Do Not Go Gentle Into That Good Night



Do not go gentle into that good night,
Old age should burn and rave at close of day;
Rage, rage against the dying of the light.
Though wise men at their end know dark is right,
Because their words had forked no lightning they
Do not go gentle into that good night.
Good men, the last wave by, crying how bright
Their frail deeds might have danced in a green bay,
Rage, rage against the dying of the light.
Wild men who caught and sang the sun in flight,
And learn, too late, they grieved it on its way,
Do not go gentle into that good night.
Grave men, near death, who see with blinding sight
Blind eyes could blaze like meteors and be gay,
Rage, rage against the dying of the light.
And you, my father, there on the sad height,
Curse, bless, me now with your fierce tears, I pray.
Do not go gentle into that good night.
Rage, rage against the dying of the light.

Dylan Thomas

Non andartene docile in quella buona notte,
vecchiaia dovrebbere ardere e infierire
quando cade il giorno;
infuria, infuria contro il morire della luce.
Benché i saggi sappiano infine che il buio è giusto,
poiché dalle parole loro non diramò alcun conforto,
non se ne vanno docili in quella buona notte.
I buoni, che in preda all’ultima onda
splendide proclamano le loro fioche imprese,
avrebbero potuto danzare in una verde baia,
e infuriano, infuriano contro il morire della luce.
I selvaggi, che il sole al volo presero e cantarono,
tardi apprendono come lo afflissero nella sua via,
non se ne vanno docili in quella buona notte.
Gli austeri, vicini a morte, con cieca vista scorgono
che i ciechi occhi quali meteore potrebbero brillare
ed essere gai; e infuriano
infuriano contro il morire della luce.
E te, padre mio, là sulla triste altura io prego,
maledicimi, feriscimi con le tue fiere lacrime.
Non andartene docile in quella buona notte,
infuria, infuria contro il morire della luce.

Grazie a La botte di diogene per la traduzione, a E. e a John.
It's for my father.

Boris Pahor: la persecuzione degli sloveni



Boris Pahor è uno scrittore italo-sloveno (classe 1913), da anni in predicato per il Nobel alla letteratura. Ha raccontato nei suoi romanzi le persecuzioni fasciste ai danni della minoranza slovena del Friuli (così simili a quelle che colpirono all'epoca i sudtirolesi) e la sua esperienza di deportato nei campi di concentramento nazisti. In realtà i suoi romanzi hanno avuto più fortuna all'esterno che in Italia, dove è stato scoperto solo molto tardi. Ho realizzato la prima intervista a Pahor a Trieste 11 anni fa (venne pubblicata sullì'annuario "Comunicare", edito da ITC-Il Mulino, oggi soppresso). Questa nuova, che posto qui, è stata fatta in margine alle manifestazioni organizzate a Trento dall'Osservatorio sui Balcani per i 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino.

Dalai Lama a Trento: autonomia, spiritualità, soldi


Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama, leader ad un tempo spirituale e politico del popolo tibetano, premio Nobel per la Pace 1989, ha parlato oggi a Trento, su invito della Provincia autonoma di Trento e dell'associazione Italia-Tibet, in chiusura di un convegno internazionale dedicato alle varie forme di autonomia regionale del mondo. Un intervento pungente, il suo, a volte caustico nel denunciare l'incapacità della Cina di comprendere la cultura tibetana, a volte persino ironico nel rivendicare un'autonomia che tuteli la spiritualità tibetana ma porti, perché no, anche soldi.

Per la terza volta questo pomeriggio, dopo le precedenti visite del 2001 e 2005, l'auditorium Santa Chiara di Trento ha ospitato il Dalai Lama, invitato a partecipare ad una tavola rotonda al termine del convegno dedicato all'esame di alcuni dei più importanti esempi di autonomia regionale al mondo, dal Trentino Alto Adige al Quebec, dalla Catalogna alla Scozia alle isole Aaland, organizzato in collaborazione con l'Università degli studi di Trento e l'Accademia europea di Bolzano.
Hanno preso la parola in apertura anche Lorenzo Dellai, presidente della Provincia autonoma di Trento, Luis Durnwalder, presidente della Provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige/Südtirol, Bernat Joan, segretario della politica linguistica della Generalitat de Catalunya, Elisabeth Nauclér, deputata al Parlamento Finlandese per le isole Aaland, Roberto Pinter, dell'associazione Italia-Tibet di Trento e Roberto Toniatti, giurista dell'Università di Trento.
C'era grande attesa per le parole che avrebbe pronunciato il Dalai Lama oggi, dopo che le Ansa e le Reuters del mattino avevano fatto rimbalzare in Europa l'invito di Obama alla Cina a ripendere il negoziato con gli emissari del governo tibetano in esilio. Su questo punto, in verità, il leader del popolo tibetano non si è sbilanciato: ha detto che Obama appoggia la causa del Tibet ma che è anche limitato nel suo agire.

