalità colonialista (anche se per me è tutto il contrario). E persino autori "socialmente impegnati" (come Moravia, che da persona intelligente avrebbe rifiutato questa qualifica), hanno scritto pagine sull'Africa che oggi è un po' imbarazzante leggere, che alle orecchie del lettore "politicamente corretto" suonano quantomeno sconvenienti. "Il negro, insomma, va sempre ai suoi affari; cioè si muove principalmente per motivi economici, mercantili, di sussistenza (...). Perché gli africani, pur nel loro modo bislacco, fantasioso, irrazionale e danzante sono una delle razze più traffichine che ci siano al mondo. Anche se poi i loro traffici non sono spesso che scambio in natura e vendita e acquisto spicciolo di pochissimi prodotti di fabbricazione familiare". (Moravia, A quale tribù appartieni?)
D'accordo, sono parole affettuose, non c'è nulla di paragonabile all'apologia della Serbia di Milosevic. Sfido comunque qualcuno a leggerle oggi in pubblico (anche se poi gli africani veri probabilmente ci riderebbero sopra).
Handke era uno che in Jugoslavia ci andava spesso, prima della guerra (la madre era di origini slovene), e a cui la Jugoslavia piaceva probabilmente così com'era, un crogiolo di popoli. Ovviamente non piaceva solo a lui; ma la nostalgia per ciò che è stato o meglio per ciò che sarebbe potuto essere non può offuscare la capacità di giudizio, specie quando sul terreno ci sono migliaia di morti. Il "tutti colpevoli-nessun colpevole" di Handke non commuove e non convince.
E tuttavia, Handke è un vero scrittore. Difficile, probabilmente oggi noioso (dico oggi perchè negli anni '70 non era strano leggere cose come Lento ritorno a casa e trovarle pure belle.) Ma, insomma, uno scrittore con una sua cifra stilistica, una sua riconoscibilità, una sua poetica. Nessuna stronzata (compresa la rosa sulla bara di Milosevic) può offuscare questo fatto.
Peter Handke - citazioni - frammenti - frantumaglia
Siccome mi sento momentaneamente vuoto di parole, prendo a prestito quelle di uno scrittore che da noi (noi vicino al confine austriaco) una volta era molto letto. Sono tratte da "Alla finestra sulla rupe, di mattina", (Garzanti, 1997), un libro di frammenti, di annotazioni, qualcosa di meno (o di più) di un diario. Il periodo è 1983-1987.
Il verbo adatto alla gioia: cominciare.
Per me è finita non appena non ho più tempo.
Un'espressione greca antica per l'unione degli amanti: "E avvenne la cosa più grande".
Spesso, nelle periferie della città, l'esperienza della purificazione e poi della purezza.
Forza d'animo significa poter andare insieme (per esempio con le erbe oscillanti).
Si premette un foglio bagnato sulla fronte e il foglio si asciugò subito, tanto era calda la fronte.
"Non essere ingenuo!" ha detto ieri l'ubriaco a se stesso.
Com'era bello vedere per una volta uno che aveva paura per qualcuno.
Considerare anche se stesso come quel prossimo del quale ti devi preoccupare.
Serata meravigliosa ieri nel cosiddetto "caseificio" di St. Moritz, nell'Engadina - da solo. Ero totalmente presente e sapevo: questo sono io: nell'essere presente sono completo.
Le mostrò la sua vera faccia, e cioè pianse.
Probabilmente rimangono giovani solo i ribelli (notte, vento).
Non suggerire niente, ma "contagiare" benevolmente la gente.
Soltanto fuori casa riesco a riflettere su ciò che ho fatto in casa.
Rembrandt disse a Spinoza: "Mi sembra di essere tuo figlio". E Rembrandt disse a Spinoza: "Sei un prepotente".
Lirico epico: chi avverte l'impulso a raccontare, ma senza avere una storia.
Estremo insulto: "No, tu no!".
Su quasi tutto ciò di cui la ragione parla o si esprime, il cuore, ovvero "il petto", non dice né sì né no: non dice proprio niente. Ed è per questo appunto che la ragione parla "solo per parlare", senza effetto e irrealmente.
A volte basta mostrarsi per aiutare: per essere di aiuto. "Mostrarsi". Mostrati!
Lei diceva che io sarei affetto di "mania per la vita", e intendeva dire che vorrei sempre sentirmi raccontare soltanto esperienze, anziché farmi informare sulle solite difficoltà e sui soliti ostacoli.
Ogni casa dovrebbe avere una stanza per profughi.
Condannato alla velocità; graziato alla lentezza.
Nel crepuscolo, il contorno di un uccello sedeva davanti alla finestra come una favola che non volesse essere disturbata.
