Prima non vedevo le somiglianze, i calchi, il filo rosso dell'ereditarietà. Accecato dal risentimento e forse dai sensi di colpa, in assoluto i peggiori compagni di viaggio. Dicevo sempre che avevo preso da lei. Da mia madre. Niente da lui. Non la sua allegria, non quella che mi sembrava, evidentemente, la sia leggerezza, la sua mancanza di pianificazione, di preveggenza, il rifiuto delle responsabilità connesse al denaro, che non aveva mai.
Adesso, giorno dopo giorno mi sento trascinato nel gorgo delle nostre comuni esistenze, di là dal tempo e dalla morte. C'è chi lo chiama destino, chi portato biologico, il codice inscritto nel filamento del dna. C'è chi la chiama chimica, un altro modo di nominare il mistero.
Vedo sempre ciò che ci allontana, certo; ma adesso vedo anche ciò che ci accomuna, ciò che ci avrebbe potuto avvicinare. L'irrequietezza, l'insoddifazione per il proprio lavoro. Il diprezzo per la mediocrità. Il bisogno di un riconoscimento sociale ed insieme il bisogno di qualcosa che gratifichi lo spirito, una causa per la quale battersi. L'essere sempre "contro", nell'intimo, nel pozzo bilioso dove si aggirano le nostre più cupe pulsioni di libertà e forse, il desiderio di solitudine. Il suo modo di fronteggiarla, la solitudine, di tenere a bada i demoni. Il bisogno di affetto. La difficoltà a dirlo, ed insieme il suo stare disarmato di fronte a qualche donna, "con i miei occhi di magazzino, i miei tamburi arabi", avrebbe cantato Dylan, e poi il sottrarsi con un guizzo d'orgoglio, quello che poi lo avrebbe costretto a pentirsi, forse, quello che lo avrebbe costretto agli infiniti ripensamenti notturni.
Questo, vedo anche questo. E vedo la pigrizia, la nemica delle ambizioni. Il piacere provato nell'uscire, per strada, il piacere di camminare, il piacere di svolgere un'attività apparente, che lasci il tempo di pensare ai fatti propri, una certa inclinazione filosofica, mortificata nella società odierna, dove il pensare conta pochissimo rispetto al fare (si veda com'è ridotto il giornalismo, specie quello televisivo). Vedo sprazzi di timidezza, in lui, come in me, ma più sanguigno lui di me, più irruento, emotivo, meno abituato a sopportare, meno capace di venire a patti, entrambi irritabili, ma io ringhio fra me, mi divoro, lui esplodeva, aggrediva.
Questa riflessione è iniziata il giorno della sua scomparsa e non finirà mai.
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