Nel suo discorso pubblico il Dalai Lama ha sottolineato innanzitutto la distanza esistente fra terre come il Trentino e l'Alto Adige, che godono di un'autonomia "reale", e che dispongono degli strumenti giuridici per tutelare i propri diritti, e il Tibet. "Se in Italia i diritti costituzionali sono veramente garantiti, in Cina non è così. Noi non possiamo ricorrere ad un giudice o a una corte per vederci riconosciuto ciò che in teoria la costituzione cinese ci garantisce. Quando descrivo la situazione del Tibet sotto il dominio cinese, solitamente non parto dalle questioni ideologiche. Dico che noi abbiamo un ospite non invitato, che è entrato nel nostro paese con le armi e si è messo a controllare tutto. Un ospite che ci dice cosa mangiare, come dormire, cosa sognare. Un ospite che sostiene di averci liberati. Quando noi tibetani sentiamo dire questo ci chiediamo: ma da che cosa? Il Tibet ha una storia millenaria, una propria cultura, una propria tradizione spirituale. I tibetani hanno sempre avuto una grande fiducia in se stessi, una grande dignità. Siamo gente fiera e orgogliosa. Sul piano culturale, linguistico, della tradizione storica, siamo alla pari dei cinesi (se non più avanti, ha aggiunto maliziosamente, strappando, come un attore consumato, un applauso spontaneo alla platea).
E comunque, il Buddismo è arrivato in Tibet dall'India, non dalla Cina. La nostra lingua è mutuata dal sanscrito, non dal cinese. Che il Tibet sia cosa diversa dalla Cina lo provano le semplici espressioni verbali che la gente usa per definirci. Io sono definito il Dalai Lama del Tibet, non della Cina. La gente dice 'buddismo tibetano', non 'tibetano-cinese'. Non siamo stati noi ad inventare tutto questo, è la nostra storia, la nostra eredità millenaria. Il comunismo cinese si è rivelato di strette vedute e di limitato pensiero. All'inizio le idee che proponeva erano positive, ma il risultato che noi oggi vediamo è che sei milioni di tibetani sono privi di ogni diritto."

Da dove partire, allora, per cambiare le cose? Per il Dalai Lama dall'informazione libera, dall'abolizione della censura. "Molti cinesi pensano che i tibetani sono degli ingrati. Sono stati presi sotto l'ala protettrice della Cina, e non le sono riconoscenti. Questo avviene perché non dispongono di informazioni corrette. E' il momento che ci sia finalmente in Cina libertà di informazione. Un miliardo e trecento milioni di cinesi hanno diritto di sapere le cose come stanno. Anche la democrazia è importante, ma qui il discorso si fa più delicato. Non è interesse di nessuno creare il caos con un cambiamento radicale. Pensiamo sia preferibile un cambiamento graduale. Il problema è che il nostro 'ospite', come l'abbiamo definito, non è molto brillante; pensa solo al controllo. Pensa sia sufficiente dare cibo, dare una casa ai tibetani. Ma non è così: abbiamo la nostra civiltà i nostri valori, non ci basta mangiare e dormire Abbiamo una spiritualità che i cinesi non comprendono e che temono."

Se questo è il quadro, la soluzione è una sola: una forte autonomia, un'autonomia che consenta alla civiltà tibetana non solo di sopravvivere, ma di valorizzarsi, anche passando attraverso i necessari cambiamenti rispetto al passato, come quello che nel 2001 ha introdotto le elezioni degli organi politici rappresentativi della comunità tibetana in esilio (che hanno sede com'è noto a Dharamsala, in India). Un'autonomia che inoltre consenta una migliore tutela dell'ambiente, una distensione nei rapporti fra Cina e India e una progressiva smilitarizzazione dell'altopiano tIbetano. Un'autonomia, infine, che porti anche benessere.