Libertà: poter (anche dover) lasciare tutto al caso.
La gioia del camminare; la linea diventa freccia.
Di molti che camminano lo si vede; camminano solo casualmente.
E' la gioia ad aprire una strada in me, o è l'idea di una strada che mi apre alla gioia?
Amore: far qualcosa di amorevole; l'amore inoperoso non esiste.
"Un'ombra di umorismo": e quest'ombra mi basta.
I greci, nei loro drammi, avevano tutto il tempo per parlare; nulla era sbrigato in fretta.
Contemplazione all'aeroporto (Monaco di Baviera): donne, e fra di loro una lettrice di lettera che piange e che pure è di tutte l'imperatrice, con le palpebre consapevoli del momento di una statua greca. Siamo una povera razza eletta, noi esseri umani. la donna che leggeva piangendo: diventa orgogliosa, si incaponisce. E qui sono stato nel cuore delle cose.
Dopo avere attraversato il paradiso abbiamo tirato un sospiro di sollievo: il pericolo era passato.
Non ti amo più e non ti dico più dove sono stato oggi.
L'amore è doloroso e non porta a nulla, ed è questa la sua meraviglia.
"Non ho una chiave per aprirti". - "E allora forzami con un chiodo".
"Tendenza al rispetto" è, secondo Goethe, "una virtù ereditaria".
Per l'accoppiamento non dovrebbe valere: lui (o lei) si "fece" lei (o lui); bensì lui (oppure lei) creò lei (lui), essi si crearono a vicenda, essi si fanno a vicenda.
Niente di più bello di un corpo fiorito per il desiderio, in attesa, paziente, sicuro.
Epos: raccontami il tuo segreto - perché rimanga conservato (se il tuo segreto rimane in te, non sarà conservato).
L'Eufrate e il Tigri che "fluiscono dal paradiso" (Il Parsifal di W.v. Eschenbach): sono le lacrime.
Una specie di libertà: ritardare spensieratamente
Di giorno fra me qui e te lì
è passata la gatta chiazzata.
Di notte poi
- o corpi chiari! -
lo scuro riccio
Depressione (= mortale compostezza o oppressione mortale) non significa che perdo lo spazio, ma lo spazio intermedio; ovvero: vedo bensì ancora questa o quella cosa, ma non la riconosco più.
Il bambino disse al padre: "Ci sono voluti degli anni perché mi accorgessi che hai gli occhi azzurri".
Avvertì di nuovo con le labbra, come una perla, il battito del suo cuore sul collo, e pensò: "Dunque non sono una cattiva persona".
La cameriera ha inavvertitamente pestato la zampa di un gatto ed è contemporaneamente chiamata da un avventore. La cameriera: "Subito, prima lo devo consolare!".
Ieri a mani vuote, nella piana paludosa, davanti alle prime stelle: consapevolezza di libertà.
Foto: mia
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Una storia di guerra ordinaria
Accadde in un’altra guerra. Non in questa che c’è adesso.
Argo lavorava in un centro commerciale. Rea, la sua fidanzata, aveva un banchetto della frutta al mercato di Portici, che gestiva assieme alla madre.
Erano innamorati l’uno dell’altra, e si sarebbero sposati entro l’anno.
Quando scoppiò la guerra del 2016, Argo si arruolò in marina e venne imbarcato su un cacciatorpediniere. Non poteva mandare a Rea delle mail, le zone di guerra ora erano schermate, sia per evitare la fuoriuscita di informazioni pericolose sia per i contratti che l’esercito aveva firmato con i network delle telecomunicazioni.
Si era tornati alle vecchie lettere, scritte a mano, ma le lettere impiegavano molto tempo ad arrivare, qualche volta non arrivavano addirittura perché qualcuno le aveva bloccate (ed era strano essere vissuti per anni in una società completamente aperta e dover fare ora i conti con la censura, parola di cui molti ignoravano persino il significato).
Comunque la prima lettera che Argo ricevette da Rea, diceva pressappoco così (per quanto io possa ricordare):
caro Argo
amore mio. Ogni giorno che passa per me è un tormento, senza di te. Ho tanta voglia di sentirti vicino, vorrei che ci fossimo sposati prima della partenza e sto contando i giorni in attesa del tuo ritorno. Guardo sempre la tv e prego che non trasmettano brutte notizie, ma poi mi faccio forza perché sono sicura che presto sarai di nuovo a casa e questa guerra ci sembrerà solo un brutto ricordo. Alla tv dicono che presto avremo vinto, io spero tanto che sia così, il nostro pensiero, mio e dei miei genitori, è sempre con te e con mio fratello che ci scrive dal fronte siriano. Per quello che mi hai scritto l’ultima volta non devi tormentarti con queste sciocchezze, anche se so che sono il frutto del tuo amore, e pensare solo a riguardarti e a stare attento. Anche per me è doloroso non averti vicino, ma nel mio cuore ci sei solo tu, e perciò ti prego non dubitare di me, mai.
