AFRICA DA NOBEL - MOSTRA FOTOGRAFICA
Una mia foto che è parte della mostra fotografica "Africa da Nobel - volti che fermano i deserti", in questi giorni alle Acli di Trento (via Roma), in seguito, speriamo, anche in bar, alberghi, locali pubblici, insomma luoghi di vita quotidiana, per mostrare un'Africa ricca della sua quotidianità. Un'Africa che non muore di fame, che non si fa la guerra, che studia, mangia, vende, suona, ride, si sposta.
Nella mostra foto anche di Paolo Michelini e Laura Ruaben.
Una particolarità dell'iniziativa è data dall'allestimento volutamente "povero": cornici di cartone corredate di dida (proverbi africani) tracciate con il laser, che possono essere immediatamente coperte con un altro strato di cartone quando si deteriorano. Un modo di usare e riusare le cose molto africano, appunto. L'altra peculiarità è la raccolta fondi per il Corno d'Africa annessa alla mostra, assieme all'associazione "Una scuola per la vita".
Foto: Somalia, scuola sotto l'acacia, 2004.
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Antonio Tabucchi meets Fernando Pessoa, ovvero, "il trenino a molla del mio cuore"
Attraversammo la strada e passammo di fronte alla stazione marittima. Io arrivo fino alla fine del molo, disse il mio Convitato, non vuole accompagnarmi? Certo, dissi io, vengo con lei. Di lato alla porta c'era un mendicante, un vecchietto con la fisarmonica a tracolla. Quando ci vide stese la mano e recitò una litania incomprensibile. La carità, per amor di Dio, mormorò alla fine. Il mio Convitato si fermò e si infilò la mano in tasca, prese il portafoglio e ne tirò fuori una banconota antica. E' denaro della mia epoca, disse afflitto, forse lei mi può aiutare. Cercai in tasca e trovai un biglietto da cento escudos. Sono gli ultimi che ho, dissi, sono rimasto a secco, ma sono carini, non le pare? Lui osservò la banconota e sorrise. la tese al Suonatore di Fisarmonica e gli chiese: sa suonare delle vecchie canzoni? So suonare Lisboa Antiga, disse il Suonatore di Fisarmonica con aria avida, conosco tutti i Fados. Magari anche più vecchie, disse il mio Convitato, degli anni Trenta, dovrebbe ricordarsele, non è poi così giovane. Può darsi, disse il Suonatore di Fisarmonica, mi dica lei quel che le piacerebbe sentire. Per esempio Sao tao lindos os teus olhos, disse il mio Convitato. Come no se la conosco, disse il Suonatore di Fisarmonica raggiante, la conosco perfettamente. Il mio Convitato gli diede i cento escudos e disse: allora ci venga dietro, a qualche metro di distanza, e suoni quella musica, ma basso basso perché dobbiamo conversare. Prese un'aria confidenziale e mi disse all'orecchio: una volta ho ballato questa musica con la mia innamorata, ma nessuno lo sa. lei sapeva ballare? esclamai, non lo avrei mai immaginato. Ero un ballerino eccezionale, disse lui, avevo imparato da solo con un libriccino che si chiamava Il ballerino moderno, libriccini così mi sono sempre piaciuti, che insegnavano a fare delle cose, facevo tardi la sera quando tornavo dall'ufficio, ballavo tutto da solo, scrivevo poesie e lettere alla mia fidanzata. L'ha amata molto, osservai. E' stata il trenino a molla del mio cuore, rispose lui. Si fermò, obbligandomi a fermarmi. Anche il Suonatore di Fisarmonica si fermò, ma continuò a suonare. Guardi la luna, disse il mio Convitato, è la stessa che guardavo con la mia innamorata quando andavamo a spasso al Poco do Bispo, non è strano?
Eravamo arrivati in fondo al molo. Bene, disse lui, a questa panchina ci siamo incontrati e a questa panchina ci salutiamo, lei dev'essere stanco, può dire a questo pover'uomo di andarsene. Si sedette e io andai a dire al Suonatore di Fisarmonica che la sua musica non ci serviva più. Il vecchietto ci diede la buonanotte, io mi voltati e solo allora mi accorsi che il mio Convitato era sparito.
La casa di campagna era immersa nel silenzio, si era levata una brezza fresca che accarezzava le foglie del gelso. Buonanotte, dissi, o meglio, addio. A chi, o a che cosa, stavo dicendo addio? Non lo sapevo bene, ma era quel che mi andava di dire ad alta voce. Addio e buonanotte a tutti, ripetei. Reclinai il capo all'indietro e mi misi a guardare la luna.
da Antonio Tabucchi, Requiem, Feltrinelli, 1992, trad. dal portoghese di Sergio vecchio
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Linguaggi
Ricordo la prima volta che ho sbattuto contro il linguaggio della musica, cioè un linguaggio non-verbale, o non-alfabetico. Ero un bambino e stavo cercando da giorni di ricordare la colonna sonora di un film, una melodia orchestrale che mi aveva stregato. Finalmente, all'improvviso, come spesso succede, eccola, deliziosa, folgorante, nella mente! Ma a quel punto ero terrorizzato dalla possibilità di dimenticarla di nuovo. Così, pensai di scriverla. Presi un foglio e una penna, iniziai a canticchiarla, e con enorme stupore mi resi conto che anche se già avevo imparato a scrivere da un po' non sapevo come fare. "Lalalalala'..." non funzionava. Non c'era corrispondenza fra parole e musica. Fino a quel momento la parola scritta mi era sembrata la più grande delle magie. Qualcosa che costruiva mondi, di ogni genere. Certo, mio padre era un musicista, l'avevo visto un'infinità di volte suonare l'armonio leggendo lo spartito. Ma chissà perché, non gli chiesi nulla. Forse pensai che non avrebbe avuto tempo, forse mi vergognavo a cantargli quell'aria e aspettare che la mettesse in note. Forse semplicemente ero irrritato per la scoperta di un campo che sembrava sottrarsi al potere della parola. Così mi inventai una specie di grafico. Quando la musica saliva saliva la riga sul foglio, e viceversa. Sembrava l'andamento di una borsa schizofrenica.
A quanto ricordo, per un po' funzionò.
A quanto ricordo, per un po' funzionò.
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