Che l'autonomia del Tibet possa giovare anche alla Cina, era stato peraltro sottolineato dagli stessi relatori che hanno preceduto il Dalai Lama. Il ragionamento è semplice. La repressione genera inevitabilmente ribellione, mentre un'autonomia vera, un'autonomia che soddisfi le esigenze della minoranza che la richiede, rappresenta una tutela per lo stesso Stato che la concede, nei confronti dei pericoli di una secessione violenta. Esempi come quello della Scozia, del Quebec, ma anche del Trentino e dell'Alto Adige/Sudtirol sono lì a dimostrarlo.

Cosa aggiungere a questo? Che in realtà la questione delle autonomie speciali in Italia è assai poco conosciuta. Per i più, le autonomie sono semplici "privilegi", se non l'anticamera della secessione. Comprensibile quindi che la gente - a volte gli stessi giornalisti - sembri piuttosto impermeabile a questo genere di discorsi, pur essendo il Dalai Lama una grande icona del XX (e XXI) secolo, amato e ammirato da tutti. Anche fra gli stessi tibetani, oggi, c'è chi ritiene che il Dalai Lama sia troppo "morbido". A Trento a me in verità è parso sferzante, più delle altre volte. Ma, certo, comprende bene che chiedere l'indipendenza sarebbe, oggi come oggi, una follia, e che farlo con le armi in pugno, oltre che tradire il credo non-violento, si risolverebbe in un bagno di sangue (tibetano). Una cosa è sicura: la Cina dovrebbe ringraziare la sua buona sorte per il fatto di avere un interlocutore così.

Dalai Lama in Trentino


Il Dalai Lama sarà domani in Trentino. Si tratta della terza visita di Tenzin Gyatso al Trentino (le precedenti nel 2001 e 2005). Interessante mi pare essere soprattutto il contesto, un convegno internazionale sulle autonomie regionali nel mondo (a partire ovviamente da quella del Trentino Alto Adige), in appoggio alla richiesta del Governo tibetano in esilio, finora continuamente disattesa dal Governo cinese, di un'ampia autonomia per il Tibet, nel rispetto dell'integrità dei confini della Repubblica popolare.

Posto qui in via eccezionale (di solito evito le commistioni, ma questa non mi pare grave) il testo di un comunicato stampa fatto uscire sull'evento, con la sintesi del discorso pronunciato stamani dal Primo ministro del Governo tibetano in esilio in apertura dei lavori del convegno.


Un'autonomia che soddisfi i desideri di libertà e di autogoverno del popolo tibetano, che tuteli la sua lingua, la sua cultura, la sua religione, il territorio in cui vive - in una parola la sua identità - ma nel rispetto della sovranità cinese, dell'integrità territoriale della Repubblica popolare. Un'autonomia che consenta lo sviluppo economico, sociale e politico del Tibet, conformemente al dettato della carta costituzionale della Cina, che contiene "principi fondamentali per quanto riguarda l'autonomia e l'autogoverno i cui obiettivi sono compatibili con le esigenze e le aspirazioni dei tibetani". E' questo, in sintesi, quanto espresso stamani da Samdhong Rimpoche Kalon Tripa, Primo ministro del Governo tibetano in esilio, in apertura del convegno sulle autonomie regionali che si tiene a Trento, nel palazzo della Provincia autonoma.