L'accenno al matrimonio rimandato non sono sicuro che ci fosse; forse era stato Argo a parlarmene, ed è possibile che mi confonda. Forse era un pensiero di Argo, non di Rea. Penso che se fossero già stati sposati lui si sarebbe sentito un po’ meglio, perlomeno.
Comunque, l’essenziale è che Argo era geloso. Irragionevolmente geloso. La vita militare non gli pesava molto in sé, del resto sapeva di avere avuto fortuna con la destinazione perché lì la guerra non si sentiva come altrove. Ma il pensiero della fidanzata non lo lasciava un istante. Si consumava nel suo ricordo, soffriva come un cane. E il peggio era che non riusciva a sfogarsi con nessuno, perfino io facevo fatica a sopportarlo. Molti di noi erano innamorati, molti avevano lasciato, oltre alle mogli, anche i figli, o i genitori malati, ma rodersi in quella maniera era troppo, rendeva quella vita di attesa e di pericolo insopportabile. Così Argo se ne stava chiuso nel suo silenzio per la maggior parte del tempo, schivato da tutti, e nei periodi di calma si dava da fare più del dovuto. Chi non lo conosceva bene pensava che fosse uno di quei fanatici a cui la guerra piace, ma io so che non è così.
Poi un giorno ricevette una lettera particolare. La flotta a quel tempo era in procinto di smobilitare, la nuova destinazione sarebbe stata il Mar Nero. La lettera in questione diceva più o meno questo:
caro Argo
ho saputo che la licenza è stata revocata. Adesso hai bisogno di tutta la forza e la concentrazione possibili per superare questa prova che il Signore ti impone. Io prego sempre per te e so che andrà tutto bene, non mi chiedere come faccio a saperlo, devi avere fiducia così come l'ho avuta io e continuare ad averla. E adesso purtroppo devo dirti una cosa terribile. Mio fratello è morto, l’abbiamo saputo qualche giorno fa e io non avevo neanche la forza di scriverti; poi ho pensato che era tutto uno sbaglio e che presto avrei ricevuto di nuovo sue notizie. È morto senza soffrire, questo siamo riusciti a sapere, con una pallottola al petto, durante un pattugliamento. Io e i miei genitori non abbiamo più pace. Qualche giorno fa è venuto a trovarci un ragazzo che era con lui al campo di addestramento di Fossano. Non sapeva nemmeno che fosse morto, c’è stato malissimo quando glie l’abbiamo detto. Per lui la guerra è finita. Gli è scoppiata vicino una granata e ha perso un braccio. Dice che Carlo gli parlava di me giorno e notte. È molto commovente e piange spesso quando ci viene a trovare, ora sta a Caserta da una zia. Piange spesso anche per mio fratello. Mi fa una gran pena, mi ricorda tanto Carlo e noi vogliamo sempre che ci parli di lui. Povera mamma! E poveri tutti noi, che non riusciamo più a trovare pace e consolazione! Ma io non voglio angustiarti con i miei dolori…
eccetera. Dopo di allora le cose per Argo andarono peggio di prima. La notizia della morte del fratello di Rea non lo aveva colto impreparato, perché la morte è un pensiero al quale in guerra ci si abitua. Tante volte si era immaginato di quando lui, vecchio, con i figli grandi e la moglie una tranquilla e modesta signora piena di grazia si sarebbe recato, in certi sabati pomeriggio, alle tombe dei suoi amici commilitoni. S’immaginava rugoso, pieno di dignità, a sostare in silenzio in un cimitero circondato dal verde, in campagna. S’immaginava un certo tipo di cimitero, come quelli che si vedono nei film americani, diciamo, anche se il cimitero del suo paese era molto differente, c'erano tombe di diversa grandezza, non tutte uguali, e il verde non era così curato.
Più o meno tutti quelli che erano come lui, di indole solitaria, facevano pensieri del genere. Ma ovviamente si tenevano tutto dentro e noi si poteva solo tirare a indovinare.
