Guardava la Rift valley
Guardava la Rift valley qualche anno fa. La rivedrà domani.
"Viaggiare è utile, fa lavorare la fantasia." (L.F. Céline)
20 anni dopo (Raymond Carver)
Che cosa rimane, 20 anni dopo avere scoperto un autore come Raymond Carver? Cos'è che ti rimane impresso, conficcato nel tessuto molle della memoria? Rimane lo stile. Di Carver alla fine rimane questo, è questo che evoca il suo cognome, lo stile asciutto ("tagliavo fino all'osso, poi tagliavo ancora"), anche se poi, un po' dopo la sua morte, è venuto fuori che non era proprio tutta farina del suo sacco, che l'editore ci aveva messo del suo (del resto, ciò è ininfluente).
Ma 20 anni fa non era così. Quando avevi letto "Cattedrale" per la prima volta c'era anche dell'altro che ti aveva colpito. Quell'umanità dolente, incolpevole, ignara di sé, poco incline all'autoanalisi, poco avvezza alle elaborate riflessioni. L'umanità americana di commessi viaggiatori, disoccupati, coppie scoppiate, uomini alle prese con problemi di alcol. Niente di francese, niente sesso sfrenato, niente invettive, parentesi nelle vite di gente qualunque, con modeste ambizioni, un attaccamento alla vita del tutto istintivo, un riflesso condizionato, si direbbe, e sullo sfondo camere anonime come nei dipinti di Edward Hooper, rive di torrenti dove pescare trote iridate in quella luce incerta del crepuscolo che solo gli americani sanno descrivere, il sublime nel paesaggio delle periferie, un filo di fumo che si alza nel turchino, il Kerouac del dottor Sax.
20 anni fa ti aveva impressionato il contenuto più della forma. Empatia. Una comprensione immediata. Un racconto di Carver avrebbe potuto quasi...non cambiarti la vita, non in assoluto, ma spiegartela sì. Avrebbe potuto illuminare il tuo senso del tragico affogato nel quotidiano, il tuo stesso smarrimento, come pure l'epifania racchiusa in un dettaglio di case e appartamenti che hai visto sfrecciare di là dal vetro del treno in corsa, il dolore e il divertimento a cui sentivi di essere destinato, come se tutto fosse già scritto.
Per quello mi fanno ridere coloro che parlano della letteratura come di un genere morto, perché oggi alla gente interesserebbe la vita reale, il reality. Come non vedere che le storie "inventate" raccontate da un grande scrittore sono più reali della vita reale? Come non vedere che è il reality ad essere finto?
Conclusioni
Prima non vedevo le somiglianze, i calchi, il filo rosso dell'ereditarietà. Accecato dal risentimento e forse dai sensi di colpa, in assoluto i peggiori compagni di viaggio. Dicevo sempre che avevo preso da lei. Da mia madre. Niente da lui. Non la sua allegria, non quella che mi sembrava, evidentemente, la sia leggerezza, la sua mancanza di pianificazione, di preveggenza, il rifiuto delle responsabilità connesse al denaro, che non aveva mai.
Adesso, giorno dopo giorno mi sento trascinato nel gorgo delle nostre comuni esistenze, di là dal tempo e dalla morte. C'è chi lo chiama destino, chi portato biologico, il codice inscritto nel filamento del dna. C'è chi la chiama chimica, un altro modo di nominare il mistero.
Vedo sempre ciò che ci allontana, certo; ma adesso vedo anche ciò che ci accomuna, ciò che ci avrebbe potuto avvicinare. L'irrequietezza, l'insoddifazione per il proprio lavoro. Il diprezzo per la mediocrità. Il bisogno di un riconoscimento sociale ed insieme il bisogno di qualcosa che gratifichi lo spirito, una causa per la quale battersi. L'essere sempre "contro", nell'intimo, nel pozzo bilioso dove si aggirano le nostre più cupe pulsioni di libertà e forse, il desiderio di solitudine. Il suo modo di fronteggiarla, la solitudine, di tenere a bada i demoni. Il bisogno di affetto. La difficoltà a dirlo, ed insieme il suo stare disarmato di fronte a qualche donna, "con i miei occhi di magazzino, i miei tamburi arabi", avrebbe cantato Dylan, e poi il sottrarsi con un guizzo d'orgoglio, quello che poi lo avrebbe costretto a pentirsi, forse, quello che lo avrebbe costretto agli infiniti ripensamenti notturni.