Nel suo atteso intervento nella sala Depero del palazzo della Provincia, il Primo ministro del governo tibetano in esilio ha esposto i contenuti del "Memorandum sulla effettiva autonomia per il popolo tibetano", sottoscritto a Dharamsala (India) il 16 novembre del 2008 e sottoposto alle autorità cinesi (la Cina, com'è noto, entrò con il suo esercito in Tibet nel 1950; inizialmente essa firmò un accordo con il Dalai Lama, allora sedicenne. Nel 1959 la sollevazione dei tibetani contro la sinizzazione del Tibet venne soffocata nel sangue. Il Dalai Lama abbandonò il Paese con migliaia di profughi e si stabilì a Dharamsala, dove oggi hanno sede le strutture del Governo tibetano in esilio).
Il documento, che dovrebbe costituire la base di discussione fra il Governo tibetano in esilio e quello cinese, è stato presentato come compatibile con la costituzione della Repubblica popolare cinese, in particolare con la sua sezione VI, che prevede organi di autogoverno per le Regioni nazionali autonome e riconosce il loro potere di legiferare.
"Noi abbiamo iniziato a parlare di autonomia nel 1988 - ha detto il Samdhong Rimpoche - con un documento presentato a Strasburgo. Nel 2002 c’è stato uno scambio di opinioni proficuo fra una nostra rappresentanza e funzionari della Repubblica popolare cinese. Questi concetti sono ripresi nel Memorandum, che si articola nei seguenti punti: il rispetto dell'integrità della nazionalità tibetana; l'aspirazione dei tibetani; le esigenze fondamentali dei tibetani (il cuore del documento, in cui si esaminano i seguenti aspetti: lingua, cultura, religione, istruzione, salvaguardia dell'ambiente, utilizzazione delle risorse naturali, sviluppo economico e commercio, sanità pubblica, ordine pubblico, regole per le migrazioni della popolazione, scambi culturali, didattici e religiosi con gli altri paesi); creazione di un'unica amministrazione per la nazione tibetana all'interno della Repubblica popolare cinese; la natura e la struttura dell'autonomia; il cammino che ci aspetta.
Da parte della Cina c’è ancora un clima di forte sospetto. Noi però rispettiamo la sovranità della Repubblica popolare cinese, la sua costituzione e le sue autorità centrali. Forse ci sono errori di interpretazione di alcuni capitoli, ad esempio quello relativo all’ordine pubblico, ma non dev’essere un problema: non vogliamo un sistema di difesa interno, la difesa rimane nelle mani del governo centrale. Altro problema può essere la lingua: la lingua è l’attributo più importante del popolo tibetano, e quindi essa non deve essere sostituita dal cinese mandarino. L'articolo 4 della Costituzione cinese garantisce la libertà di tutte le nazionalità ad usare e sviluppare le proprie lingue scritte e parlate. Pertanto la lingua principale delle regioni autonome tibetane deve essere il tibetano. Ma non vogliamo l’esclusione del cinese mandarino. Per quanto concerne invece le migrazioni interne, il Memorandum non dice che deve essere impedita, ma che se le migrazioni e gli insediamenti (di cinesi Han) in Tibet continuano senza controllo i tibetani non si troveranno più a vivere in comunità compatte e quindi non avranno più il diritto, in base alla Costituzione, all'autonomia. In quanto alla religione, il Memorandum parla di libertà di credo e religione, conformemente alla costituzione cinese. Anche la separazione stato-chiesa è considerata importante, così come avviene in molti stati secolari. la richiesta di un'amministrazione unica autonoma per i tibetani, infine, non è irragionevole, è conforme al sistema nazionale delle autonomie. Chiediamo di avere un’unica amministrazione per tutte le aree definite come regioni autonome tibetane. Le attuali divisioni amministrative in seno alla Repubblica popolare cinese, infatti, promuovono la frammentazione e ignorano lo spirito di autonomia."
Il Primo ministro ha anche brevemente affrontato la questione dell'indipendenza. "Perché vogliamo l’autonomia e non l’indipendenza? - si è chiesto - Volendo essere pragmatici potremmo dire che non abbiamo scelta. Molti esperti pensano peraltro che sia corretto voler attuare quanto previsto dalla costituzione cinese, ma che questa sia comunque un’utopia, che equivalga a chiedeere l’indipendenza. Noi invece diciamo che aspiriamo fortemente all’autonomia e all'autogoverno: non miriamo al potere politico, noi aspiriamo alla libertà per tutti i tibetani e crediamo che se venissero attuati i disposti costituzionali ciò ci permetterebbe di 'entrare' in un mondo globalizzato, dove i confini nazionali sono meno importanti e dove potremmo avere rapporti positivi con tutti i nostri vicini."

Informazioni sul convegno al sito della Provincia autonoma di Trento qui

Metidazione su un inserto femminile

Ho per le mani l'inserto settimanale femminile di un importante quotidiano nazionale. Per non far nomi, dirò che è l'inserto settimanale femminile del quotidiano italiano più rappresentativo del popolo della sinistra (qualsiasi cosa voglia dire questa parola oggi...).