Adesso me lo figuro, ciò deve avere provato. Allora, ero troppo preoccupato a tenermi a galla io stesso. Io la paura l’esorcizzavo con lo spirito di corpo, l’obbedienza agli ordini e occasionalmente inalando tritanolo. I suoi pensieri da quel giorno devono essere cambiati. Devono avere passato quella soglia oltre la quale la mancanza di ragionevolezza e buon senso diventa pura e semplice patologia. Me ne fece solo intravvedere qualche pezzetto, durante il breve tempo che trascorremmo ancora assieme. Un giovane militare senza un braccio che accarezzava il volto di Rea, che poi le prendeva una mano, e piangeva in silenzio. Un militare con il sorriso uguale a quello del fratello. Rea mossa da pietà, il militare che accarezza il suo corpo nudo.
Dopo la guerra ho visto un film che raccontava la storia di un tizio che ad un certo punto perde un braccio. Lei - l'attrice - diceva che un braccio monco è come una zampina di tartaruga. Non tanto impressionante. Che fare l’amore non è così difficile, ovviamente con un certo grado di affiatamento.
Comunque, questo era più o meno quello che pensava Argo, dalla mattina alla sera. Poi non mi fece leggere più nessuna lettera, e io ero, si può dire, il suo amico più intimo. Forse le stracciava senza leggerle, per paura di trovarci dentro la conferma di quello che, lì in mezzo al mare, poteva solamente immaginare.
L’ultima volta che andò sull’argomento disse che ai genitori di Rea quella situazione non doveva dispiacere nemmeno troppo, perché anche con un braccio solo un uomo al mercato è sempre utile, e poi lui lo capiva che loro fossero in cerca di un sostituto del figlio morto.
Una notte, a una giornata di navigazione dall’ultimo porto dove avevamo fatto scalo, i terroristi riuscirono a passare attraverso lo schermo dei nostri radar e satelliti, si lanciarono contro la nave con due motoscafi pieni di esplosivo. Tutti si precipitarono alle scialuppe. C’è chi dice di aver visto Argo urtato da un marinaio gigantesco, perdere l’equilibrio e cadere in mare, forse battendo la testa sulla fiancata, e andando subito a fondo perché non indossava il giubbotto salvagente. Ma secondo altri la colpa della caduta è dovuta ad una seconda esplosione, in sala macchine, che fece inclinare la nave. Per quanto mi riguarda, a me è sembrato di vederlo a poppa, impietrito in mezzo alla confusione. Però non c’era tempo da perdere, corsi con tutti gli altri, e riuscii a salvarmi.
Certo la sua condotta si era fatta parecchio strana negli ultimi tempi. Spesso ho avuto la sensazione che volesse morire. Ma se volesse finirla lì così, io non sono in grado di dirlo con certezza.
In quanto alla sua famiglia, non sono mai andato a trovarla. Hanno già un reduce tra i piedi, mi son detto, e tanto basta. Se poi ce l’hanno davvero.
Questo comunque accadde in un’altra guerra. Non in questa in cui ho perduto mio figlio.
Da "La calda notte degli avatar".
Argo lavorava in un centro commerciale. Rea, la sua fidanzata, aveva un banchetto della frutta al mercato di Portici, che gestiva assieme alla madre.
Erano innamorati l’uno dell’altra, e si sarebbero sposati entro l’anno.
Quando scoppiò la guerra del 2016, Argo si arruolò in marina e venne imbarcato su un cacciatorpediniere. Non poteva mandare a Rea delle mail, le zone di guerra ora erano schermate, sia per evitare la fuoriuscita di informazioni pericolose sia per i contratti che l’esercito aveva firmato con i network delle telecomunicazioni.
Si era tornati alle vecchie lettere, scritte a mano, ma le lettere impiegavano molto tempo ad arrivare, qualche volta non arrivavano addirittura perché qualcuno le aveva bloccate (ed era strano essere vissuti per anni in una società completamente aperta e dover fare ora i conti con la censura, parola di cui molti ignoravano persino il significato).
Comunque la prima lettera che Argo ricevette da Rea, diceva pressappoco così (per quanto io possa ricordare):
caro Argo
amore mio. Ogni giorno che passa per me è un tormento, senza di te. Ho tanta voglia di sentirti vicino, vorrei che ci fossimo sposati prima della partenza e sto contando i giorni in attesa del tuo ritorno. Guardo sempre la tv e prego che non trasmettano brutte notizie, ma poi mi faccio forza perché sono sicura che presto sarai di nuovo a casa e questa guerra ci sembrerà solo un brutto ricordo. Alla tv dicono che presto avremo vinto, io spero tanto che sia così, il nostro pensiero, mio e dei miei genitori, è sempre con te e con mio fratello che ci scrive dal fronte siriano. Per quello che mi hai scritto l’ultima volta non devi tormentarti con queste sciocchezze, anche se so che sono il frutto del tuo amore, e pensare solo a riguardarti e a stare attento. Anche per me è doloroso non averti vicino, ma nel mio cuore ci sei solo tu, e perciò ti prego non dubitare di me, mai.