Questo, vedo anche questo. E vedo la pigrizia, la nemica delle ambizioni. Il piacere provato nell'uscire, per strada, il piacere di camminare, il piacere di svolgere un'attività apparente, che lasci il tempo di pensare ai fatti propri, una certa inclinazione filosofica, mortificata nella società odierna, dove il pensare conta pochissimo rispetto al fare (si veda com'è ridotto il giornalismo, specie quello televisivo). Vedo sprazzi di timidezza, in lui, come in me, ma più sanguigno lui di me, più irruento, emotivo, meno abituato a sopportare, meno capace di venire a patti, entrambi irritabili, ma io ringhio fra me, mi divoro, lui esplodeva, aggrediva.
Questa riflessione è iniziata il giorno della sua scomparsa e non finirà mai.
Adesso, giorno dopo giorno mi sento trascinato nel gorgo delle nostre comuni esistenze, di là dal tempo e dalla morte. C'è chi lo chiama destino, chi portato biologico, il codice inscritto nel filamento del dna. C'è chi la chiama chimica, un altro modo di nominare il mistero.
Vedo sempre ciò che ci allontana, certo; ma adesso vedo anche ciò che ci accomuna, ciò che ci avrebbe potuto avvicinare. L'irrequietezza, l'insoddifazione per il proprio lavoro. Il diprezzo per la mediocrità. Il bisogno di un riconoscimento sociale ed insieme il bisogno di qualcosa che gratifichi lo spirito, una causa per la quale battersi. L'essere sempre "contro", nell'intimo, nel pozzo bilioso dove si aggirano le nostre più cupe pulsioni di libertà e forse, il desiderio di solitudine. Il suo modo di fronteggiarla, la solitudine, di tenere a bada i demoni. Il bisogno di affetto. La difficoltà a dirlo, ed insieme il suo stare disarmato di fronte a qualche donna, "con i miei occhi di magazzino, i miei tamburi arabi", avrebbe cantato Dylan, e poi il sottrarsi con un guizzo d'orgoglio, quello che poi lo avrebbe costretto a pentirsi, forse, quello che lo avrebbe costretto agli infiniti ripensamenti notturni.
Questo, vedo anche questo. E vedo la pigrizia, la nemica delle ambizioni. Il piacere provato nell'uscire, per strada, il piacere di camminare, il piacere di svolgere un'attività apparente, che lasci il tempo di pensare ai fatti propri, una certa inclinazione filosofica, mortificata nella società odierna, dove il pensare conta pochissimo rispetto al fare (si veda com'è ridotto il giornalismo, specie quello televisivo). Vedo sprazzi di timidezza, in lui, come in me, ma più sanguigno lui di me, più irruento, emotivo, meno abituato a sopportare, meno capace di venire a patti, entrambi irritabili, ma io ringhio fra me, mi divoro, lui esplodeva, aggrediva.
Questa riflessione è iniziata il giorno della sua scomparsa e non finirà mai.
Buon compleanno, mr. Lou
Compie 68 anni Lou Reed, poeta e rock n roll animal.
Vorrei essere nato mille anni fa
vorrei avere navigato per mari oscuri
su un grande veliero
andando una terra all’altra,
vesto abito e cappello da marinaio!
Via dalla grande metropoli
dove un uomo non può essere libero
da tutti i demoni di questa città
e da se stesso e da quelli che lo circondano
e so solo di non sapere
so soltanto di non sapere...
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