Confesso subito che sono un lettore di queste riviste, ancorchè occasionale: mi piacciono soprattutto le rubriche che parlano di psicologia e eros, che non mancano mai. C'è sempre da imparare su certi argomenti :-)
Però, insomma, non è che si possa sembre cedere al piacere così, con beata inconsapevolezza. E allora mi sono messo ad osservare l'inserto - ben fatto, ben confezionato, una rivista vera - con uno sguardo un po' più...diciamo critico, via, anche se parliamo pur sempre di critica post-prandiale della domenica pomeriggio.
Cosa ho visto? Innanzitutto, il dato oggettivo: il settimanale si apre con alcune pagine di pubblicità molto glamour, Dior, scarpe, profumi, e vabbé, insomma, non faremo ancora del moralismo su questo, non penseremo mica che uno di sinistra non possa comperarsi scarpe da 300 euro (a scarpa) o debba per forza rinunciare a un Dior... No, infatti, il compagno D'Alema ce l'ha insegnato, farsi la barca non è reato...
Quindi vado un po' avanti, c'è l'indice (buon segno, detestavo la moda di qualche anno fa di mettere l'indice a pag. 60 delle riviste, o giù di lì), e poi subito dopo...l'oroscopo! Un oroscopo un po' particolare, tra l'altro, tutto un vorticare di stelle attorno ai temi centrali dell'amore e della seduzione, con buone nuove soprattutto per Toro, Gemelli...(e tu sei lì naturalmente che ti chiedi: ma quella tizia carina che ho appena conosciuto di che segno è?)

Poi c'è una doppia pagina di foto (uno scatto dalla Nuova Zelanda, a quanto pare il paese più pacifico e dunque quello dove si vive meglio) e finalmente il pezzo di copertina! L'intervista ad un'attrice non scema, eh? Anche se è diventata famosa con un film d'azione. Una piena di spirito, che confessa che le piacciono tanto i maschi (il titolo le mette in bocca proprio questa affermazione, in realtà se poi si legge l'intervista come spesso accade non dice esattamente così, ma tant'è...a qualche piccola bugia siamo abituati e neanche di questo ci scandalizziamo, giusto?) A seguire, ovviamente, l'intervista ad un attore belloccio che ha girato il film d'azione con l'attrice di cui sopra.
Non vi tedierò oltre, con il suggerimento della rubrica "Hotel", per esempio (una notte, 500 euro), o su quello della rubrica "Viaggi" (resort ecologico 5 stelle in Englaterra, 3 ristoranti, un wine bar, possibilità di vari sport acquatico/estremi e per i più pantofolai yoga e jacuzi).

Ora, mi direte, che c'è che non va? Niente. Sono scritti male i pezzi? Tutt'altro. Danno consigli stupidi? Niente affatto. Le foto sono brutte? Anzi, certe gnocche...
Ripeto, il giornale è bello; un inno all'anoressia, ma bello. Del resto, è l'allegato femminile di uno dei principali quotidiani italiani.
Solo, insomma, l'impressione che ne ho ricavato è stata quella di un viaggio nel tempo. Sì, un tuffo nell'800. Quando donna significava gioielli, stelle, amore, pettegolezzi (e una spruzzata di psicologia; in qualche pagina a venir fuori è più il tardo 800). Dico, tutto quel femminismo, come non fosse mai esistito! Capisco che nessuno ha nostalgia delle gonne a fiori e degli zoccoli, men che meno le donne, ma una così radicale nemesi storica...

Vabbé, probabilmente questo è il frutto di un altro genere di discorsi, un po' più post-femministi. Quelli sulla differenza di genere. Se quello fosse un inserto maschile, dopotutto, ci sarebbero automobili, cavalli, outdoor, rubriche su come scolpire gli addominali e...gossip, ovviamente, quello è trasversale, piace ad entrambe le metà della luna.

Danca ma mi Crouila



Cose belle della vita.
Canzoni come questa, ad esempio.
Misteri della vita: un pugno di scogli ventosi in mezzo all'Atlantico, dove non c'è quasi niente, neanche l'acqua, capaci di produrre della musica così meravigliosamente piena di sentimento. Sarà la posizione, a Ovest dell'Africa, a metà strada fra Portogallo e Brasile, fra Fado e Samba? Sarà la nostalgia dell'emigrante? Sarà il passato di schiavitù, la marginale grandezza del più longevo e arretrato degli imperi coloniali?