L'accenno al matrimonio rimandato non sono sicuro che ci fosse; forse era stato Argo a parlarmene, ed è possibile che mi confonda. Forse era un pensiero di Argo, non di Rea. Penso che se fossero già stati sposati lui si sarebbe sentito un po’ meglio, perlomeno.
Comunque, l’essenziale è che Argo era geloso. Irragionevolmente geloso. La vita militare non gli pesava molto in sé, del resto sapeva di avere avuto fortuna con la destinazione perché lì la guerra non si sentiva come altrove. Ma il pensiero della fidanzata non lo lasciava un istante. Si consumava nel suo ricordo, soffriva come un cane. E il peggio era che non riusciva a sfogarsi con nessuno, perfino io facevo fatica a sopportarlo. Molti di noi erano innamorati, molti avevano lasciato, oltre alle mogli, anche i figli, o i genitori malati, ma rodersi in quella maniera era troppo, rendeva quella vita di attesa e di pericolo insopportabile. Così Argo se ne stava chiuso nel suo silenzio per la maggior parte del tempo, schivato da tutti, e nei periodi di calma si dava da fare più del dovuto. Chi non lo conosceva bene pensava che fosse uno di quei fanatici a cui la guerra piace, ma io so che non è così.
Poi un giorno ricevette una lettera particolare. La flotta a quel tempo era in procinto di smobilitare, la nuova destinazione sarebbe stata il Mar Nero. La lettera in questione diceva più o meno questo:
caro Argo
ho saputo che la licenza è stata revocata. Adesso hai bisogno di tutta la forza e la concentrazione possibili per superare questa prova che il Signore ti impone. Io prego sempre per te e so che andrà tutto bene, non mi chiedere come faccio a saperlo, devi avere fiducia così come l'ho avuta io e continuare ad averla. E adesso purtroppo devo dirti una cosa terribile. Mio fratello è morto, l’abbiamo saputo qualche giorno fa e io non avevo neanche la forza di scriverti; poi ho pensato che era tutto uno sbaglio e che presto avrei ricevuto di nuovo sue notizie. È morto senza soffrire, questo siamo riusciti a sapere, con una pallottola al petto, durante un pattugliamento. Io e i miei genitori non abbiamo più pace. Qualche giorno fa è venuto a trovarci un ragazzo che era con lui al campo di addestramento di Fossano. Non sapeva nemmeno che fosse morto, c’è stato malissimo quando glie l’abbiamo detto. Per lui la guerra è finita. Gli è scoppiata vicino una granata e ha perso un braccio. Dice che Carlo gli parlava di me giorno e notte. È molto commovente e piange spesso quando ci viene a trovare, ora sta a Caserta da una zia. Piange spesso anche per mio fratello. Mi fa una gran pena, mi ricorda tanto Carlo e noi vogliamo sempre che ci parli di lui. Povera mamma! E poveri tutti noi, che non riusciamo più a trovare pace e consolazione! Ma io non voglio angustiarti con i miei dolori…
eccetera. Dopo di allora le cose per Argo andarono peggio di prima. La notizia della morte del fratello di Rea non lo aveva colto impreparato, perché la morte è un pensiero al quale in guerra ci si abitua. Tante volte si era immaginato di quando lui, vecchio, con i figli grandi e la moglie una tranquilla e modesta signora piena di grazia si sarebbe recato, in certi sabati pomeriggio, alle tombe dei suoi amici commilitoni. S’immaginava rugoso, pieno di dignità, a sostare in silenzio in un cimitero circondato dal verde, in campagna. S’immaginava un certo tipo di cimitero, come quelli che si vedono nei film americani, diciamo, anche se il cimitero del suo paese era molto differente, c'erano tombe di diversa grandezza, non tutte uguali, e il verde non era così curato.
Più o meno tutti quelli che erano come lui, di indole solitaria, facevano pensieri del genere. Ma ovviamente si tenevano tutto dentro e noi si poteva solo tirare a indovinare.
Adesso me lo figuro, ciò deve avere provato. Allora, ero troppo preoccupato a tenermi a galla io stesso. Io la paura l’esorcizzavo con lo spirito di corpo, l’obbedienza agli ordini e occasionalmente inalando tritanolo. I suoi pensieri da quel giorno devono essere cambiati. Devono avere passato quella soglia oltre la quale la mancanza di ragionevolezza e buon senso diventa pura e semplice patologia. Me ne fece solo intravvedere qualche pezzetto, durante il breve tempo che trascorremmo ancora assieme. Un giovane militare senza un braccio che accarezzava il volto di Rea, che poi le prendeva una mano, e piangeva in silenzio. Un militare con il sorriso uguale a quello del fratello. Rea mossa da pietà, il militare che accarezza il suo corpo nudo.