A Berlino...va sempre bene

Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders è forse il film più pretenzioso e falsamente poetico che ho visto in vita mia. Uscii dalla sala irritato, ero in quella stagione della vita in cui può ancora capitare di prendere un film tanto sul serio, nel bene e nel male. Una materia così buona (Berlino! Basti pensare al disco di Lou Reed), una fotografia così sofisticata, una colonna sonora così chic, e il risultato? Il sublime visto con gli occhi di un freakettone. Angeli, trapeziste e monologhi senza costrutto. Tutta estetica, insomma. Tutta forma.
Per chi aveva amato il Wenders scarno ed essenziale di Alice nelle città, o quello crudele di Nick's movie, un tradimento.

Berlino con il muro è stata una grande fonte di ispirazione. Dolore e separazione hanno sempre una forte influenza sugli artisti. Dopotutto, se non sei Goethe, chi te lo fa fare a scrivere o a suonare se stai bene?



Avevo visto il socialismo reale, ero stato in Ungheria e Romania, mi era bastato per cambiare idea. Però non ho gioito vedendo le immagini del Muro che cadeva. E questa è una colpa. Forse, mi stupiva più di tutto che nessuno l'avesse previsto, studiavo scienze politiche, perché Panebianco, Pombeni o qualcun altro di loro non ci aveva messi sulla pista giusta? Ciò dimostrava la scarsissima capacità predittiva delle scienze umane, ai miei occhi.

In questo giorni la tv dedica molto spazio a Berlino. Ieri ho visto la testimonianza di un filmaker, il quale diceva che non è vero che a Berlino est non ci fosse nulla, certo, erano tecnologicamente arretrati, mancavano un sacco di cose, ma si faceva con ciò che si aveva, ci si dava da fare. Anche questa è una grande verità, il comunismo era detestabile per la mancanza di libertà e per il suo kitsch, non per la povertà. La povertà può essere persino stimolante. Quando sento dire che oggi in nessun pitch serio si prende in considerazione un video con un budget inferiore a 150.000 euro mi viene da piangere.
La mia idea di creatività e sempre stata: della gente seduta in una stanza, senza mezzi, senza niente, ma con un casino di cose da dire e di voglia di fare. Un'idea austera e romantica, insomma.



Comunque, alla fine il Muro è caduto. Il Muro è caduto, Gorbaciov ha compiuto tutta la sua parabola, e gli anni '80 sono definitivamente evaporati. C'è chi li dipinge come gli anni fatui del riflusso e della musica di plastica. Che semplificazione. Gli anni '80 erano gli anni del Muro, dell'Europa ostaggio dei missili nuceari (SS20 da una parte, Pershing e Cruise dall'altra), di film come "The day after". Gli anni della tecnologia radioattiva, ingombrante, terrorizzante, centrali nucleari e rampe di lancio. Ancora l'ombra lunga di Hiroshima.
Dopo la caduta del Muro, tutto è cambiato. La tecnologia che ha dominato i vent'anni successivi è stata di tutt'altra specie. Internet, reti, files, computer. Tecnologia, soft, immateriale, fatta per comunicare.

Per un diverso punto di vista, su un'altra stagione di Berlino, invito a leggere di questo viaggio in autostop negli anni '60, dell'amico Guido De Mozzi.

Dead Weather at the Brixton Accademy



Posto un po' in ritardo un piccolo spezzone del concerto dei Dead Weather che ho visto la scorsa settimana a Londra, alla Brixton Accademy. La qualità è quella che è, è girato con una macchinetta fotografica e poi stavo in galleria...
E poco lontano, vicino alla stazione della Tube, uno splendido pub che sembrava uscito da un film di Ken Loach. Fabio dice che la civiltà di un popolo la si vede anche dai luoghi che costruisce per stare assieme, dal suo modo di socializzare. E' proprio così, und ich bin ein londiner :-)

Londra






O città, città, talvolta posso udire, vicino
a una qualsiasi taverna in Lower Thames Street
il lamento piacevole di un mandolino,
e dentro un chiacchiericcio e uno scalpicio
là dove a mezzogiorno i pesciaioli riposano;
dove le mura di Magnus Martir contengono
inesplicabile splendore di bianco e oro ionici.

T.S. Eliot, La terra desolata

foto: marco pontoni (di ritorno da un blitz londinese)