Dopo la guerra ho visto un film che raccontava la storia di un tizio che ad un certo punto perde un braccio. Lei - l'attrice - diceva che un braccio monco è come una zampina di tartaruga. Non tanto impressionante. Che fare l’amore non è così difficile, ovviamente con un certo grado di affiatamento.
Comunque, questo era più o meno quello che pensava Argo, dalla mattina alla sera. Poi non mi fece leggere più nessuna lettera, e io ero, si può dire, il suo amico più intimo. Forse le stracciava senza leggerle, per paura di trovarci dentro la conferma di quello che, lì in mezzo al mare, poteva solamente immaginare.
L’ultima volta che andò sull’argomento disse che ai genitori di Rea quella situazione non doveva dispiacere nemmeno troppo, perché anche con un braccio solo un uomo al mercato è sempre utile, e poi lui lo capiva che loro fossero in cerca di un sostituto del figlio morto.
Una notte, a una giornata di navigazione dall’ultimo porto dove avevamo fatto scalo, i terroristi riuscirono a passare attraverso lo schermo dei nostri radar e satelliti, si lanciarono contro la nave con due motoscafi pieni di esplosivo. Tutti si precipitarono alle scialuppe. C’è chi dice di aver visto Argo urtato da un marinaio gigantesco, perdere l’equilibrio e cadere in mare, forse battendo la testa sulla fiancata, e andando subito a fondo perché non indossava il giubbotto salvagente. Ma secondo altri la colpa della caduta è dovuta ad una seconda esplosione, in sala macchine, che fece inclinare la nave. Per quanto mi riguarda, a me è sembrato di vederlo a poppa, impietrito in mezzo alla confusione. Però non c’era tempo da perdere, corsi con tutti gli altri, e riuscii a salvarmi.
Certo la sua condotta si era fatta parecchio strana negli ultimi tempi. Spesso ho avuto la sensazione che volesse morire. Ma se volesse finirla lì così, io non sono in grado di dirlo con certezza.
In quanto alla sua famiglia, non sono mai andato a trovarla. Hanno già un reduce tra i piedi, mi son detto, e tanto basta. Se poi ce l’hanno davvero.
Questo comunque accadde in un’altra guerra. Non in questa in cui ho perduto mio figlio.
Da "La calda notte degli avatar".
Zora la vampira
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Siccome in questo blog c'è una enorme sproporzione fra gli accessi alle pagine che ospitano fotografie o argomenti "seri" (come Alex Langer o Baumann) e quelli alla pagina che ospita il dipinto erotico giapponese "La pescatrice e la piovra", ho deciso di dare a quest'ultima una possibile concorrente. Si tratta di Zora la vampira, che ha colonizzato l'immaginario erotico di noi bambini cresciuti negli anni '70. Alcune di quelle pagine mi hanno decisamente shockato, e non mi riferisco al sesso, piuttosto alla crudeltà. Però, bisogna ammettere che gli sceneggiatori avevano molta fantasia. E poi all'epoca non c'era internet, la pornografia te la dovevi sudare, nascondendoti nei recessi di qualche compravendita di libri e fumetti usati per sfogliarla di nascosto.
Il delizioso senso del proibito di quelle mezz'ore (quando non ci cacciavano prima)! Unito, a volte, ad una vaga sensazione di disgusto, dopo.
Alcune di quelle pagine me le ricordo come fosse ieri, il che non si può dire di tante pagine di Proust.
Siccome in questo blog c'è una enorme sproporzione fra gli accessi alle pagine che ospitano fotografie o argomenti "seri" (come Alex Langer o Baumann) e quelli alla pagina che ospita il dipinto erotico giapponese "La pescatrice e la piovra", ho deciso di dare a quest'ultima una possibile concorrente. Si tratta di Zora la vampira, che ha colonizzato l'immaginario erotico di noi bambini cresciuti negli anni '70. Alcune di quelle pagine mi hanno decisamente shockato, e non mi riferisco al sesso, piuttosto alla crudeltà. Però, bisogna ammettere che gli sceneggiatori avevano molta fantasia. E poi all'epoca non c'era internet, la pornografia te la dovevi sudare, nascondendoti nei recessi di qualche compravendita di libri e fumetti usati per sfogliarla di nascosto.
Il delizioso senso del proibito di quelle mezz'ore (quando non ci cacciavano prima)! Unito, a volte, ad una vaga sensazione di disgusto, dopo.
Alcune di quelle pagine me le ricordo come fosse ieri, il che non si può dire di tante pagine di Proust.
Più lenti, più dolci, più profondi
Mai parole mi sono sembrate più vere e inattuali. Di fronte alla crisi economica (che passerà, certo, s'è mai vista crisi che non passa?) le risposte sono quelle di sempre: più produttività, più velocità, più lavoro, più pil. Più Macchina.
Ci dev'essere anche una ragione psicologica dietro a tutto questo: sono sempre più convinto che i decisori soffrano di horror vacui, non siano in grado di rimanere più di cinque minuti soli con se stessi in una stanza o in un sentiero, né riescano a relazionarsi con il prossimo senza la mediazione del "fare".
Dunque, più veloci, e necessariamente più duri e più superficiali. E' la metafora nascosta dietro l'aeroplano che si è schiantato ieri in West Virginia: il proprietario, un ultrasettantenne, aveva ammesso prima del decollo di averlo modificato per renderlo più veloce.
Poi ci sono i correttivi di facciata, del tipo: spostare le festività alla domenica. Certo, non rimanere a casa il giorno del patrono darà alla Macchina la spinta fondamentale per rimettersi in moto!
Ma anche certe richieste estemporanee della società civile lasciano il tempo che trovano: tagliare i costi della politica. Benissimo, perché non tagliare anche quelli dei manager? Mica perché debbano guadagnare quanto un tranviere, intendiamoci, sarebbe sciocco populismo. Solo per ridurre un poco quel divario sociale che trascina con sé emulazione, conflitto, l'inseguimento e la corsa dei topi in cui stiamo dentro (quasi) tutti.
Ma no, la figura del dirigente privato è ancora carica di carisma, ovviamente, si pensa che quelli siano soldi suoi. E le rendite delle speculazioni finanziarie? Intoccabili.
In fondo è mestiere del politico quello di farsi sparare addosso. I veri padroni della Macchina se ne stanno al sicuro, non si sa dove vivano, e anche se lo si sa, suscitano nel contado lo stesso timore reverenziale degli antichi castellani e la stessa ammirazione delle rockstar (Montezemolo! Marchionne! Come ieri: Berlusconi! Gardini!?!! Tanzi...!????).
Non ho mai pensato a Langer come a un profeta, forse perché non si atteggiava a profeta. Era un ammiratore di san Cristoforo, un santo raffigurato sui muri delle chiese dell'Alto Adige sempre in cammino, con il Bimbo sulle spalle. Usava la parola "ecologia" e oggi vengono i brividi solo a sentirla. Il suo era un linguaggio moderato, non si scagliava, non fustigava, non era realmente un utopista, diceva cose di buon senso, solo l'ignavia dei nostri tempi poteva scambiarle per altro.
A volte pervase da un afflato "religioso" (lui cattolico, anche se per metà ebreo).
Oggi, però, non posso fare a meno di pensare che sia uno dei pochi grandi uomini nei quali mi sono imbattuto.
Quindi giù il cappello di fronte al Viaggiatore leggero.
...Ecco perchè mi sei venuto in mente tu, San Cristoforo: sei uno che ha saputo rinunciare all'esercizio della sua forza fisica e che ha accettato un servizio di poca gloria. Hai messo il tuo enorme patrimonio di convinzione, di forza, e di auto-disciplina a servizio di una Grande Causa apparentemente umile e modesta. Ti hanno fatto - forse un po' abusivamente - diventare il patrono degli automobilisti (dopo essere stato più propriamente il protettore dei facchini): oggi dovresti ispirare chi dall'automobile passa alla bicicletta, al treno o all'uso dei propri piedi! Ed il fiume da attraversare è quello che separa la sponda della perfezione tecnica sempre più sofisticata da quella dell'autonomia dalle protesi tecnologiche: dovremo imparare a traghettare dai tanti ai pochi chilowattori, da una super-alimentazione artificiale ad una nutrizione più equa e più compatibile con l'equilibrio ecologico e sociale, dalla velocità supersonica a tempi e ritmi più umani e meno energivori, dalla produzione di troppo calore e troppe scorie inquinanti ad un ciclo più armonioso con la natura. Passare, insomma, dalla ricerca del superamento dei limiti ad un nuovo rispetto di essi e da una civiltà dell'artificializzazione sempre più spinta ad una riscoperta di semplicità e di frugalità. Non basteranno la paura della catastrofe ecologica o i primi infarti e collassi della nostra civiltà (da Cernobyl alle alghe dell'Adriatico, dal clima impazzito agli spandimenti di petrolio sui mari) a convincerci a cambiare strade.Ci vorrà una spinta positiva, più simile a quella che ti fece cercare una vita ed un senso diverso e più alto da quello della tua precedente esistenza di forza e di gloria. La tua rinuncia alla forza e la decisione di metterti al servizio del bambino ci offre una bella parabola della 'conversione ecologica>' oggi necessaria.
Il viaggiatore leggero- Scritti 1961-1995, Alexander Langer,Sellerio editore, Palermo,2011
La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta.
La paura della catastrofe, lo si è visto, non ha sinora generato questi impulsi in maniera sufficiente ed efficace, altrettanto si può dire delle leggi e dei controllo; e la stessa analisi scientifica non ha avuto capacità persuasiva sufficiente. A quanto risulta, sinora il desiderio di un’alternativa globale – sociale, ecologica, culturale – non è stato sufficiente, o le visioni prospettate non sufficientemente convincenti. Non si può certo dire che ci sia oggi una maggioranza di persone disposta ad impegnarsi per una concezione di benessere così sensibilmente diversa come sarebbe necessario.
Né singoli provvedimenti, né un migliore “ministero dell’ambiente”, né una valutazione di impatto ambientale più accurata, né norme più severe sugli imballaggi o sui limiti di velocità – per quanto necessarie e sacrosante siano – potranno davvero causare la correzione di rotta, ma solo una decida rifondazione culturale e sociale di ciò che in una società o in una comunità si consideri desiderabile.
Sinora si è agiti all’insegna del motto olimpico “citius, altius, fortius” (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la mobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana ed onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in ”lentius, profundis, suavius” (più lento, più profondo, più dolce”), e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso.
Ecco perché una politica ecologica potrà aversi solo sulla base di nuove (forse antiche) convinzioni culturali e civili, elaborate – come è ovvio – in larga misura al di fuori della politica, fondate piuttosto su basi religiose, etiche, sociali, estetiche, tradizionali, forse persino etniche (radicate, cioè, nella storia e nell’identità dei popoli). Dalla politica ci si potrà aspettare che attui efficaci spunti per una correzione di rotta ed al tempo stesso sostenga e forse incentivi la volontà di cambiamento: una politica ecologica punitiva che presupponga un diffuso ideale pauperistico non avrà grandi chances nella competizione democratica.
Notizie verdi, Roma, 1998.
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Sulla strada (estratto)
Di tanto in tanto un bagliore fioco arrivava dall'agglomerato di baracche, ed era lo sceriffo che faceva la sua ronda con una debole torcia elettrica borbottando tra sé e sé nella notte della giungla. Poi vidi la luce dirigersi a scatti verso di noi e sentii il rumore dei passi attutito sul tappeto di sabbia e sulla vegetazione. Si fermò e diresse la luce della torcia verso la macchina. Mi alzai a sedere e lo guardai. Con voce tremante, quasi querula ed estremamente tenera, disse: "Dormiendo?", e indicò Dean sdraiato sulla strada. Sapevo che quella parola significava dormire.
"Sì, dormiendo".
"Bueno, bueno", disse fra sé e sé, e si girò triste e riluttante per tornare alla sua ronda solitaria. Poliziotti così adorabili Dio non li ha mai creati in America. Niente sospetti, niente storie, niente noie. Quell'uomo era il guardiano del paese addormentato, punto e basta.
Tornai al mio letto d'acciaio e mi sdraiai con le braccia spalancate. Non sapevo nemmeno se proprio sopra di me c'erano rami d'alberi o cielo aperto, e non me ne importava assolutamente niente. Aprii la bocca a quello che mi sovrastava e presi grandi boccate di atmosfera della giungla. Non era assolutamente aria, piuttosto l'emanazione palpabile e viva di alberi e paludi. Restai sveglio. Il canto dei galli annunciò l'alba chissà dove fra i cespugli fitti.
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Ship under white clouds
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Scotland
Scotland - Ulva Island
L'isola di Ulva, oggi disabitata. I contadini vennero cacciati brutalmente dal Landlord a metà '800, per fare spazio agli allevamenti di pecore. Alcune famiglie si trasferirono nei bacini carboniferi (come la famiglia Livingstone, quella del famoso esploratore), altre emigrarono in Australia o in Canada. Cose analoghe sono avvenute in tutte le Highlands. La wilderness che apprezziamo così tanto è, in realtà, almeno in parte, un prodotto dell'uomo.
Alice on the beach
Prima immagine della Scozia. Alice nella spiaggia di Calgary, isola di Mull. Mentre il sole scivola dietro l'Atlantico.
Lou Reed plays Lulu
La copertina del nuovo lavoro di Lou Reed, con i Metallica, in uscita a fine ottobre. Ispirato alla Lulu di Frank Wedekind (rock e letteratura, come in "The Raven"!).
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